Con le tecnologie attualmente disponibili, arrivare su Marte è un’impresa molto difficile e pericolosa. Non è detto quindi che la sua colonizzazione sia così prossima come immagina il magnate americano Elon Musk, il cui fascino visionario ha contagiato molti appassionati dello Spazio. Arrivare e vivere su Marte, infatti, è un percorso irto di difficoltà che ancora non abbiamo del tutto risolto.
Nel viaggio, la maggiore criticità sarà nel far superare indenni all’equipaggio, la lunga permanenza nello Spazio profondo. Marte percorre un’orbita molto eccentrica, che lo avvicina periodicamente alla Terra a una distanza che varia dai 55 ai 150 milioni di chilometri, e a seconda della distanza e della traiettoria utilizzata, il viaggio può durare dai cinque ai dieci mesi, e può effettuarsi solo ogni 26 mesi, quando Terra e Marte sono più vicini tra loro, tecnicamente parlando quando Marte è in “Opposizione” rispetto al Sole.
Il lungo trasferimento sottoporrà i viaggiatori a una serie di gravi pericoli per la salute, dovuti alle radiazioni cosmiche e solari, e alla mancanza di gravità. Se la prima può indurre pericoli di modificazioni delle cellule che possono portare al cancro, o alla morte immediata in caso di una esplosione solare 1, la seconda comporterà, solo per citarne alcuni: decalcificazione ossea; atrofizzazione muscolare; problemi cardiocircolatori e visivi. Inoltre, non sono da sottovalutare i pericoli di natura psicologica che potrebbero emergere, pur in un equipaggio equilibrato, costretto a vivere per molti mesi in uno spazio ristretto, separati dal mortale spazio cosmico solo da pochi millimetri di acciaio.
Superato il viaggio, si dovrà poi impiantare una base semipermanente, che per le prime missioni sarà l’astronave stessa, ma che in seguito dovrà ampliarsi per far posto a nuovo personale e alle attrezzature necessarie a mantenere attivo l’insediamento. Che sia la Luna o Marte, la necessità di realizzare un ambiente protetto per ospitare e sostenere i prossimi esploratori, è quindi un'evidente necessità.
Come colonizzare un pianeta
Nel corso degli ultimi decenni, sono state esaminate numerose proposte di habitat e mezzi di trasporto. Di queste, alcune sono diventate realtà, come il Lunar Track e lo Small Pressurized Rover, costruiti della NASA fra il 2007 e il 2009 al Johnson Space Center di Houston, che saranno di grande utilità per lo sviluppo dei loro successori. Tuttavia, per quanto eccellenti, questi progetti sono inevitabilmente destinati a divenire rapidamente obsoleti, a seguito della rapida evoluzione tecnologica e informatica.
Un progresso talmente veloce, che rende impossibile descrivere oggi cosa sarà disponibile fra venti o trent'anni, quando si partirà per Marte. Possiamo solo intravedere ciò che sarà, e non dovremo aspettare molto, solo pochi anni a venire. Realtà aumentata, intelligenza artificiale, robotica e chissà cos'altro, assumeranno posizioni dominanti e inimmaginabili, sollevando gli utilizzatori umani, da moltissime preoccupazioni, nella speranza che siano utilizzate al solo scopo di rendere migliore la vita sul nostro pianeta, che nel 2030 dovrà reggere in modo sostenibile più di dieci miliardi di persone.
Ci sono visionari che sostengono la realizzazione di colonie marziane, per dare nuovi spazi all'imponente incremento demografico in atto sul nostro pianeta. Una crescita che potrebbe mettere in difficoltà la sua stessa sostenibilità, se non si prenderanno immediati provvedimenti a iniziare dal contenimento del cambiamento climatico. La colonizzazione di Marte, però, non è detto che sia la soluzione, né sarà una passeggiata realizzarla.
Non potremo respirare liberamente senza un respiratore, né passeggiare mano nella mano se non attraverso una tuta protettiva, né coltivare piante o produrre proteine se non in fattorie protette. Sarà necessario trovare soluzioni pratiche per assolvere a molti aspetti indispensabili, come l'utilizzo delle risorse esistenti; lo smaltimento dei rifiuti; il riciclo di aria e acqua; la disponibilità di energia elettrica e molto altro. Già fare esperienze sulla Luna non sarà semplice. Il nostro satellite si trova mille volte più lontano dalla Terra, rispetto alla Stazione Spaziale Internazionale.
Una distanza non critica, perché a soli tre giorni di viaggio dal nostro pianeta, ma che impone già l'utilizzo di sistemi in grado di operare in modo affidabile lontano da "casa", per supportare le necessità della vita umana in una base semipermanente. La Luna, quindi, offre l'opportunità di testare attrezzature e strumenti che potrebbero essere utilizzati sul Pianeta Rosso, con particolare riguardo ai sistemi di supporto vitale; generatori di ossigeno e idrogeno dall'atmosfera e dall'acqua; serre di coltura idroponica; veicoli da trasporto. Elementi di un puzzle tecnologico, il cui funzionamento dipenderà dalla disponibilità continua di energia elettrica, punto di assoluta rilevanza per rendere autonoma una base umana permanente a 250 milioni di chilometri dalla Terra.
Il tema dell'energia
Calcoli preliminari hanno dimostrato che un avamposto marziano, capace di supportare un equipaggio di quattro persone per 600 giorni, avrà una richiesta continua di energia elettrica pari a 40 kWe. Energia necessaria a purificare l'acqua; generare ossigeno; caricare i rover; riscaldare gli habitat e così via. L'esplorazione umana di Marte, quindi, richiede prima di ogni altra cosa una disponibilità di energia illimitata e affidabile, che solo il nucleare può garantire, anche se affiancato a campi di pannelli fotovoltaici. Questi ultimi però hanno delle controindicazioni, perché oltre a essere ingombranti, non possono assicurare una fornitura continua, a meno che non si scoprano soluzioni straordinarie, perché sulla Luna le notti durano più di tredici giorni terrestri, mentre su Marte la lontananza dal Sole e l'onnipresente polvere li rende assai meno performanti.
Al fine di trovare una soluzione definitiva a questa necessità, la NASA, insieme alla National Nuclear Security Administration (NNSA), ha realizzato un generatore nucleare a fissione che utilizza l’uranio-235 chiamato Kilopower. A seconda delle versioni, tutte facilmente trasportabili, Kilopower è in grado di produrre da 1 a 10 kWe ininterrottamente per dodici-quindici anni. Ciò significa che cinque reattori da 10 kWe, quattro attivi e uno di riserva, potranno soddisfare le esigenze elettriche dei primi avamposti umani sulla Luna e su Marte, senza utilizzare come carburante il più raro e pericoloso plutonio.
Stazioni sotterranee
Per sicurezza e comodità, il primo avamposto sorgerà nelle vicinanze del luogo di sbarco, non lontano dall'astronave che riporterà gli astronauti a Terra. Il primo insediamento permanente, però, dovrebbe essere realizzato in un'area protetta, e per quanto possibile non troppo lontana da siti d'interesse scientifico. La scelta più interessante potrebbe essere quella di rifugiarsi nel sottosuolo, al riparo dalle radiazioni e dalla polvere, una difficoltà fastidiosa con la quale ci si dovrà confrontare quotidianamente.
I principali candidati a ospitare delle basi permanenti, quindi, potrebbero essere grotte o gallerie scavati dalla lava quando il vulcanismo era alla sua maggiore intensità. I tubi di lava, come sono comunemente chiamati, esistono anche sulla Terra, ma sono più piccoli di quelli marziani per la maggior forza gravitazionale del nostro pianeta. Su Marte, ne sono stati individuati molti ancora intatti, e quindi, utilizzabili allo scopo. Servirsi dei tubi di lava, inoltre, offrirebbe altri potenziali vantaggi.
Se si riuscisse a sigillarli, potrebbero essere pressurizzati e riscaldati, creando ambienti vivibili molto più grandi di quelli che potrebbero offrire i comuni habitat modulari trasportati dalla Terra. Queste lunghe caverne, inoltre, darebbero protezione dalle radiazioni, meteoriti, fluttuazioni di temperatura, e da sostanze potenzialmente pericolose presenti nella polvere marziana. I tubi di lava, pertanto, potrebbero essere il principale biglietto d'ingresso per abitare Marte a lungo termine. Luoghi privilegiati, che sarebbero anche utili all'osservazione e lo studio diretto della geomorfologia marziana, oltre a contenere potenzialmente prove di vita microbica o più evoluta, che sia apparsa nelle prime fasi della storia naturale di Marte, senza scartare l'ipotesi che possa esistere ancora oggi.
Case marziane
Che si scelga di vivere sopra o sotto la superficie, sarà molto importante anche scegliere la tipologia dei moduli abitativi da adottare quando dai primi avamposti si passerà alle basi permanenti. Fra i tanti progetti abitativi proposti e in corso di sviluppo, ritengo molto interessante la soluzione realizzata dalla AI SpaceFactory di New York, che nel 2019 ha vinto il concorso della NASA per sviluppare il design e la tecnologia necessaria alla costruzione di un habitat utilizzabile sulla Luna o su Marte.
L'azienda ha vinto il concorso grazie a "Marsha", una costruzione alta e sottile, dalla forma che vagamente ricorda quella di un alveare, realizzata tramite la tecnologia 3D Printing, utilizzando un braccio telescopico verticale fissato a un rover, che rimane fermo durante l'intera edificazione. La soluzione adottata per Marsha cambia radicalmente il modo nel quale costruiamo sulla Terra. Utilizzando materiali naturali biodegradabili reperibili sul posto, rivoluziona il concetto classico di casa, eliminando l'enorme spreco di calcestruzzo (materiale non riciclabile) utilizzato dall'industria edile, ripristinando un rapporto ecosostenibile con il nostro pianeta. A scopo dimostrativo, l'azienda ha utilizzato Marsha per realizzare un’abitazione immersa nei boschi dello stato di New York, lungo il fiume Hudson, che ha chiamato "Tera". Una casa della natura nella natura, disponibile a chiunque voglia sperimentare come potrebbe essere la vita su Marte.
L'habitat rappresenta un radicale cambiamento rispetto ai progetti classici, caratterizzati da cupole basse, strutture gonfiabili o sepolte. La progettazione non si è limitata solo all'aspetto tecnologico, ma è stata molto attenta alle necessità ergonomiche e psichiche di chi vi abiterà. Consapevoli di come architettura e design abbiano un impatto positivo sulle emozioni umane, i progettisti della AI SpaceFactory, si sono impegnati per rendere l'abitazione qualcosa di più di un semplice rifugio-laboratorio, ma un vero e proprio luogo d'accoglienza familiare, con la funzione di alleviare lo stato d'ansia che inevitabilmente colpisce gli esploratori, a causa del lavoro routinario e del lungo isolamento lontano dal proprio pianeta d'origine.
A questo scopo, le aree funzionali di Marsha sono state distribuite su quattro livelli ognuno dotato di una finestra, che combinate insieme equivalgono a una vista a 360 gradi dell'area circostante. Ogni piano, inoltre, a seconda della sua funzione è identificato da un'atmosfera interna unica, allo scopo di rilassare la tensione ed evitare la monotonia. Lo studio della luce interna ha impegnato a lungo gli architetti. Su Marte l’illuminazione solare equivale mediamente a quella che abbiamo sulla Terra all’imbrunire, e per trovare una soluzione che possa utilizzare oltre alle lampade a led anche la luce del sole, si è fatto in modo che quest’ultima possa entrare all’interno degli ambienti, attraverso un grande lucernario posto alla sommità della costruzione.
La configurazione scelta, chiamata "pozzo di luce", collegherà idealmente tutti i livelli con una luce naturale diffusa, al cui interno troverà posto la scala elicoidale che collegherà un piano all'altro, aggiungendo una dimensione più umana alla vita quotidiana degli astronauti.
La descrizione appena fatta sembra tratta da una pagina di fantascienza, ma Marsha è finora l'unica realtà abitativa proposta per Marte a comprendere i principi essenziali alla realizzazione di una colonia umana permanente. Sebbene la colonizzazione del Pianeta Rosso sia sbandierata da alcuni visionari come prossima, in realtà riguarda un futuro ancora troppo lontano per essere immaginato realmente. Ciò non toglie che le attuali soluzioni tecnologiche danno una risposta concreta per cercare di raggiungere un equilibrio sostenibile sul nostro pianeta, così come lo saranno le soluzioni che saranno adottate per alimentare i coloni marziani, perché su Marte sarà difficile realizzare fattorie con polli, mucche e maiali, un argomento che ci interessa molto molto da vicino, e che affronteremo nel prossimo editoriale.
1 Nel 1972, gli astronauti dell’Apollo scamparono di poco una probabile catastrofe. Infatti, il 2 agosto di quell’anno apparve sul Sole una grande e macchia solare, che per più di una settimana continuò a emettere un enorme flusso letale di protoni. Soltanto per puro caso e tanta fortuna, non avvenne una tragedia, infatti, le eruzioni solari si manifestarono nell’intervallo di tempo programmato fra le missioni di Apollo 16 e 17, e così gli astronauti evitarono la tempesta solare.
Gli effetti biologici delle radiazioni dipendono fortemente dal rapporto tempo-quantità. Una dose di radiazione ricevuta in un lasso di tempo molto breve (eruzioni solari) è da due a tre volte più dannosa della stessa dose ricevuta in un tempo di alcuni giorni, e lo è anche quando si è lungamente esposti alle radiazioni cosmiche, come in un viaggio per Marte, perché il nostro organismo possiede la capacità di riparare le cellule danneggiate da queste radiazioni, ma se l’esposizione è massiccia e rapida non si sopravvive, così come quella prolungata impedisce questa capacità di riparazione e porta al rischio di tumori.
L’evento del 1972 è stato attentamente studiato dalla NASA per la sua particolarità. Inizialmente si pensò appartenere alla categoria eventi acuti, e quindi letali per l’uomo, ma in realtà si trattò di una serie di eruzioni (flare) che produssero una tempesta di radiazioni più lunga e meno impulsiva rispetto al solito. L’esposizione alle radiazioni, quindi, non sarebbe stata né cronica né acuta, ma una via di mezzo. Ed è in questa zona di mezzo, che può fare la differenza proprio la quantità di radiazione che realmente raggiunge gli organi vitali della persona (pelle e muscoli) rispetto a quella bloccata dalle pareti dell’astronave e dalle tute spaziali.