Il Belize, piccolo Stato del Centro America, così chiamato dal 1973, ha una superficie di 22.965 Km2 e una popolazione di 378.000 abitanti. Il Paese fu istituito nel 1862 dai britannici che lo chiamarono Honduras britannico. È indipendente dal 1981, anche se, facendo parte del Commonwealth, si tratta a tutti gli effetti di una monarchia costituzionale con a capo il sovrano d’Inghilterra Carlo III.
Il conquistador spagnolo Hernán Cortés, colui che distrusse e sottomise l’Impero azteco al regno di Spagna, avvistò per la prima volta le coste dell’attuale Belize nel 1524. Da subito questo territorio venne sfruttato per il suo pregiatissimo legname, il mogano, di cui era ricchissimo, per costruire navi, case e qualsiasi cosa si potesse fare con questo materiale. Il risultato è che ora nel Belize le foreste praticamente non esistono più e così pure tutti gli animali che le abitavano. Perfino il tucano, che tra l’altro è il simbolo del Belize, è in via di estinzione. Con l’inizio del dominio britannico il Belize venne popolato da pochi coloni britannici che si sistemarono in piccoli centri urbani e che cominciarono immediatamente a sfruttare le foreste per il loro legname, con la tecnica “taglia e brucia”.
Erano tutti dei cacciatori che si riunivano in gruppi e che uccidevano senza riguardo tutto quanto si muovesse nel terreno: coccodrilli, tartarughe, giaguari e lamantini. Non da meno si comportarono gli americani, tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, che andavano in Belize per cacciare gli ultimi giaguari che ora non ci sono più. Allora si dedicarono alla pesca di due grandi pesci d’acqua dolce e salmastra, il bonefish (Abula vulpes) e il tarpone (Megalops atlanticus): pesce che può raggiungere un metro di lunghezza e un peso di dieci chili.
Come sappiamo, attraverso le avventure lette e viste nei film sui pirati dei Caraibi, lungo le coste del Belize si rifugiavano molti bucanieri britannici, banditi spietati e fuorilegge, che vennero però tollerati dagli inglesi perché ostacolavano il dominio spagnolo in centro America, tutto in perfetto stile machiavellico: il fine giustifica i mezzi.
In Belize, fuori dai centri abitati, alle prime luci dell’alba, si sentono dei “ruggiti” molto forti. Sembrano quelli dei leoni o i barriti degli elefanti, in verità in questo Paese non ci sono né leoni, né elefanti. Si tratta delle urla delle ultime scimmie urlatrici (Alouatta pigra) ancora rimaste sporadicamente distribuite nel territorio e tutte concentrate verso l’interno, mentre un tempo popolavano l’intero Paese, incluse le coste dove ora non esistono più perché totalmente devastate da una edilizia selvaggia, da hotel e lodge di lusso e da villaggi turistici di massa.
Quando si arriva in Belize si notano subito un traffico sfrenato e caotico, bar rumorosi in ogni luogo e caterpillar che sterrano dappertutto e allargano le strade che non è ben chiaro dove conducano. In Belize la gente è piuttosto tranquilla, cordiale, semplice e ospitale, è però certo che i parchi, per esempio il Bermuda Landing (di fatto una Riserva privata), siano stati istituiti dalle autorità in questi ultimi decenni, per finalità diverse dalla conservazione dell’ambiente, come avrebbe dovuto essere e che servano soprattutto per alimentare la burocrazia, indispensabile per il mantenimento del potere politico, incluse l’incuria e l’indolenza dei funzionari che facilitano il bracconaggio rivolto non tanto verso le scimmie che sono ridotte al lumicino, ma verso tutti gli altri animali selvatici.
Al Bermuda Landing è vero che le scimmie non vengono perseguitate e uccise impunemente, ma devono forzatamente rimanere in territori in cui hanno sempre vissuto libere dovendo inoltre tollerare la presenza ravvicinata dell’uomo e dei turisti. Sono costrette a girovagare in un appezzamento di terra piuttosto piccolo per loro, come se fossero in un giardino. Queste scimmie, rassegnate a un tale stato di cose, si alimentano ai margini del parco e non si degnano di alzare lo sguardo nemmeno quando sulla strada sfrecciano automobili di turisti che sollevano polveroni infernali. Nel bel mezzo del Bermuda Landing sono stati costruiti dei lodge che tra l’altro non sono mai pieni, accogliendo mediamente poco più di mille turisti all’anno, quindi meno di quanto si aspettassero i proprietari: oltre al danno anche la beffa quindi, e tutto sta andando in malora.
In verità in Belize vive un’altra specie di scimmia, l’atele nero (Ateles paniscus), anch’essa in pericolo di estinzione. Diversi ricercatori stranieri, primatologi principalmente, vanno in Belize per studiare questa specie, oltre all’aluatta, soprattutto perché il Paese è politicamente tranquillo e non pericoloso, ma le loro visite sono piuttosto brevi perché non è rimasto molto da studiare e perché l’impatto umano sulla foresta e quindi sulle scimmie è stato devastante. Qui le autorità locali hanno fatto loro lo stile corruttivo e filibustiere della vecchia gendarmeria colonialistica britannica che in Belize ha dominato per secoli.
Aldous Huxley (1894-1963), il famoso scrittore inglese e autore di un libro meraviglioso, il Mondo Nuovo, a proposito del Belize, scrisse: “Se dovesse essere definito, la spiegazione migliore sarebbe che non è sulla strada di niente e non porta a niente: è un finis mundi”. Non so a che cosa si riferisse esattamente Huxley con finis mundi, ma probabilmente al fatto che se vuoi sconfinare dal Belize in un Paese vicino, lo puoi fare solo prendendo un aereo!