Il labirinto della Masone non è solo un percorso in cui perdersi ma è un vero e proprio parco culturale, o ancora un sogno di bambino finalmente costruito. Inaugurato nel maggio del 2015, ma annunciato già del Duemila dal suo ideatore Franco Maria Ricci sulla sua rivista FMR con queste parole “ci saranno rovine e bambù, all'ombra dei quali nasceranno un grande labirinto, una biblioteca e tante altre cose superflue”. La volontà di Ricci era chiara: avere un luogo che sia l'espressione di sè stesso, del suo lavoro e della sua visione del mondo, ma soprattutto che sia un'eccentrica eredità da lasciare ai posteri. Ricci era un editore, un bibliofilo, un designer e un collezionista ma soprattutto un sognatore che, in dieci anni, costruirà materialmente il suo sogno con bambù e mattoni.
Come nasce l'idea di questo labirinto? Come spesso accade le idee migliori sono frutto di incontri fortuiti. E questo labirinto non fa eccezione. Nel 1977, proprio mentre passeggiavano nella tenuta di Fontanellato, Ricci promise all'amico Jorge Luis Borges, scrittore argentino grande appassionato di dedali, che un giorno avrebbe costruito il labirinto più grande del mondo proprio nella tenuta in cui stavano camminando. Rimase una promessa persa in un pomeriggio fra amici, fino a quando, agli inizi degli anni Novanta, Davide Dutto, un giovane torinese studente di architettura, presentò a Ricci una sua innovativa idea: con l'utilizzo di software, innovativi per il tempo, ricostruire l'isola di Citera con le sue mitiche architetture. La base per l'ambizioso lavoro era costituita da l’Hypnerotomachia Poliphili, uno dei più preziosi libri a stampa, pubblicato nel 1499 a Venezia da Aldo Manuzio. I risultati ottenuti, in particolare la suggestione ricevuta da Il giardino di Polifilo, fecero emergere nella mente di Ricci l'idea del labirinto promesso a Borges trent'anni prima e, insieme a Dutto, elaborarono i primi schizzi fino ad arrivare nel 2005 a un progetto definitivo.
Credo che Ricci e Dutto volessero creare un labirinto perfetto ma soprattutto carico di simboli e per farlo scavarono nelle loro coscienze da intellettuali.
Nulla è casuale. Il percorso che muove dall'interno verso l'esterno e più ci si avvicina all'interno più si fa intricato: è tipico dei dedali classici di cui il mitologico labirinto cretese è il più conosciuto. La pianta quadrata dell'area e gli angoli retti sono, invece, un omaggio ai labirinti dell'Antica Roma anche se in questi bivi e vicoli ciechi non erano presenti. Il perimetro, infine, è a forma di stella a 7 punte. La stella è un rimando alla Forma Urbis rinascimentale, teorizzata da Filarete e realizzata dai Gonzaga a Sabbioneta e dalla Serenissima a Palmanova, in Friuli. Questa forma infatti sembrava essere la migliore per la difesa della città stessa. Quale miglior conformazione, dunque, per la “cittadella della cultura” di Ricci? Un nucleo difeso da impenetrabili mura di bambù.
Vi starete chiedendo perché il bambù e non delle siepi di bosso, che decorano i più bei giardini di dimore nobiliari dal nord al sud dell'Italia? È presto detto. Ricci, su consiglio di un giardiniere giapponese, aveva piantato un boschetto di bambù nella sua villa milanese. Colpito piacevolmente dal risultato, volle ripetere l'esperimento nella sua casa di campagna, nelle campagne di Parma. La pianta attecchì senza problemi e così decise che quelle piantine erano i “mattoni migliori” per il suo labirinto. Il bambù, infatti, si propaga e cresce velocemente, non si ammala, non perde le foglie e assorbe una grande quantità di anidride carbonica rilasciando altrettanto ossigeno. I bambù utilizzati per costruire il labirinto sono oltre trecentomila, alti tra i 3 e i 18 metri, di 5 specie diverse, alcuni dal fusto maculato, altri striato e con diversi sfumature di verde e giallo, ne troviamo di nani, medi e giganti.
Il parco culturale, come viene definito, non è composto solo da piante ma anche da architetture di mattoni e si estende per circa 7 ettari. Ricci incarica l'architetto parmense Pier Carlo Bontempi, noto anche in Europa per l'uso delle forme classiche. Bontempi sceglie di ispirarsi per questa cittadella della cultura agli architetti utopisti e neoclassici Ledoux, Boullée, Lequeu e Antolini, noti per l'utilizzo di forme pure (sfere, piramidi e cubi) che diedero vita ad un'architettura parlante, simbolica. Bontempi, in questo progetto, realizzò due edifici a corte interna a pianta rettangolare, due parallelepipedi, una piramide e un edificio a pianta circolare. Come anticipato, gli edifici sono in mattoni fatti a mano, tipici delle costruzione del territorio padano circostante. Le architetture si integrano con il paesaggio che le circonda e nello stesso tempo rimangono sospese nel tempo e nello spazio grazie alle loro forme neoclassiche.
Si questa è la teoria alla base del parco culturale, ma questo non è stato sicuramente ideato da Ricci per studiarlo, piuttosto per viverlo, o meglio per perdercisi all'interno. Allora scopriamo questo luogo. Trovare il luogo non sarà difficile, perché il labirinto della Masone si trova...in Strada Masone, a Fontanellato, a pochi chilometri da Parma. Una volta lasciata l'auto nel grande parcheggio, si può entrare nel primo blocco. È un ordinatissimo edificio con una corte d'ingresso molto curata, che ospita un bistrot, un ristorante, uno shop di prodotti locali e un bookshop. Questi sono ad accesso pubblico. Qui troviamo anche la biglietteria con l'ingresso al labirinto e alla collezione Ricci. Il biglietto è giornaliero e potete entrare e uscire più volte da labirinto e mostre.
Il mio consiglio è di tuffarsi subito nel dedalo. Al desk vi consegneranno una mappa, ma è buona norma piegarla e metterla subito in tasca, dove sarebbe altrimenti il divertimento? In ogni caso non gettatela, se per caso vi stufate o avete necessità di uscire c'è un numero di telefono. Nella mappa sono indicati dei numeri casuali, raggiungete il più vicino a voi, chiamate: o vi verranno a prendere o vi indicheranno la via più breve per l'uscita.
Proprio alla partenza del percorso, c'è una piccola torre belvedere. Sembra una buona idea salire per poter scrutare dall'alto il labirinto e scovare la strada che porta alla meta. Sulla cima troverete altri come voi, illusi e delusi: l'alto bambù crea una selva informe, non si scorge il percorso e allora decidere di fissare dei punti, delle piccole radure. Da A a B, da B a C, da C a D e da D alla meta. Scesi dalla torre sicuri, dopo due minuti fra i vicoli e già vi sarete resi conti di quanto fallimentare fosse quel piano. Ma di una cosa sarete certi, dalla torre avete visto che l'uscita è esattamente al centro della stella, quindi puntando al centro ci dovreste arrivare in poco tempo. Altra idea balzana, vedremo in seguito.
Si iniziano a percorrere i viali, i bambù sono dei muri alti. Alcuni vicoli sono quasi bui perché avrete piante a destra, a sinistra cresciute a tal punto da ricongiungersi in cima. Altri sono più luminosi. Scovate le radure, dove sono state sapientemente posti dei pezzi di land art: realizzati in legno e pietra. Fermatevi a ragionare sul loro significato. Non mancano di certo bivi e vicoli ciechi, scegliete senza barare (tenuta la mappa nascosta nella tasca!). Alla fine l'invito reale del labirinto è di provare il piacere di perdersi tra la vegetazione, di rimanere per un'oretta in una dimensione sospesa e di scoprire anche un po' chi siete.
Procederete in solitaria fidandovi solo di voi stessi? O vi accorderete ad un improvvisato gruppo di compagni di viaggio appena conosciuti? Diventerete leader del gruppo o vi fiderete delle decisioni altrui? Tornando con la coda tra le gambe da un vicolo cieco, avviserete l'ignaro che sta per imboccarlo o tacerete? Immergetevi nel labirinto e scopritelo! Dopo un po' che vi districate fra i rami, è inevitabile, sentirete una voce familiare: è la ragazza del desk dell'ingresso, la potete scorgere fra i rami. Ma come è stato possibile, sono partito alla destra dell'entrata e ora mi ritrovo alla sinistra e non ho visto gli edifici al centro (con l'uscita)?
Tranquilli, quando starete per disperare arriverete al centro. Vi accoglierà una piazza di duemila metri quadri: ai suoi lati porticati ad arco aperti e saloni. In questi spazi vengono ospitati concerti, feste, eventi privati, esposizioni temporanee e manifestazioni culturali. Sulla piazza affaccia anche una cappella a forma piramidale a ricordarci che il labirinto non è altro che “una selva oscura ove la ritta via era smarrita”. In quest'area sono presenti anche due eleganti suites finemente decorate e arredate, rifinite con decorazioni per far vivere agli ospiti l'esperienza di dormire all'interno di un labirinto. Ciò che indubbiamente colpisce di questo spazio è l'ordine e la purezza dell'architettura, in netto contrasto con il caos naturale che si è appena attraversato. Se si è bravi in 45 minuti si raggiunge la piazza centrale e da qui, con un comodo e rettilineo viale in 5 minuti si può tornare al punto di partenza. Inaspettatamente l'uscita è al centro del labirinto stesso. Singolare e raro.
Ora tornati all'ingresso non resta che addentrarsi nelle sale che ospitano la collezione d'arte di Franco Maria Ricci. La collezione conta ben 500 pezzi e abbraccia cinque secoli, dal Cinquecento al Novecento, ed è alquanto eclettica e curiosa. Non stupisce che ad accogliere il visitatore ci sia una Jaguar anni '60 nero fiammante. Nel percorso troviamo sculture, busti e oggetti d'arte e dipinti. Spiccano le Vanitas, nature morte con teschio, e la raccolta di quadri manieristi, fra cui troviamo opere di Carracci e Cambiaso. Meritano uno sguardo attento la sezione dedicata agli anni di splendore del Ducato di Parma e alcuni pezzi di noti autori ottocenteschi, come Hayez, presenti nella galleria. Per il Novecento troviamo, invece, le sculture di Wild e le tele di Ligabue accostate a espressioni dell'arte Decò. La visita procede ordinata, non è labirintica, ma non aspettatevi un classico museo: si procede per associazioni e parallelismi, si passa da un'epoca ad un'altra e spesso alle opere vengono accostati i libri, a ricordarci la doppia natura di Ricci, collezionista ed editore.
Nella collezione sono presenti anche le tavole originali del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, un libro la cui prima edizione fu curata da Ricci stesso. La collezione permanente è sempre accostata anche ad una collezione temporanea, che spazia in diversi campi: mostre monotematiche di pittori o scultori non solo italiani, mostre fotografiche e incursioni nel mondo dell'editoria. Ricordiamo il focus su Calvino e il prossimo sui taccuino di Orhan Pamuk. Anche per la collezione calcolate almeno 45 minuti di visita, se volete approfondire, uno storico dell'arte della Fondazione Franco Maria Ricci vi potrà accompagnare in una visita guidata. Nel complesso è presente anche una biblioteca con 15 mila volumi d'arte e tutti i libri curati nei cinquant'anni d'attività di Ricci, un atelier e la sede della casa editrice Franco Maria Ricci.
Usciti dalla collezione avete concluso la visita in questo posto unico che è un'opera d'arte fra natura e architettura, un luogo in cui il visitatore diventa parte di un'installazione vivente. Potete passare dal bookshop o rifocillarvi in uno dei punti ristoro, prima di riprendere l'auto orgogliosi di essere riusciti a uscire indenni dal più grande labirinto esistente al mondo di bambù.