Una vacanza non è solo una parentesi vuota; è importante rigenerarsi e riappropriarsi dei propri spazi. Bisogna imparare di nuovo a dilatare il tempo e a lasciarlo andare, a non rincorrerlo. Durante il mio spazio indefinito, vuoto a perdere colmabile e recuperabile, ho voluto riempirlo anche di letture, spaziando, facendo viaggi nel tempo, accostando culture e modi di vivere apparentemente lontani.
Erri De Luca è stata una vera sorpresa e Montedidio quasi una rivelazione.
Montedidio si trova solo a Gerusalemme, e invece no, è anche un quartiere di Napoli, nei pressi di Montecalvario. Il racconto dello scrittore napoletano prende forma proprio tra questi vicoli.
Montedidio rappresenta la miseria, la filosofia e le speranze che pulsano da uno dei quartieri più difficili della città partenopea.
Il “bumeràn” è un pezzo di legno inanimato, non è buono nemmeno per fare una stampella. Il protagonista del racconto, un ragazzino, che cresce velocemente lo porta sempre con sé. Il “bumeràn” può volare, ma non adesso, non è il momento.
Per ora, serve ad allenare i muscoli, emette un fischio a contatto con il vento, allena la fantasia e rafforza la voglia di volare.
Maria sale dal padrone di casa, perché hanno debiti e affitti arretrati.
Maria non va in chiesa. Il padrone di casa invece, va a messa e prende anche l’ostia.
La letteratura napoletana restituisce immagini perfette delle molteplicità di questa metropoli. Racconta quelle miserie che fanno male, mette sotto la lente l’anima divisa tra quella povertà materiale che marchia da secoli questo popolo e uno spirito grande, capace di slanci meravigliosi e meravigliosi voli. Pochi personaggi ben inquadrati esprimono l’essenza di sentimenti mai sopiti, costruiscono e dipingono una Napoli che pochi conoscono fino in fondo. L’arte di arrangiarsi e di prendere la vita così come viene, fantasticando e reinventando un nuovo senso delle cose è la vera filosofia partenopea.
Sistemo il bumeràn sotto la giacca vicino alla penna caduta dalle ali di Rafaniello.
Ieri è il pezzo di bobina già scritto e arrotolato. Maria, chiedo, è questo qui l’ammore che sta nelle canzoni? “No, dice, quello è ammore di malinconia, uno strofinaccio di lacrime e sospiri, uh quant'è scocciante. L’ammore nostro, è un'alleanza, una forza di combattimento.” Le nostre chiacchiere strette scappano nel vento che ce le scippa dalle bocche.
(Montedidio, Erri De Luca)
Dalla cultura napoletana la mia attenzione si è spostata alla letteratura giapponese, con un libro che osservavo da tempo: Finché il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi. Ho sempre ammirato la cultura giapponese, ha un certo fascino quello stile di vita sobrio e apparentemente freddo, calmo. L’apparenza forse è l’elemento in comune tra Napoli e Tokyo, tra la cultura napoletana e la cultura giapponese. La letteratura non fa altro che raccontare la città, il paese, quel modo di vivere unico e la maniera di affrontare i problemi e i dolori. Infine, un libro esplora l’animo umano, regalando al lettore sempre qualcosa di unico ed eccezionale, una chiave, un umore.
In perfetto stile giapponese, in Finché il caffè è caldo di autore dal nome impronunciabile, il tempo si dilata, e chi entra in questo locale ha la possibilità di viaggiare nel passato. Anche qui i personaggi sono pochi e ben costruiti, seguono regole, sembrano controllati e meticolosi. Il rituale del caffè è uno stile di vita. Per viaggiare nel tempo esistono appunto delle regole. Bisogna scegliere un preciso momento, una data e un orario. Sarà possibile incontrare solo chi è entrato almeno una volta nel caffè, qualunque cosa accada, l’incursione nel passato non potrà mai cambiare il presente. È necessario sedersi su una sedia dove siede una donna vestita di bianco (un fantasma), che una volta al giorno si alza per andare in bagno. Infine, l’ultima regola: viene servito il caffè, e chi ritorna nel passato, deve berlo finché è caldo.
Un designer di giardini non deve solo potare rami e rastrellare foglie, ma ha il compito di considerare l’equilibrio tra la casa e il giardino. Il giardino non può essere troppo colorato, ma neppure troppo monotono. La parola d’ordine è equilibrio, diceva Fusagi.
Anche se non c’era modo di cambiare il presente, poteva sempre dirle: “Scusami, ti prego, perdona la tua sorellona per il suo egoismo”. Messa alle strette, Hirai sarebbe crollata, e pur sapendo che il presente non sarebbe cambiato, probabilmente le avrebbe detto: “Avrai un incidente d’auto, prendi il treno per tornare a casa!”. Oppure: “Non tornare a casa, oggi!”. Ma sarebbe stata la cosa peggiore da dire.
(Finché il caffè è caldo, Toshikazu Kawaguchi)
Le storie raccontate in questo breve romanzo colpiscono e commuovono. Il tempo è al centro di quelle storie, e questo ci fa comprendere quanta importanza diamo alle ore e ai minuti che passano. Il presente non cambia, ma possiamo fare un tuffo nel passato affinché questo viaggio possa farci vivere meglio il presente. Quante cose non dette, quante non fatte e così i rimpianti possono prendere forma e diventare troppo ingombranti. Allora possiamo tornare nel passato e fare pace con noi stessi, cercando di tradurre in parole i nostri veri sentimenti, con la consapevolezza (non più amara) che nulla potrà cambiare.
Ritorneremo però nel presente più forti, consapevoli, sereni.
Se si può viaggiare nel passato, perché non farlo nel futuro? Allora la donna (una delle protagoniste) che ha deciso di portare avanti la gravidanza, nonostante le sue precarie condizioni di salute, vuole incontrare e conoscere sua figlia nel futuro.
Anche lei vorrà incontrare la madre nel passato. Non è stato facile crescere senza chi ti ha messo al mondo, ma ricevere e donare la vita è un miracolo che si ripete da secoli. Avere accanto amici che si prendono cura di te, è la risposta a tutte le domande.
Madre e figlia si conosceranno, l’una e l’altra facendo viaggi al contrario per incontrarsi. Scopriranno un dolore più leggero, sapranno di aver fatto la scelta giusta, nonostante tutto. Il presente non cambia, ma possiamo viverlo con un cuore diverso.
Impareremo che i sentimenti non hanno tempo, che dietro l’apparenza c'è un mondo infinito, che la forma non racconta mai le verità nascoste. Queste bisogna andarle a cercare nelle profondità, negli abissi degli oceani come delle anime. Un libro fa anche questo: ha il dovere di scendere nei precipizi più ripidi e portare in superficie.