Le guerre sono la prova schiacciante dell’inarrestabile ascesa della stupidità umana. Due terrificanti conflitti mondiali non sono serviti a “sgonfiare” i deliri narcisistici dei vari dittatori che a turno cercano di imporre con la forza delle armi i loro sogni espansionistici.
Attualmente, oltre alla terrificante guerra che affligge l’Ucraina, sono in corso una settantina di conflitti che interessano varie regioni dell’Africa, dell’Asia meridionale, del Sud-Est asiatico e del Medio Oriente.
Le guerre fanno molto rumore perché hanno a che fare con la morte e il suo silenzio. Destabilizzano le persone e le società, alimentano le paure, l’odio, la vendetta, la povertà e il degrado delle anime. Senza dimenticare che inquinano l’ambiente, spazzano via gli habitat e la loro biodiversità, devastano le campagne, le città e le industrie, causano catastrofi e contaminazioni a volte irreversibili.
La pace, al contrario, si muove senza clamore, accoglie la vita e la rispetta. I suoi strumenti preferiti sono la non violenza, la fiducia, l’inclusione e la condivisione.
Ma le guerre non si combattono solo con le armi, esistono anche i conflitti economici, sociali e culturali che spesso vedono i cosiddetti “Paesi ricchi” in contrapposizione a quelli poveri.
Un esempio eclatante di questa diseguaglianza è rappresentato dalla pandemia di Coronavirus, che guarda caso ha colpito maggiormente le società più deboli dal punto di vista economico. Nei momenti di emergenza, quando sono in gioco la vita e il futuro di milioni di persone, il senso di solidarietà, di fratellanza e di unità dovrebbero rafforzarsi, mettendo in secondo piano ogni forma di potere.
La convivenza civile tra i popoli, al di là delle motivazioni sociali e politiche, dovrebbe essere il frutto di una disposizione emotiva spontanea e naturale, dettata da uno stato di coscienza interiore scevro da tensioni e conflitti. A questo proposito, Gandhi era solito dire che: “Non vi è una Strada alla Pace, la Pace è la Strada”.
Non a caso, il termine pace deriva dalla radice sanscrita pak, nel significato di saldare, unire, ristabilire un legame perduto, e successivamente dal latino pax (da cui discendono parole come “patto” e “pagare”). E in ogni conquista che si rispetti, come quella a favore della pace e della difesa dei diritti civili, un ruolo preminente è giocato dagli slogan urlati o scritti sui muri: a volte poche parole, scelte con cura, sono più efficaci di un intero comizio.
Nel corso del tempo ne sono stati coniati molti, alcuni dei quali con una valenza fortemente evocativa. Memorabili sono quelli che hanno accompagnato le contestazioni giovanili del ’68, il movimento hippie e le proteste contro la guerra in Vietnam.
“Mettete i fiori nei vostri cannoni” è stato lo slogan principale che ha accompagnato l’attivismo pacifista, proprio quando gli Stati Uniti erano impegnati a mettere in atto una politica estera finalizzata a contrastare l’espansionismo comunista della Cina e dell’Unione Sovietica, soprattutto nel Sud Est Asiatico.
I giovani che aderivano a questo movimento di controcultura si prefiggevano di mettere in atto una trasformazione sociale basata sull’amore e la fratellanza umana. Non a caso erano chiamati “figli dei fiori” per sottolineare questa loro adesione incondizionata alla Natura, attraverso un rapporto sano e rispettoso.
Le più importanti criticità della società moderna erano e sono il consumismo di massa e il culto del profitto economico, da cui nascono una miriade di falsi bisogni che conducono a una condizione di dominio dell’uomo sulle risorse naturali dell’intero pianeta.
La transizione ecologica, l’economia circolare, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e i vari progetti “green” – oggi tanto in voga, ma che stentano a decollare, a causa delle resistenze dei Paesi a forte livello d’industrializzazione – erano in realtà già stati messi in atto in molte comunità che aderivano al movimento hippie.
Oggi, come allora, i fiori forniscono un modello esistenziale, una forza motrice capace di suscitare un sentimento di profonda gratitudine, uno strumento di conoscenza, attraverso il quale è possibile sentirsi in armonia con la realtà che ci circonda.
“Ci apparteniamo reciprocamente”, scrive il filosofo Alan Ryan, e come simbolo di pace i fiori incarnano la gentilezza e la sensibilità nei confronti degli altri.
I fiori sono artefici di una rivoluzione non violenta capace di farci connettere con una dimensione metafisica, in opposizione alla “frammentarietà” e alla deriva attuali.
“Mettete i fiori nei vostri cannoni” è un invito a deporre le armi, a boicottare la violenza in nome della tolleranza, della gentilezza e della compassione. È un primo passo per promuovere un cambiamento radicale, per ritrovare il gusto delle cose semplici, per imparare ad ascoltare e pensare in maniera nuova, affinché i fiori possano continuare a essere una porta aperta ai sogni, alla bellezza e alla dignità di tutti gli esseri viventi.