Lo so: già le sento, le vostre (giuste) osservazioni. “E le Isole Svalbard? E poi anche a Wrangel Island, no?”. Avete ragione, anche in questi luoghi che avete citato è possibile avvistare il possente plantigrado ma è opportuno mettere in conto dei fattori che incidono in maniera veemente sulla location da scegliere per realizzare il sogno bianco. Alle Isole Svalbard ci potete andare in crociera oppure direttamente in volo, mentre per visitare le aspre terre di Wrangel è necessario prendere parte a una costosa e apposita crociera. In questi due luoghi però gli avvistamenti non sono garantiti e in ogni caso spesso non sono molto ravvicinati. Per raggiungere Churchill invece, al netto del lungo volo per Toronto, con due tratte interne raggiungerete quindi per prima Winnipeg - dove alcuni orsi bianchi sono reclusi nello zoo locale - e poi, appunto, Churchill. È questa la destinazione che vi consiglio, se davvero avvistare l’orso polare è in cima alla vostra lista “what to do and see”. Vi troverete sempre sulla terraferma senza dipendere dalle operazioni necessarie relative ad ogni nave da crociera, nella giusta finestra temporale gli avvistamenti sono di fatto assicurati e spesso è sufficiente individuare la giusta location per trascorrere diverse ore al cospetto di una delle specie tra le più affascinanti presenti in natura.
Churchill è una località concreta e surreale al contempo. Osservatela sulla cartina geografica: appollaiata lassù in cima alla Baia di Hudson, si trova ben al di sotto del Circolo Polare Artico, ma credetemi abbastanza a Nord da costringere residenti e visitatori a fare i conti con temperature che è bene non sottovalutare. Già il volo da Winnipeg è indicativo del contesto in cui state per trascorrere la manciata di giorni che non dimenticherete; una interminabile distesa bianca che vi intrattiene al finestrino poco tempo perché non è questa l’area geografica del Canada più seducente. Le montagne incantevoli sono a Ovest, a ridosso della costa del Pacifico, rilievi che si accartocciano a tradimento dopo chilometri e chilometri di pianure all’apparenza infinite. Il Canada è il secondo Paese più grande del mondo per estensione e se ghiacciai, foreste incantevoli, laghi e coste frastagliate figurano tra i fiori all’occhiello della locale industria turistica ebbene sappiate che la maggior parte del Paese è costituito appunto da pianure a perdita d’occhio. Qui il turismo non conta più: sono i campi di grano a concorrere al benessere di un Paese che registra poco meno di quaranta milioni di abitanti e in cui un pragmatico liberismo ben si concilia con una politica di welfare e di rispetto dell’ambiente. Insomma proprio quelle pianure che tanto bene fanno alle casse statali (e agli scaffali dei nostri supermercati) ora si tramutano in taiga poi nella tundra ed eccoci infine atterrare a Churchill sulla pista ghiacciata di un aeroporto che, se anche molto ben organizzato, per dimensioni e atmosfera assomiglia molto più a una stazione dei treni in cui ai binari è stata sostituita una pista di atterraggio, che in questo periodo è regolarmente ghiacciata.
Churchill si è adattata come giocoforza avviene ad ogni località nell’Artico alla sfida che la natura le impone: l’abitato, scarno e compatto, è caratterizzato da costruzioni razionali e senza fronzoli; una “main street” e quindi una serie di strade ortogonali all’intorno dove i punti di riferimento si individuano a un primo sguardo. Una chiesa e la ben fornita biblioteca completano la massima espressione urbanistica di questo sperduto avamposto. Gli spazi più che individuati vanno predisposti in maniera razionale e funzionale: le strade devono essere ampie per permettere ai fuoristrada di transitare comodamente: non è questo habitat per le utilitarie. I supermercati sono di fatto dei magazzini dove le merci sono accatastate con ordine e non esposte in base agli studi approfonditi delle catene della gran distribuzione. La stazione di polizia e non il comune è il fulcro dell’attività cittadina, per ovvi motivi di sicurezza. È il locale comando di polizia a vigilare sulle condotte da rispettare relative alla sicurezza dei cittadini; a diramare allerte meteo, a informarsi costantemente sulle esigenze della comunità e ad applicare rigorosamente il coprifuoco. Avete letto bene: dalle 22 sino all’alba è proibito girare a piedi per strada e ci si può spostare solo coi mezzi ma solo per raggiungere la propria abitazione, questo perché di notte è molto elevato il rischio che l’orso polare si aggiri in città attratto dal silenzio e dal torpore che cala su ogni centro abitato quando scende la notte e fate attenzione alla spazzatura: depositatela sempre nei bidoni, se abbandonata al di fuori sarà un richiamo irresistibile per gli orsi che verranno a banchettare sotto casa vostra. Un incontro del genere sarebbe fatale.
Brulicano di vita invece l’ufficio di informazione turistica, che dispensa informazioni e consigli sulla vita locale, e soprattutto l’unica, vera, attrattiva locale al di là ovviamente del protagonista a quattro zampe: pub e ristoranti. Bere e mangiare, attività essenziali alla vita in ogni dove da queste parti rivestono connotazioni che in altri luoghi non sarebbero così determinanti. Qua non esiste lo struscio, l’aperitivo, l’attività sportiva all’aperto (non è questione meramente climatica, ripeto in ogni angolo del territorio è potenziale un incontro ravvicinato con gli orsi che sconsiglia ogni genere di pratica sportiva outdoor) e quindi per interagire coi tuoi simili l’unica opportunità è quella di sedersi davanti a un boccale di birra o cenare con bistecche succulente - non di orso, beninteso - e patate fritte guarnite da senape, mayo oppure ketchup.
Si tira fino a tardi, dunque, in locali talmente riscaldati che ciascun avventore proveniente dall’esterno non sa mai se togliersi prima gli occhiali appannati o smarcarsi da berretti e piumini. Poi la sirena delle 22 risuona sinistra nell’aria, e tranne quelli che non hanno niente da fare tutti risalgono sui SUV che l’indomani caricheranno i turisti e si recano a casa mentre la temperatura è ormai notevolmente sottozero.
E insomma eccoci finalmente al momento fatidico: un viaggio lungo, un clima ostile, un pericolo latente ma alla fine ne valeva davvero la pena. Siamo tutti in fibrillazione perché ovviamente i patti erano chiari sin da subito: gli avvistamenti non sono garantiti; se vediamo l’orso bisogna tassativamente rimanere a distanza di sicurezza; se l’orso è palesemente infastidito bisogna allontanarsi; e poi coprirsi bene perché rimanere fuori al freddo per ore può essere pericoloso: non rari i casi di turisti colti da ipotermia, geloni, febbre alta. Ma io tutte queste cose le ho già messe in conto e anche se le dita dei piedi ogni tanto reclamano dei movimenti, e quelle delle mani hanno difficoltà a maneggiare l’apparecchiatura fotografica, e malgrado il vento che sembra infine prevalere sul piumino gigantesco che mi sono infilato addosso… beh voglio dire che quando poi in quella massa bianca e informe di neve e ghiaccio finalmente le guide individuano il gigantesco peluche aggirarsi furtivo tra i ghiacci, ecco, in quel momento la magia dell’incontro cancella ogni disagio e timore.
L’orso bianco ha mascelle formidabili (l’esemplare impagliato visto in un hotel fa paura solo a guardarlo), zampe possenti e unghie fatali, e discorriamo di un animale la cui natura imprevedibile e aggressiva lo rende uno dei più pericolosi in cui imbattersi. Non lo si direbbe, ad ammirarlo lì raggomitolato su sé stesso, sonnacchioso, pigro e indolente; svogliato e giocherellone, ora si distende sul suolo gelato come a sgranchire quei muscoli che gli garantiranno la preda e il sostentamento, contorcendosi in una pantomima che più si addice in verità a un essere più mansueto. Ma lo sappiamo tutti come stanno le cose, e del resto una rapida occhiata alle guide non lascia adito a dubbio alcuno. È chiaro, loro ci sono abituati, però il loro sguardo vigile e il fucile armato sempre a tracolla nonché i ripetuti e perentori avvisi ai clienti sono messaggi inequivocabili. Violare le consegne territoriali potrebbe essere fatale! Ovviamente abbattere con le armi da fuoco i protagonisti dell’intera vicenda è la soluzione da adottare solo in caso di reale pericolo per le vite umane. Ed è appunto per evitare una simile dinamica che è bene rispettare rigidamente le consegne: “Questo è il punto che non potete oltrepassare, altrimenti sareste in pericolo di vita” ti dicono questi ragazzi, barbuti e immersi in giubbotti che ormai sono un tutt’uno coi loro corpi, individui ciascuno con svariate esperienze di vita alle spalle e che hanno sviluppato una simbiosi inviolabile con queste terre estreme.
Le guide rispettano gli orsi ma non li temono; sono perfettamente consapevoli dei rischi connessi al loro (redditizio) mestiere ma hanno allestito un canovaccio talmente collaudato che noi fotografi ci sentiamo al sicuro mentre al contempo riusciamo ad essere soddisfatti del metro quadrato che ci è toccato in sorte per ottenere gli scatti sognati di là dall’Atlantico. A dire il vero, nonostante nessuno emetta il benché minimo suono (gli animali non vanno assolutamente disturbati, e del resto la situazione è talmente surreale che nemmeno ti viene spontaneo di estrinsecare le pur forti emozioni che stai assaporando) gradiremmo tutti guadagnare qualche metro ulteriore: in questi casi anche il più poderoso degli zoom risulta inadeguato, e poi non era l’immenso Robert Capa che affermava che la foto per riuscire bene deve essere scattata il più vicino possibile al soggetto ripreso? Ma sono consapevole di quanto la questione, oggi, qui, sia fuori luogo quanto una soleggiata giornata estiva e alla fine mi dico che i numerosi pixel dei miei scatti mi consentiranno ampio margine di manovra con la funzione “crop”.
L’orso polare a Churchill rimane nei pressi della costa fino a novembre: non appena il mare si solidifica in ghiaccio, così da garantire uno spessore di sicurezza, l’orso, che per istinto atavico intuisce che il momento atteso è finalmente giunto, si avventura al largo per procurarsi il cibo (foche, leoni marini) necessario alla vita. Questo ciclo naturale che si protrae da tempo immemore consente al viaggiatore di osservare comodamente una delle specie più schive ed elusive in natura, a patto però di non mancare la corretta finestra temporale: rischiate altrimenti di venire fin qui e sentirvi dire che gli orsi hanno preso il largo e la delusione sarebbe cocente. Churchill può anche regalare delle fantastiche aurore boreali ai fortunati che giungono sin qui per avvistare i giganti in livrea bianca. Io, purtroppo, non ho avuto questa fortuna però proprio l’ultimo giorno mi ha riservato un premio di consolazione tanto gradito quanto inatteso.
Io non sarei mai stato in grado di individuarla, là in mezzo al niente, cielo plumbeo e suolo bianco ovunque. E del resto proprio nella loro capacità mimetica riposa la possibilità di sopravvivere più a lungo sfuggendo ai predatori: la volpe artica ha il manto cromaticamente uguale ai ghiacci che ricoprono il suolo fino al disgelo, così se non me la avessero indicata non la avrei mai fotografata. Inizialmente mi è parso, sono sincero, di riprendere soltanto un paio di occhi assonnati, ma ecco che anche io comincio forse ad entrare in sintonia con questo luogo che tanto pretende dal visitatore prima di schiudergli le proprie straordinarie ricchezze. E così ora sì che ravviso, in quel gomitolo arruffato, coda e naso, zampe e orecchie.
E poiché i giorni trascorsi mi son sembrati troppo pochi, ho deciso di tornare a Churchill, prima o poi. E vi dico di più: al prossimo giro invece di volare da Winnipeg prendo il treno. Così magari non dovrò aspettare un giorno intero in aeroporto che la pista gelata consenta atterraggio e decollo al volo che mi riporta verso la civiltà. O forse anche gli spostamenti in treno sono soggetti alle bizze del clima come quelli aerei?
Ve lo racconterò…