Quali sono le principali mete di un turista che visita Napoli? Certamente, il centro storico, ormai un enorme ristorante a cielo aperto, dove poter assaggiare la versione mordi e fuggi della cucina napoletana. Poi, il lungo mare. Vieni a Napoli e non vedi il mare? Eresia!
Dopo, la cultura. I musei più gettonati, dati alla mano, sono il MANN, il Museo Nazionale di Capodimonte, il Museo e la Certosa di San Martino, il MADRE, il palazzo reale, la chiesa di Santa Chiara, il Duomo e la Napoli Sotterranea, compreso l’itinerario del Tunnel Borbonico. Dopo, se ci sta tempo, un giro a Pompei (Ercolano un bonus) e la costiera amalfitana. Questo è il tipico giro turistico a Napoli.
Non sfugge che ci siano delle grandi assenti. Tra queste, un museo di eccezionale importanza per gli studiosi di arti minori, che ha sede in una villa storica: il Museo della ceramica Duca di Martina in Villa Floridiana.
Villa Floridiana è una villa storica, sita nel quartiere Vomero nell’omonimo parco, uno dei pochi polmoni verdi della città. La villa era una residenza reale borbonica, dono di re Ferdinando IV alla moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia. Il re in onore dell’amante chiamò la villa Floridiana e affidò l’incarico di ristrutturare l’edificio all’architetto Antonio Niccolini.
L’attuale costruzione – purtroppo non pervenuti disegni dell’aspetto originale della villa – è in stile neoclassico, circondata da un parco di stile romantico. Alla morte della duchessa, il complesso fu ereditato dai figli del primo matrimonio della Migliaccio, e dal 1919 appartiene allo Stato, che lì decise di esporre la collezione di ceramiche di Placido di Sangro, duca di Martina, da cui il museo prende il nome.
La cosa ironica è che il duca non avrebbe mai voluto che la sua collezione venisse esposta al pubblico.
Placido di Sangro era un borbonico convinto, collezionista di cose belle e rare, soprattutto ceramiche, da tutto il mondo. Dopo l’Unità d’Italia preferì l’esilio in Francia, e a Parigi acquistò la maggior parte delle ceramiche che oggi fanno parte della collezione del museo. Ma il duca non avrebbe mai voluto che la sua collezione venisse esposta al pubblico: era, in termini colloquiali, cosa sua. Era una concezione fortemente aristocratica, ma quanti dei collezionisti odierni vorrebbero che le loro collezioni venissero esposte? Ben pochi. Un atteggiamento di gelosa possessività che ha radici antiche.
Il duca avrebbe preferito che fossero altri amatori, alla sua morte, in caso gli eredi se ne fossero voluti sbarazzare, ad acquistare pezzi della sua collezione. Tuttavia, i percorsi della storia sono imprevedibili, e nel 1919, una nipote del duca, Maria Spinelli di Scalea, inconsapevolmente forse, andò contro la volontà del di Sangro e donò alla città la collezione, per impedire che venisse dispersa. Cosa che il duca avrebbe preferito, ma tant’è, grazie a lei abbiamo un museo meraviglioso, tuttavia trascurato. Perché?
Le arti minori – una terminologia che non vuole sminuire, ma che racchiude un mondo complesso – non fanno lo stesso scalpore delle tre grandi: scultura, pittura, architettura. Vengono un poco a noia ad un pubblico non addetto ai lavori, e ci sono fin troppi esperti che, vuoi per lavoro, vuoi per passione o per puro gusto di dar sfoggiò di sé, rendono l’argomento più tedioso. Diventa così ovvio che il museo Duca di Martina venga poco considerato dai turisti, e i napoletani stessi lo conoscono poco. Viene frequentato di più il parco, nonostante le attuali condizioni non ottimali, che la villa. Eppure, il museo vanta pezzi unici, all’altezza del gusto del suo primo proprietario. Dovrebbe avere più riconoscimento, almeno a livello locale.
Qualcosa si sta muovendo, ma non è abbastanza. Bisogna fare di più. E se più persone venissero a conoscenza di questo museo, la città ne potrà solo beneficiare.