In ogni guida turistica di Atene che ho consultato, il Partenone rimane il monumento che si conquista la prima posizione in ogni lista e ogni itinerario.
Ogni anno milioni di persone si arrampicano sull’Acropoli per vederlo, e persino i più accaniti e apatici collezionisti di selfie prima di mettersi in posa davanti alle sue colonne sono costretti a fermarsi per un secondo, sopraffatti dalla potenza della sua bellezza.
L’Acropoli e il Partenone sono simbolo di Atene, ma c’è un luogo non segnalato da alcuna guida, che di Atene è l’anima ribelle. Exarcheia.
Rintanato nel centro di Atene a due passi da Omonia, Exarcheia non è un quartiere: è la diversità che interrompe e sgretola la normalità.
È un chilometro quadro di cultura, anarchia e street-art, un pugno in faccia all’eleganza dei quartieri che la circondano.
Exarcheia è utopia trasformata in realtà.
Sulle barricate del ’68, sopra alle bandiere sospinte dal vento della rivolta sventolava una frase: “L’Immaginazione al Potere.”
Ad Exarcheia questa frase non è scritta da nessuna parte, la ritrovi nell’aria che respiri, ad ogni passo e ad ogni angolo di strada.
Non a caso è qui, in via Mavromichalis, che nel 1941 è stato fondato il fronte Nazionale di Liberazione.
Ed è sempre qui che l’anno dopo venne costituito l’Esercito popolare greco di liberazione (ELAS) che ben presto diventa una delle forze più attive nella lotta contro l’occupazione nazi-fascista. Ad Exarcheia inizia l’insurrezione contro la giunta militare fascista di Papadopoulos, quando gli studenti occupano il Politecnico. La repressione è un bagno di sangue, ma la ribellione è inarrestabile. Nel 2008, un ragazzino di quindici anni, Alezandros Grigoropoulos, viene assassinato da un poliziotto all’angolo tra Via Mesologgiu e Via Tzavella. Quell’angolo è diventato un luogo fortemente simbolico che testimonia e commemora la lotta di un mondo in cui la solidarietà sociale non è un concetto astratto ma una pratica politica quotidiana.
Exarcheia è un microcosmo difficile da descrivere, mi ci addentro con un crescente senso di stupore, le antenne del cuore che vibrano e l’adrenalina che sale. Mi sento come un cercatore che ha appena trovato una vena d’oro. Ogni muro è coperto di graffiti che raccontano, urlano, sussurrano, ci sono tantissime librerie, i moltissimo locali sono molto di più che rivendite di alcolici: sono luoghi di incontro di persone reali e incredibilmente vive. L’età media sembra più bassa che in ogni altro posto che riesco a ricordare, le conversazioni sono un fiume dirompente. C’è un’allegria spontanea, una leggerezza prive di ogni patina di superficialità, mi ritrovo circondata da un’umanità che vive la propria individualità senza ostentazione, la diversità non è un accessorio, è autodeterminazione.
Si respira aria di libertà.
Proprio a Via Mavromichalis, c’è una costruzione del 1936, nata come residenza borghese, trasformata successivamente in un hotel e successivamente in un albergo a ore, per poi venire chiusa e abbandonata per quindici anni. Uno dei tanti magnifici edifici di Atene destinati a cadere a pezzi. Questa palazzina è il filo che mi trascina in una storia recente, e bellissima.
I protagonisti sono due trentenni, Kostas e Judah, che davanti a questo edificio ci passano ogni giorno, rientrando dal lavoro. Lo osservano con un affetto venato di tristezza, una sensazione simile alla nostalgia. Ne immaginano la passata bellezza, ne presagiscono l’inevitabile condanna a morte per demolizione. La sosta davanti al palazzo diventa un rito e un gioco: i due si immaginano proprietari di quel vecchio hotel trasformato in un ostello, ne immaginano gli interni nascosti dietro al portone sprangato, se ne inventano persino gli ospiti, di cui registrano la presenza immaginaria su un immaginario registro.
Un giorno sulla facciata compare un cartello: “in affitto”. Judah insiste a dire che l’autore di quella scritta sia il destino. «Lo prendiamo noi». «Ma se non abbiamo una lira!». Ma siamo ad Exarcheia, immaginazione al potere: a colpi di fantasia la realtà la si può demolire. Prendono il coraggio a quattro mani, abbandonano il posto fisso, acciuffano una po’ di liquidazione, si fanno imprestare soldi da parenti e conoscenti, firmano il contratto. E decidono di aprire davvero il loro ostello. Non hanno alcuna esperienza, ma hanno imparato molto da molti viaggi con lo zaino in spalla. Sanno una cosa, la più importante e preziosa: il fatto che un ostello può diventare l’epicentro di un mondo che si nutre e si alimenta di condivisione. Informazioni e comunicazione, amicizia e partecipazione.
L’edificio rivela al suo interno elementi architettonici meravigliosi che l’architetto incaricato alla ristrutturazione vorrebbe demolire in favore della praticità e di una maggiore capienza.
Non se ne parla neanche: il restauro è conservativo e preserva le vecchie finestre, si mantengono anche le vecchie imposte, i pavimenti, la scala, le altezze. Si fa spazio ad un’area comune, si crea un cortile, e dopo avere fatto i lavori essenziali si licenzia l’architetto e si affida il design d’interni ad un amico, un artista che si chiama Konstantinos Pavlidis. Immaginazione al potere! Il nome cambia: da Hotel Sudan, diventa Nubian Hostel, in omaggio al nome dell’antico regno della regione nordafricana e alle tribù nomadi che la popolavano. In sei mesi, il restauro dell’ostello è completato. Kostas ne diventa il manager, si occupa della reception da dove accoglie e consiglia: per chi lo desidera sa creare una costellazione di punti che formano una galassia sulla mappa di Exarcheia. Ogni stella segnala ristoranti e i bar più vivaci e vivi, i cinema all’aperto, ma anche tutti i graffiti più straordinari che portano la firma di famosi artisti che hanno scelto come loro tela la strada. Exarcheia è un museo a cielo aperto.
È Kostas che mi accoglie all’arrivo, e che quando gli dico che sono rimasta stupita dal numero di librerie mi risponde «qui si crede ancora che la cultura sia una porta d’accesso alla libertà».
Dietro ad ogni avventura che anima questo posto magico, c’è sempre qualche amico artista: Kostas ne ha uno che è maestro nell’arte della cucina e che si presta a fare lezioni gratuite svelando i misteri della tradizione greca, oppure si barrica in cucina per sfornare piatti tipici - anche in versione vegetariana - offerti agli ospiti con un abbondante contorno di sorrisi.
La sera, il Nubian Hostel ospita un Happy Hour: non i soliti due cocktail al prezzo di uno, ma vino. Gratis, fino all’ultima goccia. La condivisione e la comunicazione vengono benignamente aiutati da qualche bicchiere…
L’area area che funge da soggiorno e il patio sono un luogo di incontro e scambio, popolato da un’umanità eterogenea, dalla giovanissima stilista tailandese che abita a Londra al medico polacco che ha vissuto in mezza Europa, al ventenne americano che studia ad Amsterdam e che adora viaggiare. Inspiegabilmente conosce la sede di Rifondazione Comunista a Venezia «dove, anche a Venezia, puoi incontrare gente veramente interessante e berti un bicchiere di vino con un euro». Ci sono conversazioni che sono torrenti che si incrociano e si incontrano, e orecchie e cuori aperti all’ascolto. Moltissime domande, moltissimi racconti, favoriti da un ascolto concentrato, attento e attivo.
Il cuore che batte e che anima questo luogo ha la forza del sogno. La forza e il coraggio di due ragazzi che guardavano un edificio condannato a morte che sono riusciti a salvare e a riempire di vita, arte, creatività e amicizia.
Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il coraggio.
(Tucidide)
PS: per chi ama la condivisione, ma non quella della stanza in cui dorme, il Nubian Hostel ha anche qualche stanza privata.