La notte non conosce i punti, sposta l’asse terreno da tutte le luci del giorno, e non consente nessun approdo. La mia caduta è la ricerca di una verità. Una notte fredda diventa tenera perché custodisce in sé la timidezza, quella tendenza a riavvolgere un tessuto in maniera non troppo frettolosa. Questa notte, il mio tessuto. Vado in una notte come questa per scoprire lucciole istantanee, raccogliere alchimie intellettuali con qualche pianeta, e immaginare nuovi orizzonti. Un’idea chiara è un errore o una mezza verità?
La notte è amore opaco e la luna è la mia ferita necessaria: mi ferisce nell’esatto momento in cui la ferisco. Parlerei tuttavia del dolore come di un'esperienza necessaria e non opzionale (quella è la sofferenza) che scava - con un certo diverso grado di violenza - la carne dell'anima laddove non vi sono protezioni, fino al campo più recondito della sensorialità, e quindi - la luce abbaglia, farsi male per capirla conduce a un migliore livello di chiarezza, anche di evidenza, per scandagliare concetti non facilmente comprensibili - è parecchio probabile che il dolore sia illuminante. Non è un tempismo definitivo l’amore?
Non so se mi basteranno cinque ore ad imbavagliare la mezzanotte, la profondità è nascosta nella superficie, e scorgerla è tutta una questione di luce. Continuando ad andare sulla circonferenza della vita incontro soltanto me stesso, ancora me stesso, nella mia incapacità di rispondere all’appello del vuoto. Il tempo che sto lacerando si annoia, promettendo di rivelarmi il vuoto - lo spazio di cui sono fatto - quando mi verrà in mente ogni cosa. Il mio passo solenne incontra poi una superficie dipinta a più strati, strati che si incrociano in uno schema esistenziale più complesso, sobrio ma esplosivo, regolato dal ritmo dei battiti del mio cuore che definiscono distintamente quell’appello. Questa notte è verde.
La mia purezza rimarrà tale fino a quando saprà purificarsi nell’acqua sporca per il peccato che ho commesso contro la solitudine: l’impurità è sintomo di realtà, e l’esattezza non è oggetto di culto. Nel buio è tutto noto, non esistono sorprese, soltanto la luce può sgridare la notte. L’attesa l’ho imparata nel buio che ha preceduto il momento in cui sono accaduto, attendere ha a che fare con l’infinito, come condizione sentimentale prim’ancora che come tempo verbale: osservo il tempo con la speranza che si riveli ciò che immagino. Questa speranza non è una preghiera, né tantomeno un desiderio, questa speranza è la vita che si difende.
Ho commesso un oltraggio alla luce e ho gridato anche io: ho spaccato una roccia per dare forza alla mia esistenza, per destarla ancora alla dignità e sempre alla decenza, per renderla ammirevole. La roccia si è spaccata e sono venuti fuori questi fili d'erba che - liberi e spavaldi - stanno conquistando sportelli abbandonati che nascondono frutti intensi ingrassati dalla luna, e nudi al vento non temono il freddo perché la primavera cresce d'inverno, e senza fare rumore prevaricano silenziosi e gentili, che è necessario farsi spazio nella decadenza e mettere radici per andare oltre.
Oltre è il punto in cui mi unisco all’essenziale, il punto in cui la mia parola, il mio sangue, ed il mio ghiaccio si faranno tempesta e formeranno - alla fine - un’unica brina. Il mio ghiaccio sta bruciando più del fuoco che gli arde nel centro: così questa nuova sostanza diventa velleitaria e necessaria, mentre io rimango immotivato, reazionario, romantico, sanguinario, umile, esaltando ogni chiunque che mira all’assoluto dell’inattualità, arrecando nostalgia e proponendo testi inalterati e infiniti.
Una mattina qualunque. Cammino e sono un chiunque. Il cielo copre sé stesso con un amore grigio, tentando di velare qualcosa che mi ha già rivelato - tuttavia - qualcos'altro. Metafisiche trascurate negli angoli dei caffè, poetiche solitarie sui muri chiedono asilo al mio sguardo, riflessioni non datate nate chissà dove e chissà perché, immagini sorte dalla profondità intemporale, dettagli necessari e inevitabili, lotte clandestine e abissali disseminate in epifanie momentanee e in qualche gioiello rubato.
Cammino perché sono un cercatore venuto dall'ignoto a setacciare l'inaspettato. Lo spazio regge la fragilità lucente e affilata che il buio taglia ancora, e la verità è il coltello che ferisce il tempo, che lo rende lucido; ed è esattamente così, la bellezza è il rapporto seducente e spietato con la verità.