Con un ottimo piazzamento partendo da outsider nella categoria miglior album alle recenti Targhe Tenco, Giovanni Caccamo ha innalzato il suo “Parola” (Ala Bianca\Warner) in una striscia di confine feconda: un viaggio raffinato sospeso fra prosa e musica, che rapisce ed incanta. Naturalmente elegante e dotato di un’empatia istintiva e superiore, il cantautore siciliano ha un particolare talento anche per gli incontri umani, quelli che rappresentano le basi di una vita che allarga le prospettive e ti sorprende. Esattamente come questo suo poetico concept-album, di cui ci ha parlato con umiltà ed entusiasmo, insieme ad altre cose che lo rendono un artista che sfugge ad ogni tipo di omologazione, in quanto fedele solo alla libertà concessagli dal suo talento: “Tre anni fa -ribadisce- mi sono ritrovato, per la quarta volta nella mia vita, di fronte a una pagina bianca perché dovevo iniziare a scrivere il mio nuovo disco. Mi sono tuffato nella luce dell’ispirazione degli altri, guardando film e documentari o leggendo romanzi, fino a che mi sono imbattuto in un’intervista di Andrea Camilleri. Parlava di come stiamo perdendo il peso e l’importanza della parola. Rivolgendosi ai giovani, chiese loro di far ripartire un nuovo umanesimo della parola. Nel mio piccolo ho deciso di seguire questa sua indicazione, creando un disco di canzoni ispirate a un testo si letteratura italiana o straniera, dichiarandone la fonte. Prima di ogni canzone, ho voluto inserire un’introduzione strumentale su cui un ospite d’eccezione legge il testo a cui la canzone stessa è ispirata.”
Possiamo soffermarci sugli incontri reali o virtuali, da cui è scaturita la track-list ? Come lo consideri all'interno dei capitoli che costituiscono la tua discografia?
Ogni incontro racchiude un ricordo indelebile. Dalle mail con Willem Dafoe, ai messaggi vocali con Aleida Guevara, alla passeggiata primaverile con la Senatrice Segre al pranzo domenicale a casa di Michele Placido, dagli sguardi intensi di vita di Jesse e Patti Smith alle lunghe chiacchierate serali con Beppe Fiorello. A livello contenutistico, penso che questo sia un disco a sé. Si tratta del mio primo progetto in cui le tematiche sono molto eterogenee tra loro e in qualche modo differenti dai primi tre dischi. A livello sonoro si avvicina più al primo lavoro, perché il secondo e il terzo sono stati dischi acustico/orchestrali. “Parola”, titolo che sintetizza in maniera eloquente la sfida che mi pongo sempre, nel tentativo di riunire in unico termine l'essenza di un concetto posto alla base di un progetto artistico, rappresenta il mio ritorno all’elettronica. Per me è stato un viaggio molto affascinante, con Leonardo Milani abbiamo viaggiato nei meandri delle sonorità, cercando di cucire per ogni brano l’abito perfetto. Speriamo di esserci riusciti.
Per te la musica sembra un dono naturale: Come e quando ti sei avviato in questo percorso?
Fin da piccolo ho sempre avuto un bellissimo legame con la musica. Suonavo la chitarra e facevo qualche lezione di canto fino a quando ho perso mio padre; avevo 11 anni e da lì non ho più voluto suonare e cantare. L'ho visto per due anni spegnersi, ero molto arrabbiato, soprattutto quando alcune suore dissero a mia madre che quella sofferenza era un dono di Dio per la nostra famiglia. Poi lessi un libro di Tiziano Terzani, “Un altro giro di giostra”, in cui l’autore racconta della scoperta della sua malattia e dei suoi ultimi anni di vita. In queste pagine Terzani definisce gli anni della sua malattia, come i più vivi della sua vita, quelli vissuti più intensamente; dalla diagnosi decise, avendo poco tempo a disposizione, di dare valore ad ogni giorno, dedicandolo ai viaggi che aveva sempre sognato, alle frequentazioni più preziose e agli affetti più autentici. È stato allora che ho compreso che ogni giorno è luce e bellezza e questo è oggi il mio approccio nei confronti della morte. Non dobbiamo avere paura della morte, ma chiederci costantemente se siamo effettivamente vivi o siamo solo dei morti viventi. Quella consapevolezza ha riacceso il mio rapporto con la musica e con la scrittura.
É noto a tutti che il tuo primo padrino musicale è stato Franco Battiato, che si è reso conto all'istante delle tue doti, decidendo di produrre il tuo primo singolo: ovviamente la sua mancanza è assoluta ma a distanza di qualche tempo dalla sua scomparsa quale ritieni essere il suo lascito più grande?
Penso che ognuno di noi, oggi, sia custode della grande eredità musicale che Franco Battiato ci ha lasciato. Una volta, durante un pomeriggio al mare, mi disse che il segreto per essere artisti e uomini liberi risiede nello “scardinare l’arte dal fine”, nel far coincidere arte e vita; non dimenarmi inseguendo le regole del mercato, scrivendo hit che possano piacere alla gente, ma cercare di dare al pubblico lo specchio di ciò che realmente sono e di ciò che realmente mi fa innamorare della vita.
Quella che poi ti ha permesso di realizzare concretamente i tuoi dischi è stata Caterina Caselli, una che ha sempre avuto fiuto per il talento. Adesso le vostre strade dal punto di vista artistico si sono separate, ma presumo che il bilancio resti largamente in attivo...
Tutti gli artisti che ascoltavo da bambino avevano una “S” stampata nel retro dei loro dischi. Quella “S” era una delle etichette discografiche più potenti e fertili d’Italia con la direzione artistica di Caterina Caselli. Feci un provino con lei nel 2014, ero molto emozionato, ma l’entusiasmo e l’energia raccolti negli anni precedenti riuscii a trasferirli in quella performance davanti a lei. Tra noi nacque subito un’intesa artistica e umana indissolubile, che negli anni ci ha portato a condividere momenti di grande gioia e soddisfazione. Le sarò per sempre grato.
Torneresti a Sanremo? Qual è la caratteristica essenziale per fare bene lì?
Tornerò quando avrò una canzone che richiede la luce di quel palcoscenico. Non c’è una regola per far bene; penso, data la mia esperienza, che l’unico ingrediente prezioso per il Festival siano le canzoni.
Che tipo di musica hai sempre ricercato e cosa stai ascoltando adesso?
Ascolto tantissima musica. Spazio dai cantautori italiani come Battiato, che omaggio sempre almeno con una sua canzone ad ogni mio concerto, a Dalla, De Gregori, Fossati, Tenco, Endrigo, De André, Elisa etc. Mi allargo poi alla musica elettronica e al cantautorato internazionale come Philip Selway, Imogen Heap, Stromae, Radiohead, Bjork, Soap & Skin, Benjamin Clementine, Patti Smith etc.
Quale ritieni essere stata la tua più grande soddisfazione della tua carriera?
Gli incontri a tutto tondo. Grazie al mio lavoro ho potuto e posso, conoscere personalità straordinarie, arricchirmi della loro luce e delle loro esperienze: è avvenuto non solo con Franco, ma anche con Carmen Consoli, Patty Pravo e Malika Ayane: grandi artisti per cui ho composto dei testi.
Cosa ti aspetta nei prossimi mesi e qual è il sogno ancora da realizzare?
Ho qualche concerto dal vivo in mezzo al progetto “parola ai giovani”, una serie di incontri che hanno avuto molto successo nei principali atenei italiani: ancora una volta l'obiettivo condiviso insieme agli studenti è stato quello di offrire percorsi e riflessioni sull'importanza dell'uso consapevole delle parole e sulla valorizzazione delle stesse, per la comunicazione e per la comprensione dell'altro, accendendo poi un dibattito collettivo sui temi trattati le cui conclusioni andranno a redigere un Manifesto di intenti, cui parteciperanno eccellenze di altri settori, che sarà poi pubblicato insieme al re-pack del disco e quindi consegnato al Presidente della Repubblica e a Papa Francesco. Anche per questo ti dico che non bisogna mai smettere di sognare tenendo per mano la serenità.