Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro. È stato il Grande Spirito a porre qui la terra e non possiamo venderla perché non ci appartiene. Potete contare il vostro denaro e potete bruciarlo nel tempo in cui un bisonte piega la testa, ma soltanto il Grande Spirito sa contare i granelli di sabbia e i fili d’erba della nostra terra.
(Proverbio dei nativi americani)
Quando ho letto il libro Alce Nero parla, scritto dall’etnografo americano John G. Neihardt, avevo già capito da quale parte stare, ma la testimonianza di questo saggio indiano Lakota Sioux mi ha consentito di approfondire la cultura e le tradizioni dei nativi Americani, la loro visione spirituale e sociale, presto annientata dai massacri degli Stati Uniti d’America contro gli Indiani e, quindi, contro la natura. Gli Indiani possedevano un legame ancestrale con Madre Terra, ne rispettavano l’essenza ed erano in grado di vivere in perfetta armonia con l’ambiente circostante. Amo profondamente il loro rapporto di fratellanza con tutte le cose, fossero esse rocce, piante, animali o esseri umani, erano convinti che ci fosse abbondanza di risorse per tutti, ma una civiltà considerata superiore ne ha decimato la popolazione, rinchiudendo in riserve i sopravvissuti.
Per questo motivo mi piace dedicarmi alla lettura di libri come LegenΔe di Piante, Nostra protezione ed equilibrio in terra, che con il suo sottotitolo mi riconduce proprio a quella cultura della fratellanza e dell’armonia dei nostri antenati indiani. L’opera, scritta a quattro mani da Patrizia Boi e Lidia Costa, è incentrata sull'essenza magica e curatrice delle piante, esplorando il mondo simbolico e misterico del regno vegetale con una sapienza direi ancestrale e sciamanica. Mi piace pensare che l'anima di Lidia, passata oltre poco prima della pubblicazione del libro, sia in un albero o in una pianta che lei amava, emanando la sua vibrazione e la sua voce.
Patrizia qual è l’intento sotteso alla scelta del titolo e del sottotitolo?
Per scegliere il titolo e il sottotitolo dell’opera, in definitiva, ci sono voluti due giorni interi, ma è stato davvero divertente.
Alle riunioni iniziali tra me, Lidia e Lucia, ha partecipato anche un’amica di Lucia, Francesca, sarda come me ed esperta di Kinesiologia, disciplina che si basa sull’intelligenza del corpo che non mente mai. La risposta muscolare a determinati stimoli agisce inconsciamente, nel profondo, bypassando la mente razionale. Francesca ci ha aiutato a selezionare le parole che risuonavano con i nostri intenti e con il libro stesso che, una volta creato, era diventato un essere vivo e senziente.
Naturalmente chi avesse assistito al nostro conclave ci avrebbe scambiato per pazze, ma certamente noi tre, io, Lidia, Lucia, probabilmente in una vita passata siamo state sorelle squaw. Quindi, abbiamo approvato all’unanimità il metodo scelto. Lidia e Lucia, anche nel modo di vestire, sembravano delle donne indiane, mentre io ero uguale a loro quando intrattenevamo lunghe conversazioni con gli alberi. Nel bosco di Lucia, dove ci siamo incontrate per la prima volta, era davvero facile lasciarsi andare a queste chiacchierate.
Insomma, avere a che fare con la personalità di Lidia e Lucia, per me che all’epoca dovevo confrontarmi con la razionalità dei miei colleghi ingegneri, è stata un’esperienza emozionante. Siccome si lavorava con le emozioni inconsce, non ricordo chi di noi tre via via fosse in accordo o in disaccordo con le parole. Ma ricordo perfettamente e con stupore che dopo aver scelto il titolo, fu proprio la nostra creatura, ossia il libro, a non essere soddisfatta. Alla fine, abbiamo capito che per il libro bisognava specificare meglio il titolo con un sottotitolo, per portare anche un messaggio di protezione ed equilibrio. E quando abbiamo composto tutte le parole necessarie, ci siamo sentite soddisfatte, come se fossimo più collegate alla terra, come se il libro stesso volesse trasmettere ai lettori l’importanza dell’armonia nei confronti della nostra Madre generatrice.
Perché poi siete arrivate a questo titolo con un delta maiuscolo greco in mezzo?
Il titolo dell’opera voleva essere una specie di Giano Bifronte, ovvero l’antica conoscenza di Lidia che compone Abachi di Piante (Legende). Era quella faccia rivolta al passato remoto, mentre la trasformazione di quei componenti magici che lei e Lucia mi fornivano per orchestrare gli elementi nelle mie Storie (Leggende), rappresentava quella faccia rivolta al futuro. L’aiutante magico era invece l’occhio di Dio triangolare, il ‘Δ’, che trasmuta una parola nell’altra, capace di donare di volta in volta lo scettro della narrazione a me (Leggende), a Lidia (Legende), o a Lucia (Δ, perché è lei che ha determinato il nostro incontro e creato l’unione).
Anche se Lucia non è tra gli autori del libro, la sua collaborazione è stata fondamentale?
Certo, senza di lei non ci sarebbe stato l’incontro e quindi nemmeno il libro. Lucia poi per mestiere cerca sempre l’armonia, anche la sua sola presenza è un toccasana.
In che modo avete scelto le immagini?
All’inizio volevamo illustrare ogni storia. Il compito doveva spettare a una brava artista di Milano che però poi si è tirata indietro. Allora io ho avuto un lampo di genio. Ho chiamato Sergio Pessolano, con cui collaboro continuamente per libri e articoli, e insieme a lui abbiamo scelto tra le sue immagini quelle adatte alle nostre Leggende Vegetali. La prima che abbiamo selezionato è stata la copertina: rappresenta il volto di un ragazzo ricoperto di foglie durante un rito sciamanico. Sergio ha un archivio di oltre cinquemila foto scattate a numerosi popoli della terra, così trovo sempre tra i suoi scatti qualcosa che è perfetto per i miei scritti. I suoi ritratti richiamano archetipi e situazioni che appartengono al mondo originario. E ci sembrava che quelle foto possedessero il giusto equilibrio e armonia richiesta dal libro, il quale, nostra creatura, non se ne è lamentato.
Lucia, donna molto intuitiva, ha semplicemente ringraziato le immagini di Sergio per la loro qualità espressiva. Invece Lidia, come una bambina che esprime il suo entusiasmo senza trattenersi, si è commossa e con il suo sproloquio divertente da toscana ha coinvolto tutte in fragorose risate, eravamo come bimbe che battono le mani per la gioia di aver ricevuto un bel giocattolo. In quel periodo Lidia era già consapevole della sua fine imminente, ma proprio per questo era ferocemente attaccata alla vita.
Ti dispiace che lei non abbia potuto partecipare all’uscita di questo libro?
Credo che lei partecipi, eccome. All’inizio mi aveva chiesto di curare il libro quando lei non ci sarebbe stata più, voleva lasciare qualcosa di sé e del suo lavoro, qualcosa di tangibile. Poi quando Jean Luc Bertoni mi ha mandato la copertina del libro, io ero in Sardegna e non l’ho vista subito, purtroppo non avevo aperto la posta. Un amico comune in quei giorni mi ha informato che Lidia aveva lasciato il corpo e fui profondamente dispiaciuta di non avere fatto in tempo a mostrarle la copertina che sicuramente avrebbe approvato. Credevo che il libro avrebbe allontanato la sua dipartita, ma lei aveva scelto di andarsene lasciando questo figlio spirituale in sua memoria.
Come afferma Rudolf Steiner, del resto, nella Conferenza Dietro le quinte degli eventi esteriori, che si è tenuta il 17 novembre 1917 a Zurigo:
Se chi resta pensa che il morto non vive più, che il morto non esiste più, questo è un pensiero errato: però pur essendo falso, è reale, è presente nelle anime. E il defunto percepisce tale pensiero, lo percepisce come cosa per lui molto importante. Non è affatto indifferente, ma al contrario di grandissima importanza, se chi sopravvive coltiva nella propria vita interiore il pensiero che il defunto continua a vivere nel mondo spirituale, o se invece si abbandona ad un pensiero che il morto è proprio morto, che si decompone.
Nel momento in cui ho realizzato questo è cambiato tutto, hanno iniziato a chiamarmi le amiche di Lidia, in primis la sua omeopata Tiziana, poi Anna e poi tutte le altre. Insomma, è come se lei fosse di nuovo tra i suoi amici e li stesse muovendo e mi chiamano per articoli, per presentazioni del libro, per interviste, così improvvisamente. E allora io la vedo, non in una pianta, ma in tutte le piante, è come se si materializzasse il suo volto ridente e contento e mi aspetto da un momento all’altro la sua battuta e la sua risata contagiosa….
Fantastico. E cosa mi dici della struttura del libro?
L’opera è stata pensata con un impianto collaborativo. La cooperazione, per proteggere la nostra creatura e farla crescere, doveva assomigliare alla grande capacità che hanno le piante di stringere accordi sotterranei, di approfondire il loro apparato radicale, intrecciare relazioni con altre specie, coalizzarsi contro eventuali parassiti vegetali, rinforzarsi agendo tutti in accordo, in equilibrio ed armonia, ognuno con il proprio compito, ognuno con i suoi talenti e le sue ricchezze. Così è stato con il nostro lavoro e con il valore aggiunto delle foto di Sergio.
Questo libro, come una sinfonia, è il risultato dell’accordare diverse note, come avete raggiunto tale accordo?
Il libro è nato a Firenze, da due genitori, lo spirito della Sardegna e l’anima della Sicilia, Lidia – che ha origini siracusane - ha deciso quali piante curative dovevano essere scelte, poi ha composto un canovaccio di informazioni atte ad identificare la personalità di ciascuna specie vegetale. Io ho affinato l’elaborazione di Lidia, insieme, poi, abbiamo chiesto a Lucia di tracciare un quadro della parte emozionale di ogni essenza arborea. Infine, io mi sono lasciata fecondare da questi elementi e loro stessi sono entrati nella narrazione vivendo di vita propria.
Il libro è stato strutturato in tredici capitoli. Il primo, il capitolo del Frassino del Tempo senza Tempo - quello che nella mitologia norrena rappresentava l’albero cosmico di Odino - era quello da cui tutto aveva inizio. Dalle radici nel mio Frassino nascono, infatti, tutte le altre piante che, capitolo dopo capitolo, svelano le loro proprietà curative. Un albero per ogni mese dell’anno: Abete, Acero, Betulla, Faggio, Sequoia, Tiglio, Fico, Quercia, Olivo, Noce, Castagno e Olmo.
Patrizia, quale pianta preferisci?
Per quanto io ami tutte le piante, la Quercia è la mia prediletta. In Sardegna accompagna ogni possibile tragitto, la trovi in campagna, negli altopiani granitici battuti dal sole, nei siti archeologici più suggestivi a protezione di un Nuraghe, di una Domus de Janas, oppure di un Menhir. Ha un cappello rinfrescante, lascia passare il sole tra le foglie, disperdendo il calore e illuminando l’esistenza del suo manto di luce. Per noi sardi è la Pianta della Giustizia, è l’albero da cui gli antichi sardi facevano anche il pane di ghiande. È la signora della foresta, soprattutto quella specie sarda nota come sugherella che quando le tolgono le vesti sembra ‘svestita’ di rosso, elegante, possente, energica, magicamente attraente e colorata.
Quando d’estate il caldo dell’urbe è insopportabile, prendo l’auto e vado al Tuscolo, in cima in cima, c’è la mia Quercia che guarda il mare e il panorama dei castelli. C’è sempre un refolo di vento che passa tra le fronde e c’è una panchina da cui guardo l’infinito. Penso che ci sia sempre stata, anche quando Tusculum era abitata nell’antichità. So benissimo che non è possibile, eppure quando mi trovo sotto la sua chioma protettiva ho la sensazione che ci siano gli antichi romani intorno a me.
La Quercia porta conoscenza e per questo l’ho associata al mese di agosto, dove abbiamo il massimo dell’insolazione e dell’illuminazione. La storia che narro nel libro mi è stata ispirata da un rito che fece Lucia qualche anno fa e che mi colpì particolarmente. Però la donna che esegue il rito nella mia immaginazione assomiglia a Lidia, soprattutto dopo che ho trovato quella straordinaria foto scattata da Sergio in un paese lontano che rappresenta proprio la personalità e il volto di Lidia.
In questa opera letteraria, Patrizia Boi tratteggia personalità differenti per ogni albero, riversando ogni conoscenza botanica nelle sue storie, in quell’universo incantato che le è particolarmente congeniale, situato tra il mondo fiabesco, favolistico e leggendario, con piante, piantine, alberelli, spiriti e spiritelli elementali, luoghi magici e fatati, colmi di animali e fanciulli, disseminati nel percorso dell’eroina vegetale.
La pianta viaggia restando ferma su sé stessa, ma - nei casi delle piante più coraggiose e dinamiche - può anche togliere le radici dal suolo per spostarsi su un’altra zolla. E sono bisbigli e suoni, canti e musica, una danza complessiva della natura che vive nel bosco, nella collina, nei laghi e nelle paludi. Esiste tutta una vita occulta nel mondo della fantasia, che può essere ritrovata pure nella foresta, nei prati, in ogni cascata e in ogni corso d’acqua.
Patrizia ha appreso la lezione di Francesco Boer, del suo Manuale per decifrare segni e simboli, Troverai più nei boschi, nel quale afferma che «Ogni ambiente naturale è una costellazione di simboli» e che «Ogni distesa d’erba è un’allegoria del Paradiso».
Patrizia conosce la poesia dell'Albero che Boer esprime in modo magistrale: "Le radici affondano nel terreno, i rami si slanciano verso il cielo. L’albero è un legame, il sigillo che unisce il mondo infero e quello celeste. Il sottosuolo è il regno dei morti, è la memoria, è il passato. La corsa verso il cielo è la vita, l’avvenire, la speranza". Perché "L’albero è un universo intero. È il mondo in cui vivono centinaia, migliaia di esseri viventi". E proprio nel finale della Leggenda La Quercia della conoscenza, Patrizia ha descritto con leggerezza il viaggio che può aver compiuto Lidia verso l’Aldilà:
In quel momento il suo voltò s’illuminò d’un sorriso sfolgorante, alzò le braccia al cielo e s’aggrappò alle trecce della luna. Salì su quei fili argentati fino a scomparire nel radioso sguardo dell’astro più sfavillante. Nessuno l’ha mai più vista, ma nelle notti di luna piena la foresta si riempie di uno strano sussurro e la Quercia sembra a tutti più felice e radiosa.
In questo libro è fondamentale la collaborazione, Patrizia, Lidia, Lucia, Sergio e anche Roberto Luciani che ha scritto la prefazione dell’opera, praticano la cooperazione tra esseri umani e conoscono l’importanza della fratellanza tra gli uomini, gli animali e le piante. Esse sono Regine che regnano nella Terra da prima che l’Uomo esistesse.
Infatti come afferma Hyemeyohsts Storm - un meticcio cresciuto nelle riserve Crow e Nord Cheyenne del Montana – nel suo Lampo di Tuono:
Gli alberi e le erbe, le piante degli oceani e dei nostri corsi d’acqua, sono molto, molto vecchi. Persino la presenza degli animali sulla Terra è più antica di noi umani, sebbene siano più giovani delle piante. Le piante e gli animali sono ben più vecchi di noi umani. Gli alberi, le erbe, le piante degli oceani, tutte le piante, sono parte diretta della Vita della Terra e conoscono noi nuovi arrivati in maniera molto intima […] Guarda gli alberi qui attorno, Liberty; loro vivono con te. Gli alberi sono più di un semplice scenario. La Terra non è materia morta. Lei è la Madre Vivente. Gli alberi vivono. La meraviglia della tua esistenza è profonda. Pensa a questo e contemplalo profondamente.