I
Dadoforo
Ecco il nobile principe che siede sul ligneo scranno sotto il roccioso trono di Tantalo. Guarda il suo capo sembra pesante e resta fisso verso il petto. La mente sembra ferma in chiusi pensieri. Ancora le serpentine cagne gli grideranno contro? Troverà pace in Lacedemone?
Araldo
Forse parla con lo Psicopompo, come anche Heracle amico dei boschi e Odisseo dai torti pensieri con lui conversavano profondi davanti alla colonna della Sfinge o nell’antro delle ninfe. Forse nuova gloria si prepara fra i cinque solchi seminati.
Dadoforo
Non serve che sia accesa la fiaccola (la spegne). Il principe ha le chiome recise e la faccia sporca di argilla e di gesso e ora sembra dormire. Ai suoi piedi un arco fatto con le due corna di un ariete.
Coro
Già nove lune Elena dalle bionde trecce è entrata nel bosco dell’Urania nell’isola del cipresso e più non vi è uscita. Nessuno può cercarla e solo la regina poteva entrarci. Già da tempo il re ha calzato l’elmo alato dell’Acachesio e uno scranno ha ora vicino a Kore. Quando tornerà la gloria a Lacedemone? Eppure ancora il demone vive sotto il fiume di Europa e ricchezza dona ai figli dei Seminati ogni volta che si alzano e si abbassano le quaglie celesti spargendo la madre terra nera in tutta la valle. Come può finire la stirpe di Taigete e di Eolo? Se anche i venti di Artemide più veloci di Abraxas che scalpita nelle sette caverne di Emo non soffiano più in cima al monte sacro ancora gli amici del Lupo immolano sette bianchi cavalli ad ogni luna piena. C’è nobiltà più antica e sacrificio più gradito?
Dadoforo
Finché vive il nobile Oreste speranza ha il nome di Sparta perché il principe unisce la stirpe di Eolo a quella di Tantalo. Forse la pace è vicina. Forse le sue mani l’ultimo sangue hanno versato e Ate dalla ruota di fuoco è soddisfatta. Chi è più forte dei Titani che anche Zeus non tutti potè distruggerli ma pure se li fece amici? Chi è più imprendibile dei venti che nessuno può vincere e portano sia gloria che distruzione? Anche Agamennone il potente restò di fronte a loro impotente in Aulide.
Oreste
Non mi è servito neppure posare il capo sul sacro Abadir, che ad Abari iperboreo un fulmine del Kronide indicò, né recare a Pito l'ulivo pesante di lana e abbracciare inginocchiato il divino tripode, né inalare i fumi che escono dalla spaccatura. Oh pietra di Rea e di Kronos perché non hai attirato il serpente? Perché hai lasciato intere le focacce mielose e non mi ha leccato le mani? La testa mi resta pesante e la mente fosca. Qui ho trovato asilo, nella terra dove ancora dicono viva dentro il nero pozzo e sotto le acque del fiume di Europa il divino Ladone dalle cerulee squame che già Leda custodiva e come lei le prime ninfe Neda e Stige. Eppure nessun sogno ho ricevuto in dono e anche se qui ricevo finalmente un po’ di riposo e urla e sussurri più non mi opprimono, pur non posso restare sepolto vivo in questa reggia e so che Nemesi dalla corona di corna di cervi vuole qualcosa da me che la sua frusta incalza anche i re. Gli anziani mi guardano pensosi, già tristi per la mancanza di regina e di re.
Coro
Il tempo del supplice sta per finire. Ancora una luna e dovrà ripartire. Chi gli parlerà senza incorrere nell’ira di un dio? Il figlio di Maia lo protegge ma l’Argifonte dall’occhio acuto è nume pericoloso. Dicono che passi nel silenzio che ama ma pure ispira sapienza nel parlare. Difficile con lui essere giusti. Che Taigete dal monte boscoso guardi benigna la stirpe del lago. Ma ecco lo ierofante del Lupo che gli si avvicina muto recando un pesante dono.
Araldo
Guarda: straccia le nere bende e il capo scopre dal velo. Si lava mani e testa con acqua e menta. Ora lascia un trofeo davanti a lui su un grande e antico tripode di corniolo che regge il bronzo.
Coro
Il tempo del lutto è finito. Questo scudo alza se riesci. Reca il serpente sulla sua fascia e l’amato re Menelao dal manto di croco lo ricevette dai re di Sparta che regnarono prima. E’ lo scudo divino del pio Abante, terrore dei nemici. Non parlare se un dio non lo vuole. Guardalo e non fuggire e pensa se vuoi chiamare la regina.
Araldo
Ancora muto resta il principe. Eppure ha scelto Sparta al posto di Argo e di Micene e bene ha fatto. Il capo mostra ancora gravato di nuvole. Non gli è servito neppure scendere nella fonte Ippokrene che lo zoccolo di Pegaso fece guizzare fuori con il guerriero Krisaore quando entrò nel recinto della signora dei lupi.
Coro
E’ della stirpe di Perseo, l’alato eroe di Kemi, non può perdere la città del fungo ed è protetto dall’Argifonte. Non può tornare dove ha rivoltato la doppia scure lorda contro la nuova Gorgone, come Perseo non tornò dagli Iperborei. Non poteva che venire a Sparta per provare se è degno di ricevere la gloria di Lacedemone e con essa la lancia di Pelope e il trono di Tantalo. Ma forse lo ignora e un dio gli offusca la mente. O forse la paura di cadere in peggior disonore è più forte che il desiderio di gloria.
Licurgo
Un ramo di mirto colmo di miele troviamo sull’orlo del nero pozzo. Certo viene dall’Isola dell’Urania e annunzia l’apoteosi della gloriosa Elena dalle molti voci. Portate nove colombe e sacrifichiamole in suo onore. Per lei danzino le giovani fanciulle vergini a seno scoperto e di notte la feconda sposa di Helios guidi la processione fino al lago per offrire acqua e miele come già facciamo da quando le invincibili figlie di Danao portarono la dea dall’aurea falce che sparge le sementi con la sua materna terra nera in questo sacro luogo.
Oreste
Con il sacro scudo mi alzo, guardami oh custode dei riti antichi e conducimi alla processione perché anch’io onori la divina Elena pelle di luna che ha regnato su tutta la terra di Europa dalle cinque città seminate fino alle coste della porpora e dal cronide Nilo fino al dorato Fasi dove il figlio di Helios dall’occhio alato arò aggiogando furenti tori. Il nome della figlia di Helios dalla pelle di cigno è ancora potente e mi accende il petto di un nuovo fuoco.
Coro
Eccolo come giovinetto corre sulle pendici della sacra montagna saltando rovi e fossi, balzando come cerbiatto fra eriche e tamerici ricche di quaglie, e al suo fianco gli efebi roteano le torce odorose e crepitanti. Si accendono i fuochi in cerchio su tutte le alture e acuti fischiano i flauti per la nuova dea che sorge come l’aurora davanti alle siepi cariche di mielose libagioni.
Coro delle fanciulle
Impastiamo il loto che la Regina dalla lattea pelle portò dalla terra di Helios e facciamone bambole da appendere ai rami dei suoi platani con bende tinte di porpora e ghirlande di giacinto. Un tempo Elena guidava sessanta fanciulle dal chitone di croco nell’impetuosa corsa e nella danza con i dardi e le sfere vermiglie. Questa notte la luce di Selene guiderà centoventi fanciulle unte di profumato olio che lanceranno il grido ed eleveranno l’inno.
Di notte nella reggia vuota e al lume di tre torce giace il principe sullo scranno di cipresso.
Oreste
Passata è la gioiosa festa notturna. Le fanciulle hanno deposto le rose e versato l’idromele ai piedi del fonte dove si riposava la Regina dalle lunghe trecce quando le scioglieva dalle bende di porpora all’ombra del platano licoroso, e già torna il mio capo pesante di pensieri turbinosi e oscuri. Per quanto tempo sarà ricordata la sterminatrice di eroi? Per quante nascite gli aedi canteranno la distruttrice di Ilio? Anche domani il coppiere della reggia di Heracle di Tebe liberà per Elena tessitrice di inganni? Il mandriano celeste che reca il fanciullo serpentino mi ha portato sotto il Taigete per essere finalmente purificato dalle dolci Ninfe oppure Ate dalle chiome viola vuole che diventi re di Sparta un principe sventurato e dalle mani insanguinate? Ma come posso osare di ricevere la lancia del glorioso Menalo dal manto di croco? Come portare lo stesso sangue sparso della divina stirpe sul suo trono più nobile e antico? Forse ci aiuterà l’ombra di Alexandra la terribile custode del tesoro di Ilio?
Araldo
Ecco che illustre figura dalle chiome di neve giunge portata su una purpurea lettiga. La precede una processione di auleti e di citaredi dalle sette corde e innalzano il vessillo di Pito.
Oreste
Oh dea dalla corona di viole fa che sia il caro Pilade che sempre mi aiuta, lo sposo della luminosa Elettra di Kastore sacra alla signora delle cinque cerve iperboree e il figlio della potente melamponide Anassibia, sacra alla regina dall’arco serpentino signora del lupo e dell’upupa. Solo questo re può leggere il sogno che mi grava sul petto. Elena che tessevi il peplo viola fai correre ancora la spola veloce.
Pilade
Ti saluto sangue di Leda, audace Oreste amico dei monti che sei chiamato al regno. Non averne male se non mi alzo.
Oreste
Ascolto una voce amica ma non so se viene da una visione o da un figlio di Pirra.
Pilade
Scaccia gli spessi fumi del dolce papavero oh grande re e riconosci l’immagine che vedi anche se mutata. Guarda i miei occhi. Ti faccia fede il suono che ti ha sempre accompagnato fin da bambino.
Oreste
Convincimi amico che sei il figlio del re guardiano della roccia delfinia.
Pilade
Una cosa sola ti dico che già ti dissi: fosti portato davanti mio padre da infante in una cesta di giunchi, paglia e argilla e ti portava la luminosa Elettra di Kastore ed eri coperto da un tessuto di lino dipinto con porpora con figure di bestie selvagge: orsi, cinghiali e lupi. La tua collana reca una gemma nera rosseggiante con un gallo dai piedi serpentini armato di scudo e frusta e che alza la testa e apre il becco verso oriente e le quaglie celesti. E dentro la cesta mio padre vide tre divini doni cretesi: lo specchio, il pettine, la sfera.
Oreste
Che ti successe oh fratello amato? Ti scorgo sdraiato come un simulacro di frassino e vedo il tuo volto rugoso e tutte le chiome argentate. Forse che anche tu ti stai trasformando in una cavalletta?
Pilade
Ida ha deciso e poco tessuto per me resta. Già dall’alto affilano la doppia scure. Tu resti giovane e forte, guizzante come un serpente, me invece Nemesi dall’etiope cratere chiama presto. Forse lo sguardo fiammante di Elettra non ho saputo reggere, che la sposa di Kastore, che tu mi hai donato, è terribile come il Palladio ed è sacra alla signora saettatrice del Taigeto, o forse le danze armate di notte mi hanno sfiancato il cuore. Mi resta di ascoltare lo stormire della quercia. Per te torno indietro un ultima volta perché così vogliono e pure il mio cuore vuole favorire il preservato dalle Vegliarde.
Oreste
Ascolto la tua voce che parla come l’occulto Karno, il sapiente figlio di Europa, o come un figlio di Iamo amante della viola e amico del fiume impetuoso. Non sapevo che un serpente ti avesse leccato le orecchie. Sempre mi sei stato come l’amico dai calzari alati e ora mi dai coraggio che sono solo in questa sala e molti occhi mi scrutano. Come posso alzarmi al trono di Lacedemone figlio di Zeus e della gloriosa settima Taigete se il sangue della Gorgone ha macchiato le mie mani? Può Ladone darmi vittoria se ne ho ucciso la anguicrinita guerriera dalla fatale rete e dall’infallibile doppia scure? Come nostro padre Prometeo l’astuto mi sento avvinto a questo antro di roccia senza poter né uscire e né muovermi, anche se dicono che Heracle lo abbia liberato e che felice ora si nasconda come Kronos ebbro di miele e sieda incoronato di salice portando un anello di ferro con una pietra incastonata.
Araldo
Il principe parla di uomini con corone in testa e anelli? Deve essere la sua follia. Da quando i re o gli eroi vengono acconciati come regine o come buoi pronti per l’altare? Forse i tempi stanno cambiando?
Pilade
Proprio ora esiti che così vicino sei a grande gloria? Nessuno ha regnato in pace dopo Tantalo tranne il primo Lacedemone che visse al suo tempo, che questo luogo come Argo sempre doppio ha dovuto ricevere i re e sempre stilla sangue ribollente. Ma tu per primo compi il prodigio. Senza nemici resti tu solo con il sangue dei titani mescolato a quello delle prime ninfe e unisci in una sola le due stirpi avverse e gemelle. Nessuno è più degno per ricevere i doni dalla divina Ermione.
Oreste
Non chiamarla che non l’ho ancora vista e non ho ancora parlato. Temo quel nome che fino ad ora solo il grande figlio del glorioso Achille dalle chiome di fuoco ha avvicinato.
Pilade
Vedo che non sei ancora guarito. Forse le mielose Ninfe non ti gridano più dietro qui fra i figli dei Seminati ma ti hanno lasciato un cuore spaventato che non è di re. Cosa temi? Ora che me ne vado resti solo tu. Non ricordi che Kronos non ha temuto di prendere il trono stellato di Urano e Zeus non ha avuto paura di conquistare con le folgori dei figli di Gea la falce di Kronos? E così non è stirpe celeste quella di Tantalo e di Pelope e di Atreo che hanno cercato di imitare Urano e Kronos e quindi Zeus temendoli li ha puniti ma non ha potuto ritirare il favore divino su di loro? A te giunge questo dono e non hai neppure dovuto smembrare i nemici come fece ancora Menelao dall’acuta lancia ad Ilio offrendoli alla bianca Ida né hai dovuto ripetere i riti di Licaone che ora basta un Licurgo che li ricorda con le corse e le maschere. Chi riceve il trono dalla figlia della Pleiade è già purificato perché è come nato di nuovo.
Oreste
Come farò senza di te gemello mio? Nuove e strane cose mi annunzi divenuto improvvisamente loquace come cigno che canta l’ultimo canto. Certamente il fanciullo dalla verga d’oro è sopra di te. Vicine le Parche sussurrare arcani e se te ne vai all’altra riva è vero che la ruota gira e nuova maschera Ananke indosserà fra breve.
Pilade
Al mio canto manca la cetra. Le corde si sfilano. Chiedimi presto se vuoi interrogarmi.
Oreste
Un sogno mai sognato mi grava sul petto. Sul far del mattino mi giunse. Ero bambino e correvo fra i giunchi e le canne dell’impetuoso fiume di Europa dove esce per portare la ricca madre terra nera come il cronide Nilo ottava parte di Oceano usciva benefico ai nostri antichi padri i gloriosi Lelegi. Mi persi passando in un alzarsi di ibis e vidi nel folto alteri fanciulli, nudi come me, che urlavano o gemevano o stavano muti con gli occhi in fuori e la schiuma alla bocca vicino ad un immagine in legno di corniola di Artemide con grandi seni e capelli serpentini e una lancia lunga dalla punta di osso nella destra. Sulla fronte era adorna di un labda porpora. Corsi ad abbracciarla come spinto da un vento violento e non mi staccavo da lei. La cosa strana era che la statua della dea non era sdraiata ma era eretta e sudava odorosa ed era tenuta eretta da un groviglio inestricabile di giunchi e nodi e mentre l’abbracciavo anch’io ne restavo avvinto.
Pilade
Il tuo farmaco tu stesso l’hai ricevuto per mezzo del bastone aureo dell’alato coppiere. Non ricordi l’origine della nostra stirpe? Non sai che il sacro monte dove corrono e si nascondono i giovani lacedemoni è terra possesso della cacciatrice dai molti nomi e le sono qui compagne le deliziose Kariti figlie di Kar il cui boato sa terrorizzare persino Tifeo ma la cui mistica musica ha ascoltato rapito Kadmo e anche Peleo e ha guidato Argo? Ricorda che la signora dal chitone di croco che regna sulla sacra Pitane non dimentica chi l’offende come si vendicò su Procri amante di Minosse. A te spetta di finire la corsa affinché la corona sia chiusa. Ahimè il tempo degli eroi sta per finire. Due sole nascite è durato, come soffio di vento. Che ne restino molti canti. Compi dunque la tua corsa.
Pilade si vela e viene portato via.
Oreste
Oh caro amico che non avesti paura di entrare con me nel fiume vorticoso del sangue fiammante. Veramente molte cose sa legare e sciogliere il giovane Re dell’ariete. Grande notizia mai ascoltata qui si compie, che a Lacedemone torni ancora una volta unico il re e che un principe accompagnato dalle Ninfe serpentine dalle furenti torce riceva lo scettro appuntito di Pelope dalla nuova Elena dalle belle trecce d’oro. Ora che sei andato per sempre amico mio ricordo da bambino le corse e i giochi fra le dolci canne al vento del fiume impetuoso. E il perdersi e nere figure nel fitto della nera palude. Allora non temevamo i lupi né i serpenti d’acqua che salgono anche sulle corna dei tori e si elevano quando sorge il sole. Ora ricordo i racconti di Euridice che mi allevò come un figlio e mi narrava che il nostro sangue viene dalla nera terra di Helios dove il grande fiume della dea, il cronide Nilo, vena feconda, si apre in due come un labda e poi in mille fiumi e le due famiglie divise di Lelegi dovranno tornare da re in quella terra paludosa ricca di loto e di palme. Là il titano Helios fù smembrato da Tifone dalle orecchie di asino e la sua sposa dalla feconda falce ne raccolse le tredici parti con l’aiuto del nume dalla verga serpentina, il fedele guardiano mascherato come lupo. Metà famiglia dei Lelegi si fermò nell’isola bianca di Ida e l’altra metà andò fino all’aureo Fasi, e sacrificarono al Toro figlio di Kore appena sbarcati, per cui da allora furono chiamati Tauri. Ma non ho più aratri da aggiogare a tori fiammanti né mostri da colpire. Me stesso colpito vivo. Mostro sono agli uomini e agli dei.
II
Licurgo
Ancora folle geme il figlio di Leda? Lo hanno visto correre coperto d’olio come un fanciullo verso la palude sacra dove più le canne sono fitte, il corpo sanguinante. Ha perso anche un dito che le canne tradiscono e come scuri possono tagliare. Vuole che sia offerto alle Ninfe dalle torce agitate e nel loro recinto lo deponiamo avvolto in un velo di porpora e appeso ad un salice. Giusto ci sembra che onori quelle che hanno assistito alla sua nascita e lo hanno preservato dalla lama che lo sfiorò infante.
Ierofante
Signore dei lupi ti annunzio un grande prodigio: i pellegrini nel recinto delle Moire dicono che le sognano vestite di candide vesti, non più scure come la notte.
Coro
Nuova era sorge con Oreste il re dai torti pensieri che persino le Uranidi dalle acute grida ha addolcito con il proprio stesso sangue e prodigio migliore si è compiuto e opposto rispetto alla maledizione del figlio di Phebe profetessa che scuro fece il corvo di Kronos. Ma eccolo ora ritorna dalla sua impetuosa corsa coperto di fango e di erbe.
Oreste
Nel bosco di Ladone dalle sette paludi ho ritrovato la perduta amata sorella e mai ora mi separerò dall’immagine della vergine che trabocca licore e dal mantello di pelli di fulvo toro. Ascoltate figli di Lacedemone e suoi custodi: sono il re Oreste che ha lasciato Argo per venire dai figli dei Seminati a chiamare la regina, la nuova Elena dalle trecce auree. In dono porto l’immagine di mia sorella la saettatrice dai seni scoperti e dalle lunghe chiome serpentine. Lasciatemi elevare un grande recinto circolare ricco di salici per la dea dalle tre maschere che ora si erge emersa dalle scure profondità come la sua rocciosa isola a brandire l’acuta lancia per annunziare che a me spetta chiedere la lancia di Pelope. I serpi si fecero giunchi e i bosco brulicava di spire ma sono scampato dall’intrico offrendo il mio sangue grazie alla dea che regna sulla pantera del Taigeto dalle auree corna.
Coro
Ammira oh Sparta la bellezza del figlio di Leda. Sembra più giovane di quando Agamennone abbattè la rocca di Ate dalle chiome viola, risvegliandola. I suoi riccioli d’oro e la sua pella bianca ricordano i cigni Iperborei. Un occhio è nero e uno color del cielo. Non ci servono due re. Abbiamo il nuovo custode del lago. Un nuovo sangue irrora di giacinto i pomi delle sue guance. Preparate la regina con i veli e le odorose torce. Che la prova inizi alla prossima luna che viene.
Oreste
Ancora un pensiero di ferro mi resta. Una parte del sogno mi fece dimenticare il nume che reca il fanciullo anguicrinito e qualcosa non raccontai al saggio Pilade. Una grande aquila stava andando verso il sole. Si voltò indietro all’improvviso e si lanciò feroce verso il basso come folgore per raggiungere un grande uovo giacinto e distruggerlo. Ma una ninfa dalla pelle di cigno, più luminosa del latte, alzò una spessa pelle aurea irta di corna e artigli a difesa dell’uovo. Si nascose poi fra i giunchi e teneva l’uovo fra le sue gambe abbracciandolo dentro la palude fino ai fianchi. L’aquila se ne andò furente e la sua furia si versava sulla terra durante le tempeste nei bagliori. Non ha potuto più tornare.
Araldo
Principe Oreste ecco a te questa notte giungono Nicostrato e Megapente, figli gemelli di Menelao. Il loro passo è furente e l’aria di fuoco di accende.
Licurgo
Fermatevi figli di Menelao dai forti nomi. La reggia è sacra ad Hera divoratrice di capre. Heracle di Tebe la consacrò, il tredicesimo figlio di Io la furiosa. Non si può contaminare con la violenza.
Nicostrato
A noi spetta il trono perché sangue di Menelao portiamo e siamo gemelli. Tu lo sai che tutto è doppio a Lacedemone come quando l’uovo di Nemesi felicemente si ruppe. E sempre due sono le statue delle divinità nei sacri recinti, come qui solo due sono le Kariti e due i serpenti che le sacerdotesse di Ida brandiscono nelle mani, e due i troni gloriosi, e due i nomi della stirpe, Lacedemone e Sparta, come due sono i signori di Pito, e due le grandi stelle: del mattino e della sera.
Oreste
Il cielo è nuvoloso e fosco. Non vi aiuteranno le stelle. Nella notte non servono gli specchi.
Nicostrato
I due fratelli divini invochiamo che vengono dal Taigete e che sconfissero Ida e Liceo e loro sottrassero le sacre fulve mandrie e le figlie del signore dei bianchi cavalli rapirono come il nume che frustra gli armenti in una notte luminosa conquistò i cinquanta buoi di Helios vincendo il loro furioso custode dalle chiome mai recise.
Oreste
Se sapeste quanto sangue gronda dai trofei sareste meno superbi. Nessuno occupa il trono, prendetelo se potete. Che cessi il sangue che zampilla bollente da Argo dai molti occhi.
Nicostrato
Non sappiamo quale follia ti guida. Non puoi regnare sui cinque denti seminati.
Oreste
E’ quella più antica, quella dono delle prime figlie di Urano.
Nicostrato
Non ti crediamo. Nessuno può tenere un impeto così violento.
Licurgo
Gli Sparti si riuniscano in assemblea ora e ascoltiamo gli anziani.
Araldo
Ecco i figli dei Seminati, il sangue ardente di Kadmo e del serpente Kastalia è mescolato nelle loro vene.
Licurgo
Si siedano in cerchio gli anziani sui seggi di pietra e parli il più vecchio: Tindareo, l’amato da Asclepio dal bastone serpentino. Tutti gli altri in silenzio.
Coro
Ecco il grande re che giace su di un giaciglio di canne del fiume come un ragazzo. Fermo sta come pietra e la bocca muove come notturna farfalla. Dove è finito lo splendore dell’amico di Heracle di Tebe? Vediamo una larva grigia che sembra una ossuta Tria avida di miele. Questa volta il rinato non sfuggirà domani al rapimento di Kher, non gioverà più il guaritore del salice a colui che la dea dalla cinta variopinta ha disprezzato, che una volta sola arriva il dono divino. Zitti che qualcosa sembra sussurrare flebile come cammino di formica.
Tindareo
Una è Ermione. Uno sarà il re. (Si vela)
Licurgo
Il più anziano ha parlato e ha parlato giusto. Il sangue di Elena è solo in Ermione. Penelope la rosseggiante, la salvata dalle acque, ha investito Telegono, già sposo della regina del Nilo e il re di Giacinto e del’Isola del corvo ha sterminato tutti i principi, sangue di eroi. Non c’è altra discendenza. Sangue di schiava non vogliano. L’essere del lago si ribellerebbe e sommergerebbe tutti i cinque solchi. Parola sotto l’ombra di Kher non mente.
Gli Sparti
Da noi il regno viene dalle figlie della dea.
Oreste
Non temo i doppi. Affido al signore dalla verga doppia questa contesa, lui che è patrono delle gare.
Gli Sparti
Da noi il regno viene dalle figlie della dea.
Nicostrato e Megapente si avvicinano ad Oreste che resta seduto sullo scranno e con lo scudo ai suoi piedi. Un gufo entra nella sala e stride. Lasciando cadere un serpente vivo attorcigliato ad un ramo fra i gemelli e Oreste.
Licurgo
Non servono altri segni. Cacciateli via dalla reggia e non si parli più di loro.
Coro
Ora il principe che reca il pesante glorioso scudo deve presentarsi nudo e senza torcia e con un sistro di bronzo nella mano sinistra nel bosco dei platani, sul ponte di legno che porta all’isola rotonda, davanti alla regina, e chiamarla tre volte. Dura prova perché terribile è la signora del lago.
Dadoforo (con torcia girata verso il basso e il mantello sul viso)
Ecco Licurgo che accompagna Oreste vestito di foglie di platano e incoronato di mirto e appoggiato ad una canna davanti a una cortina di veli di porpora nel tempio di Afrodite armata di lancia detta oscura e sterminatrice di uomini, dentro il bosco dei platani. Vasto è il silenzio. Solo un sistro di rame ad ogni passo fa sentire i suoi sonagli, come soffio di serpente.
Ierofante
Ecco il principe che regge il terribile scudo di Abante. Lo appoggia a terra riverso su di una roccia rossa e reca in dono la cacciatrice dai seni nudi armata di lancia dalla punta di osso.
Ierofante
Cosa chiede il fanciullo alla regina?
Oreste
La mano del cuore per proteggerlo e la mano della lancia per reggerle lo scettro.
Ierofante
Qual è lo scettro e qual è la corona?
Oreste
L’acuto fuso d’oro e la melagrana intrecciata alla menta
Ierofante
Dove sta il re?
Oreste
Alla sinistra della regina e parla dopo di lei perché prima nacque Neda, la prima ninfa della palude, e poi Lacedemone.
Ierofante
Dove regna la regina?
Oreste
Ovunque arrivi la spuma del mare e il soffio del vento e fin dove vola il cigno. Guai a chi ne ferma il viaggio perché anche Io furente dalle chiome viola andò pellegrina fino alla terra di Helios e nessuno potè fermarla. Se la Iokolpa Epitymbidia la chiama deve andare ad offrirle sacrifici nei suoi boschi sacri quando la luna regna.
Coro
Ora il fanciullo canta le gesta della signora del lago dall’arco serpentino che scintilla d’argento quando guida le danze delle Kariti e delle ninfe vestite da orsa sotto lo splendore notturno sulle vette del monte di Helios lei che ha inventato il cordace o quando manda i venti impetuosi a gonfiare le vele veloci e il manto porpora di Ino o quando la nutrice di Giacinto, la cacciatrice iperborea, signora dell’Isola bianca porta i trofei di caccia agli amici Ciclopi e lascia le armi e la frusta in custodia al signore del caduceo sul Taigete assolato. Se il nume dei più antichi pietrosi altari, l’Argifonte dall’acuta vista e dal bastone d’oro con le bianche bende presiede al sorgere degli eroi come fece con Achille glorioso e con Aristeo benefico similmente la Ditynna salva dalle acque presiede alla nascita dei mortali. Canterà anche quando vola la sua invincibile rete viola e quando saetta come la grandine che tutti colpisce e spacca l’aria e quando la segue l’amica Ecate dai bianchi veli e dalle luminose torce e quando incorona di oleastro i vincitori delle corse e molto altro ma non canterà quando si bagna nel lago con le sessanta Oceanine sue ancelle la bianca signora occhio di lince. Ma ora silenzio che un solo velo rimane e le figure si riconoscono vicine con il loro respiro.
Ermione
Chi chiami? E cosa porti?
Oreste
Chiamo te oh regina amata da Helios e dalla signora dei cervi per custodire con te il lago e chi lo abita. Ti porto il mio sangue offerto alle più antiche uranie Ninfe e un ricciolo tagliato alle chiome di Pirro che ti desiderava come fuoco il bosco e che ho offerto al Signore del Lupo all’ombra di Pito come ho offerto colei che usurpava il nome di tua madre pelle di cigno, la figlia del nuovo Egis, da me trasformata in papavero purpureo come feci con il suo superbo tiranno presso la pietra del toro. Qui c’è mia sorella con gli occhi aperti e un mantello di pelli di fulvo toro e una lancia nella destra con l’acuta punta di osso.
Ermione
Come si chiama il nostro popolo?
Oreste
Siamo gli ultimi Lelegi, come Lelegi furono ancora Anceo che seguì Diomede dalla pelle maculata di cerbiatto fino ad aggiogare i tori di Helios fra i melamponidi Tauri per seminare come nuovo Kadmo, e come Lelege fu il possente profeta Eaco dalla parola di fuoco, re dell’Isola del serpente e padre del popolo formica, lui che è figlio di Egina, sorella di Egis ed elevava sapiente le alte mura del forte di Ilio amato da Ate mentre il figlio di Maia guardava e pizzicava la settuplice aurea cetra.
Coro
Questo principe è molto diverso dall’orgoglioso figlio dell’amato Achille, dalle chiome color sangue. Ermione lo guarda sorridendo. Apprezza i suoi doni perché sono graditi ad Afrodite armata che danza sui sepolcri.
Ierofante
Si apra il bianco velo fra profumati vapori e appaia alla luce del carro di Eos la splendida figlia di Leda dalle chiome d’oro e dalla pelle di cigno. I suoi occhi sorridono alteri e infuocati e le guance rosseggiano di minio. Splendenti bracciali scuri a forma di murene intrecciate chiudono le lattee braccia nude e ondeggiano le lunghe trecce annodate in sette nodi con fiori di viola e di narciso. Ecco il suo corto chitone color mosto con un mantello di porpora dai bordi d’argento adornato da trentasei campanelli di rame splendente sull’orlo e ricamato con un serpente d’oro screziato di stelle che ondeggia e si avvolge attorno ad una tartaruga d’oro rosso così appare Ermione recando sul capo un folto serto di giacinti con piume di pavone e calzando aurei sandali d’oro scuro ricchi di perle color latte.
Ermione
Eccomi. Accogli la regina del lago, la protetta dalla Signora della pantera coronata di dardi che regna su tutta l’isola.
Araldo
Gloria a Lacedemone e a Sparta unite. Vittoria alla folle Inax. Si accenda il fuoco sulla pietra delle ninfe.
Coro
Ecco i felici re che sfregano la selce e accendono tre fascine di cornioli e noccioli unti di olio sulla pietra sacra alle Ninfe.
Oreste
Di notte e di giorno avrò cura del sacro Uovo.
Si danno le mani mentre vengono irrorati di profumi e di mirra e cinti di bende bianche screziate.
Coro
Cantate e danzate vergini coperte di olio e incoronate di ghirlande di narcisi e di viole gli stipiti e le bestie che questa notte veda la gloria di nuove nozze fra Sparta e Lacedemone. La notte arda di torce e di tripodi, l’aria sia pregna di vapori e di profumati unguenti e le cetre a sette corde e i doppi flauti non cessino di riempire le distanze per nove giorni. Ermione regna con il suo sangue Oreste, fiume di virtù e di coraggio. Nuove imprese gli aedi canteranno presto.
Intermezzo. Nelle scuderie della reggia di Tindaro in una notte senza luna due voci sussurrano.
Teledamo
Le guardie si sono arrese al vino e alle nostre chiacchere cretesi.
Pelope
Già da sette notti spiamo la reggia mascherati da viandanti dal largo petaso e dal bastone ricurvo. Non possiamo celare a lungo le affilate scuri sotto la paglia. Non abbiamo visto che la stessa figura scura fissa sulla roccia del trono.
Teledamo
Dobbiamo decidere se risvegliare il fuoco di Ate o lasciare questa terra per sempre.
Pelope
Abbiamo viaggiato dal pozzo viola di Tenaro fino alla vetta assolata del Taigete amato dai cervi dove le Moire ci salvarono infanti in una cesta di giunchi, dove ha cantato Orfeo offrendo grano e latte ad Helios, e abbiamo peregrinato dall’impetuoso ceruleo Ladone fino alla nera palude di Europa.
Teledamo
Oggi ho scoperto un'altra immagine in legno della madre dalle belle chiome, vicino all’isola dei platani. Qui la chiamano Alexandra, la protettrice.
Pelope
Ne abbiamo eretta una sola, di notte, e nella terra del lago l’hanno fatta simile per dodici volte, e tutte odorose stilano profumi. Dicono che da ora in poi dedicheranno alle divinità e agli eroi solo immagini erette e con gli occhi aperti in suo ricordo, che profetava alzata, bianca più dell’avorio, bella come alta nuvola rotonda circonfusa di luce, anche se il cane superbo osò insozzarla come l’uccisore di Egis insozzò il Palladio offendendo la titanide Elettra la luminosa. Non possiamo dire che Oreste non sia tanto astuto quanto pio. Sacrificheremo chi ha sacrificato la cagna infera che ha spento in Alexandra la velata l’ultimo ceppo di eroi?
Teledamo
Stanchi sembriamo di seguire la furia di Ate e stanchi di ascoltare le voci di Nemesi. Il protetto dell’annunziatore alato, il re dalle chiome fulve odiato dallo Scuotiterra ha fatto come Oreste dai nascosti pensieri: ha sterminato tutti gli eroi e i loro fecondi ceppi. Chi darà gloria agli abitanti dei divini nuvolosi monti e chi da loro la riceverà?
Pelope
La dea che impugna la ruota di fuoco non può che essere soddisfatta. Fra tutti i figli di Kadmo non si vedono degni eredi e i figli di Dardano hanno già portato sulle coste selvagge di Esperia povera di pietre gli ultimi tesori di Ilio e le cose sacre e stanno già piantando nuovi ceppi pegno di futura gloria. Le uova del drago fioriranno.
Teledamo
Imitiamo anche noi Kronos nascosto e torniamo ai felici campi. Cosa c’è più da compiere? Alexandra regna onorata e quel cane di re è già dimenticato dopo essere stato distrutto dalla vendetta di Egis. Non lo ha salvato il suo Kronide. Piantare le fave nel mio bruno campo mi dà più gioia dell’incendiare questa reggia vuota. Oreste è folle ma non della stessa follìa di Odisseo tessitore di inganni e del suo infame compagno e bene ha già servito la dea dalla fiammante frusta e dalla corona di cervi. Non c’è onore ad alzare la scure su chi ha l’ha riposta piena del sangue serpentino e lordo di Alexandra. Il sangue si è mescolato. Non possiamo separarlo.
Pelope
Nel mio nome tutto si chiude e come una ghirlanda ritorna. Resta il nome che porto a parlare al mio posto e in esso mi velo.
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