C’è un’Ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.(Trilussa, Felicità)
L’idea di essere così dipendenti da piccoli insetti industriosi mi sembrava alquanto strana. Non riuscivo a capire come potesse essere che un animaletto a strisce gialle e nere, per di più raffigurato dai bambini come una palla colorata con un lungo pungiglione nero, governasse il procedere delle cose naturali. È proprio vero che le questioni più grandi e misteriose, a volte, sono faccende per esseri considerati piccoli e fragili ma che, grazie alla loro unità, formano una comunità solida e solidale e che proprio grazie alla forza del gruppo ci regalano molte meraviglie. La presenza certificata, diciamo così, delle api nel mondo, risale a circa 50 milioni di anni fa. Da alcuni anni invece, e specialmente negli ultimi durante i quali, grazie alla ricerca scientifica, si parla con più cognizione del cambiamento climatico, si è andata sempre più facendo forza la teoria che l’esistenza degli insetti impollinatori, prime tra tutti proprio le api di cui esistono diverse specie, non tutte gialle e nere e non tutte che producono miele, sia fondamentale per la nostra sopravvivenza. È grazie a loro, infatti, che possiamo trovare sulle nostre tavole l’incredibile varietà di cibi che conosciamo e in natura la biodiversità della flora. L’impollinazione permette a fiori e piante di crescere, di dare frutti e di deliziare i nostri sguardi quando ci troviamo dinnanzi ad un prato fiorito, fosse esso un giardino curato o un campo di erbe spontanee. Ed è sempre grazie all’impollinazione che possiamo mettere in tavola saporiti frutti e gustose verdure. Immaginate di vedere tutto in bianco e nero o di non conoscere il sapore del cibo. I colori e i profumi sono opera degli impollinatori. Secondo Slow Food “nella sola Europa, sopravvivono grazie alle api, 4000 diverse specie selvatiche e più dell’80% delle 264 specie coltivate. Le api contribuiscono in modo determinante alla produzione di frutta e vegetali, alla vita di pascoli e boschi, all’alimentazione degli esseri umani e degli animali domestici e selvatici”. Una sola colonia di api può impollinare 300mila fiori in un giorno (Greenpeace). Questo ha ovviamente anche importanti risvolti economici.
La meraviglia della biodiversità è il loro capolavoro. La capacità di distruggere tutto questo invece appartiene a noi, la specie umana. D’altro canto, è anche vero che siamo l’unica specie che può fare ancora qualcosa per salvare il salvabile. Siamo certamente in ritardo ma ognuno di noi può impegnarsi e fare la sua parte. Lo sto imparando insieme alla mia famiglia.
E’ storia recente, purtroppo, che, a causa dell’inquinamento, dell’utilizzo di pesticidi e insetticidi utilizzati nelle monocolture industriali, del cambiamento climatico e del fatto che non esistono più le stagioni con il loro calendario di fioriture e sfioriture, per gli insetti impollinatori la vita non è più rose e fiori. Quest’anno le mimose, per esempio, sono fiorite quaranta giorni prima del previsto regalandoci, ma a caro prezzo, un febbraio punteggiato di giallo. Lo stesso è accaduto a mandorli e peschi. Per le api sta diventando sempre più difficile trovare del cibo. A complicare il quadro ci sono anche i parassiti e i predatori. L’arrivo di insetti alieni come i calabroni asiatici, per esempio, che depredano gli alveari mietendo numerosissime vittime, li rende vulnerabili. Le api sono in pericolo e noi dobbiamo farci carico di questo fatto. L’allarme è stato lanciato già nel 2006, anno in cui gli apicoltori, specialmente quelli statunitensi, hanno iniziato a notare un drastico calo di esemplari negli alveari. La copertina del Time del 19 agosto del 2013 dove un’ape su fondo nero vola cercando di andare via dal perimetro della pagina su cui campeggia il titolo “A world without bees” (“Un mondo senza api” di Bryan Walsh), ci dà l’esatta fotografia del rischio che corriamo. Da un po’ di tempo, qui in campagna e nel nostro piccolo, abbiamo notato che le api senza vita in giro sono sempre di più. A questo punto, lo spirito da crocerossina che contraddistingue molti esemplari della mia famiglia, ha avuto il sopravvento. Armati di libri e Google abbiamo scoperto che, dando un po’ di miele alle api moribonde, potevamo salvarle. Allora abbiamo approntato un piccolo ospedale dove far rifocillare le api che, dopo un dolce pasto, ripartivano sazie alla volta dell’arnia. Durante la stagione fredda quei pochi esemplari sono diventati centinaia e così ci siamo ritrovati a dare da mangiare a molte api. Sicuramente questo non può servire a salvare un intero ecosistema. Quindi bisognava avere il coraggio di fare qualcosa in più. Abbiamo iniziato a studiare l’incredibile mondo delle api e abbiamo preso una prima arnia con uno sciame e la sua regina. Abbiamo partecipato ad incontri in montagna in cui apicoltori assolutamente innamorati di questi esseri ci hanno mostrato come vive e cresce la comunità delle api. Anche per noi l’amore è esploso immediatamente.
Scendendo la stradina che porta all’arnia, già a diversi metri di distanza, ti invade l’odore del miele. Restiamo a guardare, senza disturbare, l’andirivieni delle api dall’arnia. Quando trovano fioriture da esplorare tornano con le zampine posteriori piene di polline. Ne portano una quantità incredibile. La loro danza per indicare alle altre il posto esatto dove trovare i fiori ha molto da insegnare a qualsiasi navigatore. Sono bellissime. Si dice che, per l’aerodinamica dei loro corpi, per la minima grandezza delle ali e per altre leggi della fisica, le api non siano adatte al volo. In verità le loro performance sono incredibili e vederle volare piene di polline è uno spettacolo che ti rimette in pace con il mondo. Anche aprire l’arnia è una vera esperienza emozionale. Le api sembrano talmente fragili invece, lo spettacolo ti lascia senza fiato. Lavorano incessantemente intorno alle piccole celle. Le api operaie non stanno ferme un attimo mentre la regina depone le uova. Il brulichio dell’alveare affascinante. La loro società è organizzata nei minimi dettagli con le loro tre caste: la regina, le api operaie e i fuchi. Ognuna di loro ha un compito preciso al quale non sfugge. È una società sicuramente matriarcale governata dalle operaie. Il pensiero che tutta questa bellezza possa essere spazzata via da inquinamento e cambiamento climatico ci deve far agire. Non possiamo continuare a guardare. Ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare qualcosa anche se non abita in campagna. Di progetti adatti anche alle città, infatti, ce ne sono diversi. È stata già sperimentata, e con successo, la possibilità di dare vita ad un’apicoltura urbana che vede la presenza di alveari su balconi, tetti e terrazzi di edifici di grandi e medie città. Berlino o Londra ne sono un esempio. Anche da noi città come Torino, Milano, Roma, Potenza e altre hanno sposato progetti finanziati anche dall’Unione europea per la creazione di giardini per impollinatori e farfalle e per la realizzazione di apiari urbani.
Salvare le api, ovviamente, ha anche un ché di egoistico. Se proprio non vogliamo farlo per gli insetti, facciamolo per la nostra sopravvivenza, per le nostre papille gustative e per i nostri occhi. L’umanità merita un mondo colorato e saporito, un mondo ricco di biodiversità e perché no, di dolcissimo e profumatissimo miele! Save the bees!