È da tempo conclamato, e visibile di anno in anno nelle modifiche che intervengono, che il riscaldamento globale mette fortemente a rischio l’esistenza stessa delle grandi distese di ghiaccio, da quelle dei poli a quelle delle grandi catene montuose. La salvaguardia di questo patrimonio oltreché importante per la vita e la sopravvivenza della Terra e della civiltà come la conosciamo è certamente un obiettivo imprescindibile, esistenziale per il genere umano.
Di questo patrimonio vediamo oggi sempre più i segni di degrado prodotti in parte cospicua dalle attività umane sia industriali che di sistemi di vita e di consumo delle risorse. Un impatto certamente abnorme e quasi incredibile se si considera sia l’età della Terra che le dinamiche che per milioni di anni hanno retto gli equilibri dinamici sui quali la vita nel pianeta è nata, si è formata, è mutata ed è arrivata sino ad oggi.
Non si può certamente non considerare anche che il sistema terrestre ha sue specifiche modalità evolutive. Basti pensare alle forze immani che regolano ogni passaggio o mutamento e la stessa esistenza del sistema. Così da un lato l’attività geotermica, il vulcanismo, la sismicità e sino a ieri le attività umane a bassa intensità e più legate ai ritmi consolidati del globo. Così come le forze magnetiche che circondano e impregnano la massa terrestre e che interagiscono con quelle degli altri corpi celesti, in primis con quelli della stella che ci fa vivere, il Sole.
Queste forze sono talmente incontrollabili che sino ad oggi l’unica cosa che l’uomo ha potuto fare è controllarne la frequenza probabile, riassumere dati statistici attendibili e a mezzo di essi provare a comprenderne le evoluzioni. Un discorso che non minimizza l’impatto umano ma che consente di vederlo all’interno di detto sistema. Come diceva Amleto “vi sono più cose tra il cielo e la terra...”.
Questo significa che l’anelito di capire dell’uomo, di trovare il senso delle cose che accadono è una molla formidabile che deve farci comprendere il sistema nel quale viviamo e armonizzare al meglio quanto di esso siamo portatori. Un dato emerso recentemente nel corso di un’attività scientifica sulla catena dell’Himalaya, ha posto scienziati e ricercatori di fronte a una serie di eventi singolari che sembrano divergere dai modelli sinora accettati. Tutto questo può essere un fenomeno specifico e conseguente al riscaldamento climatico oppure il segnale di come la Terra abbia in sé risorse per reagire all’emergenza del global warming.
In sostanza un team di ricerca internazionale guidato dall’Istituto di scienze polari e dall’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr ha scoperto un fenomeno sorprendente: l'aumento delle temperature globali ha portato i ghiacciai dell'Himalaya a raffreddare sempre più l'aria a contatto con la superficie ghiacciata, mitigando a livello locale le temperature. Lo studio, realizzato in collaborazione con l'Institute of Science and Technology Austria, è stato di recente pubblicato su Nature Geoscience e potrebbe spiegare come tale raffreddamento, riscontrato in tutta la catena più alta del mondo, quella himalayana, potrebbe preservare il permafrost e gli ecosistemi d’alta quota.
Scientificamente si è accertato che i ghiacciai del mondo a causa del riscaldamento globale rischiano nel tempo di fondere completamente e scomparire. È apparso allora sorprendete che i ghiacciai della catena asiatica si trovano – almeno allo stato delle conoscenze – in controtendenza: le medie misurate della temperatura dell'aria invece di aumentare, come ci si aspettava, sono rimaste stabili e quelle estive decrescono.
“Sappiamo che gli effetti del riscaldamento dipendono dall'altitudine: le cime delle montagne risentono maggiormente dell'effetto del global warming e si riscaldano più velocemente”, ha osservato in proposito Franco Salerno, coautore dello studio e ricercatore Cnr-Isp. “Tuttavia, abbiamo scoperto che una stazione climatica d'alta quota alla base del Monte Everest, in Nepal, ha mostrato un fenomeno inaspettato: le medie della temperatura misurate dell'aria sono rimaste sospettosamente stabili, invece di aumentare”.
Per spiegare il fenomeno osservato il team di ricerca ha dovuto allora esaminare con attenzione i dati meteorologici che la stazione climatica del Laboratorio-Osservatorio Internazionale Piramide Ev-K2-Minoprio, situata a 5050 m di altitudine sulle pendici meridionali del Monte Everest, ha registrato per tre decenni, la più lunga serie climatica in alta quota esistente al mondo. Si tratta, come è facile capire di una serie che rappresenta l’unica evidenza per comprendere come è cambiato il clima sulle montagne del Terzo Polo, come viene considerato e identificato il cosiddetto Tetto del mondo, ovvero il sistema montuoso del centro dell’Asia con appunto la catena himalayana.
Dagli studi si è stabilito che i ghiacciai stanno reagendo al riscaldamento climatico aumentando lo scambio di temperatura con la superficie. Il riscaldamento globale causa, infatti, un aumento della differenza di temperatura tra l'aria ambientale più calda sopra il ghiacciaio e la massa d'aria a diretto contatto con la superficie del ghiacciaio. Per la ricercatrice dell’Ista e coautrice dello studio, Francesca Pellicciotti “questo porta a un aumento dello scambio di calore sulla superficie del ghiacciaio e un maggiore raffreddamento della massa d'aria superficiale. Le masse d'aria fresche e secche in superficie diventano più dense e scendono lungo i pendii verso le valli, raffreddando le parti inferiori dei ghiacciai e gli ecosistemi circostanti, che dipendono in questo modo dalla salute del ghiacciaio stesso”.
Con questa dinamica accertata si assiste a una sorta di paradosso perché il riscaldamento del clima sembra all’origine o stia innescando un aumento delle masse d’aria fredde – note come venti catabatici – che scendono dai pendii dei ghiacciai e che questo fenomeno “possa contribuire a preservare il permafrost e la vegetazione circostante”, come affermato da Nicolas Guyennon, coautore dello studio e ricercatore del Cnr-Irsa.
Per cercare di dare un senso compiuto a questi singolari fenomeni per il team di ricerca è stato necessario affidarsi ai più recenti progressi scientifici nei modelli climatici: la rianalisi climatica globale chiamata “ERA5-Land” che combina i dati dei modelli con le osservazioni provenienti da tutto il mondo. Dall’interpretazione di questi dati è emerso che il fenomeno osservato si è verificato non solo sul Monte Everest, ma nell'intera catena himalayana. Per lo studio quello che ora occorre è di scoprire quali sono le caratteristiche chiave dei ghiacciai in grado di favorire questa reazione. E soprattutto se si tratta per così dire di una reazione sistemica, non casuale, con cui le grandi masse ghiacciate si trovano a reagire in questo modo al riscaldamento globale.
E la domanda successiva è quella più rilevante: per quanto tempo. L’interrogativo è se quanto accade sia una manifestazione parossistica in linea con i danni emergenti del global warming oppure di un altro tipo di fenomeni da approfondire, ovvero una sorta di sistema di autoriparazione del pianeta.
Ed è una domanda tanto più rilevante nelle sue caratteristiche e nelle sue conseguenze di fronte all’altro dato assodato che altri ghiacciai, per esempio quelli alpini, stanno vivendo cambiamenti drammatici.
Probabilmente la dimensione dei ghiacciai d’alta montagna del Terzo Polo in Asia, molto più grandi, che contengono più ghiaccio, potrebbero avere tempi di reazione più lunghi, o capacità di innescare una controtendenza. Per lo studio, tuttavia, il fenomeno riscontrato non deve in alcun modo far fermare l’azione di tutela del clima. Le temperature fresche percepite che scendono dai ghiacciai in sostanza potrebbero essere e forse sono una reazione di emergenza al riscaldamento globale, piuttosto che un indicatore della stabilità a lungo termine degli stessi ghiacciai.
La ricerca continuerà e si estenderà alle distese ghiacciate del Pamir e a quelle del Karakorum, che contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo sono “stabili” o “in crescita”. Anche in questo caso starebbe accadendo il fenomeno di reazione al riscaldamento globale attraverso possenti venti gelidi che scendono lungo le pendici ghiacciate di queste altissime catene montuose. L’ipotesi allo studio è che data la conformazione più piatta di questi ghiacciai rispetto a quelli himalayani i venti gelidi possano raffreddare maggiormente i ghiacciai stessi piuttosto che raggiungere gli ambienti circostanti più in basso. È quanto le nuove ricerche dovranno accertare!