Se osserviamo la superficie di Marte, non sembra proprio di vedere un luogo ospitale, e pur con tutte le informazioni a nostra disposizione, dobbiamo compiere un notevole sforzo inventivo per immaginare forme di vita che riescano a sostenersi in un ambiente così ostile. Marte è secco e freddo, con temperature che in alcune aree, la notte, precipitano fino a 140 °C sottozero. Per vivere in queste condizioni i suoi "abitanti" dovrebbero essersi adattati a procurarsi acqua liquida dal ghiaccio, mantenendola in tale stato il tempo necessario a far proliferare le proprie progenie. Inoltre, l'atmosfera sottile e la mancanza d'un vero campo magnetico, lasciano passare le radiazioni solari ultraviolette e i raggi cosmici provenienti dallo spazio. Radiazioni che devasterebbero qualsiasi essere che volesse vivere sulla superficie, a meno che, evolvendosi, non abbia sviluppato un pigmento protettivo che lo difenda dalla sterilizzazione e dai mutamenti genetici derivanti dalle emissioni ionizzanti.

Naturalmente, qualcuno potrebbe supporre, come hanno fatto molti scrittori di fantascienza, che su Marte possano esistere forme di vita molto differenti da quelle della Terra, magari basate su elementi chimici diversi dal carbonio, come il silicio, che appartiene allo stesso gruppo nella "tavola periodica degli elementi"1. Gli scienziati, però, dubitano che possa esistere una vita fatta di "sabbia", al contrario, la maggior parte di loro ritiene che la vita nell'Universo debba essere basata sulla chimica del carbonio, per le sue capacità di formare molecole grandi e complicate, caratteristiche che si adattano perfettamente alla complessità della vita. Il carbonio, inoltre, ha la capacità di favorire i processi di ossidazione e riduzione, reazioni che rendono possibile la fotosintesi clorofilliana2.

I biologi suppongono che le prime forme di vita terrestri, si cibassero di sostanze organiche nate dalle reazioni chimiche in atto nel primitivo ambiente del pianeta3. Quando queste sostanze si esaurirono, per sopravvivere, quei minuscoli e primitivi esseri dovettero imparare a sintetizzare del nuovo nutrimento da altri composti a base di carbonio. Molti di loro non sopravvissero, ma alcuni impararono a usare l'energia solare per trarre nutrimento dall'anidride carbonica, sviluppando la capacità della fotosintesi che, come conseguenza, inondò l'atmosfera terrestre d'ossigeno. Tutto questo processo però, non sembra essere accaduto su Marte, perché il pianeta oggi non ha grandi quantità di ossigeno nella sua atmosfera.

Pur non potendo negare l'esistenza di forma di vita esotiche, queste hanno molta poca probabilità di esistere. Al contrario, l'ipotesi che la vita, perlomeno nel Sistema Solare, sia basata sul carbonio sembra relativamente sicura e partendo da questo presupposto, gli scienziati possono determinare il tipo di pianeta su cui potrebbe svilupparsi la vita, e che probabilità esistono che vi prosperi tuttora. D'altra parte, oggi sappiamo che quattro miliardi di anni fa, Marte possedeva tutte le caratteristiche necessarie a sostenere una vita simile a quelle esistente sulla Terra, prima della sua conversione alla fotosintesi. La superficie marziana era abitabile, con fiumi, laghi e persino oceani. Condizioni, che hanno indotto alcuni astrobiologi a pensare all'antico Marte come una "culla della vita" migliore di quella della Terra, arrivando perfino a ipotizzare che la vita sul nostro pianeta possa essere arrivata, molto tempo fa, trasportata da rocce marziane lanciate nello spazio da un potente impatto.

È quanto ha sostenuto da Michael Finney, co-fondatore di The Genome Partnership, un'organizzazione senza scopo di lucro che gestisce le conferenze organizzate dall'Advances in Genome of Biology and Technology4, durante la Breakthrough Discuss Conference, tenuta nel 2019 alla Berkeley University in California, il cui tema era "Migration of Life in the Universe":

La combinazione degli eventi iniziati circa 3,5 miliardi di anni fa, che hanno portato Marte a diventare il pianeta che conosciamo, non comporta necessariamente che oggi sia un mondo privo di vita, perché se vi era 4 miliardi di anni fa, nulla toglie che vi possa essere ancora oggi. […] Se ci fosse ancora vita su Marte, questa potrebbe essersi nascosta per proteggersi dalle radiazioni e restare a contatto con l'acqua, e se sappiamo dove cercare probabilmente la troveremo sottoterra.

Sebbene la superficie del Pianeta Rosso non mostri tracce di acqua, a parte i flussi stagionali che disegnano i canali che scendono dai pendii più esposti al Sole, è possibile che la vita esista all'interno di grotte o tubi lavici, oppure nelle vicinanze di falde acquifere sepolte come i laghi esistenti sotto la calotta polare meridionale. Certamente, non è facile individuare dalla superficie o analizzando l'atmosfera, l'esistenza di qualche forma di vita nascosta, anche se recentemente si sono registrati indizi interessanti, come le emissioni di metano stagionali che il rover Curiosity continua ad "annusare" all'interno del cratere Gale, scoprendo che le concentrazioni di questo gas compaiono e spariscono secondo cicli ancora sconosciuti.

Considerando che più del 90% del metano atmosferico della Terra è prodotto da microbi e altri organismi, è agevole supporre che l'emissione di questo gas sia la firma dell'odierna vita marziana. Vi sono naturalmente altre spiegazioni per la presenza del metano, non ultima che le creature5 che l'hanno prodotto siano morte da milioni di anni, poiché non siamo in grado di sapere per quanto tempo sia rimasto intrappolato nel sottosuolo prima di raggiungere la superficie.

Considerato che sulla Terra la vita ha colonizzato ogni sua nicchia, come i licheni e i batteri che dimorano nelle rocce antartiche della McMurdo Dry Valleys, i microrganismi che vivono negli abissi accanto a sorgenti idrotermali nutrienti a temperature superiori ai 113 °C, oppure nelle acque acide del fiume Tinto in Spagna. Non è utopico pensare che i "marziani", nelle loro forme più elementari, possano aver scelto di rifugiarsi sottoterra col sopravvenire nel corso dei millenni di condizioni climatiche sempre più estreme. I principali candidati a ospitare organismi viventi o loro antiche vestigia, potrebbero essere le innumerevoli grotte e gallerie scavate dalla lava, quando il vulcanismo su Marte era alla sua maggiore intensità, e dove il permanere di sorgenti geotermiche potrebbe aver attivato con il ghiaccio del terreno cicli vitali a noi sconosciuti. I tubi di lava, come sono comunemente chiamati questi anfratti geologici, esistono anche sulla Terra, ma sono molto più piccoli di quelli marziani per la maggior forza gravitazionale del nostro pianeta.

Oltre a potenzialmente ospitare vita vegetale, microbica o più evoluta, i tubi di lava saranno con tutta probabilità utilizzati dai futuri esploratori umani, che grazie alla protezione che offrono dalle radiazioni e dalla onnipresente polvere sollevata di venti ciclonici, potrebbero costruirvi le loro prime basi permanenti. Queste grotte, infatti, offrono molti vantaggi. Se si riuscisse a sigillarle potrebbero essere pressurizzate e riscaldate, creando ambienti vivibili molto più grandi di quelli che possono offrire i comuni habitat modulari trasportati dalla Terra, garantendo protezione dalle meteoriti, fluttuazioni di temperatura e sostanze potenzialmente pericolose presenti nella polvere marziana.

Queste strutture naturali, che i satelliti in orbita hanno individuato a centinaia sparse sull'intera superficie, potrebbero essere il nostro biglietto d'ingresso per abitare Marte a lungo termine e forse avviare alla colonizzazione definitiva del pianeta rosso. Questi luoghi privilegiati saranno utili sotto molti aspetti, i primi dei quali saranno l'osservazione e lo studio diretto della geomorfologia marziana e, appunto, di eventuali forme di vita.

Allo scopo di esplorare questi misteriosi anfratti senza mettere in pericolo gli esploratori umani, gli scienziati stanno sperimentando robot a quattro zampe, che imitano gli animali, dotati di intelligenza artificiale (I.A.) e una serie di apparecchiature di manipolazione e rilevamento, che li guidano e li aiutano a muoversi in modo autonomo, sui terreni insidiosi che si possono trovare all'interno delle grotte sotterranee marziane. In una presentazione tenutasi online il 14 dicembre 2020, durante l'annuale riunione dell'American Geophysical Union (AGU), ricercatori della NASA (JPL) e dell'Università della California (Caltech) hanno presentato i risultati ottenuti con i loro "Mars Dogs" che, dotati di quattro zampe e un braccio robotico, possono muoversi in modi completamente diversi e molto più versatili rispetto agli iconici rover a ruote, come i fortunati ed efficientissimi Spirit, Opportunity, Curiosity e Perseverance.

L'agilità, la resilienza e l'autonomia dimostrata da questi nuovi robot intelligenti, è ottenuta grazie all'accoppiamento dei servomeccanismi a sensori che consentono loro di evitare ostacoli, scegliendo tra più percorsi e disegnare mappe virtuali di tunnel e caverne, che saranno di grande utilità al successivo ingresso degli esploratori umani. I rover dotati di ruote finora utilizzati su Marte, sono limitati principalmente a superfici piane e prive di ostacoli, mentre molte regioni marziane scientificamente interessanti sono raggiungibili solo attraversando terreni molto accidentati, o inoltrandosi all'interno di grotte e tubi di lava. Una sfida che solo i "cani" robot possono affrontare perché anche se dovessero perdere l'equilibrio e cadere, sono in grado di rialzarsi e continuare la missione. Allo stato odierno della ricerca un Mars Dog è circa dodici volte più leggero degli attuali rover ed è in grado di viaggiare molto più velocemente, raggiungendo velocità di circa 5 km/h. Per un confronto si consideri che il rover Perseverance percorre la superficie marziana a circa 0,14 km/h.

I robot a quattro zampe, quindi, si sono dimostrati nelle simulazioni a terra, più efficaci dei tradizionali rover su ruote, e grazie alla loro "intelligenza" (I.A. in progressiva e costante evoluzione) possono essere utilizzati anche in missioni automatiche a distanza, poiché sono in grado di camminare intorno alle rocce, scendere all'interno di crateri, caverne e gallerie naturali, selezionando il percorso più conveniente, raccogliendo contemporaneamente informazioni che potrebbero offrire agli scienziati nuove opportunità per rilevare segni di vita oltre la Terra, e quindi non solo su Marte.

Il robot presentato alla AGU 2020, e soprannominato "Au-Spot", è una versione modificata di "Spot", un esploratore meccanico a quattro zampe creato dalla società di robotica Boston Dynamics. Oltre sessanta scienziati e ingegneri si sono avvicendati nel gruppo di Collaborative SubTerranean Autonomous Resilient Robots (CoSTAR), per mettere a punto Au-Spot, dotandolo di vari tipi di sensori e software, per aiutarlo a scansionare, camminare e mappare in modo sicuro e autonomo i vari percorsi nei quali è stato messo a punto, come tunnel e corridoi; scale e rampe; in luoghi all'aperto che imitano i paesaggi marziani e all'interno dei tubi di lava della California settentrionale, dimostrando che robot su "zampe" possono muoversi con sicurezza intorno a ostacoli imprevisti, mappare terreni e grotte profonde elaborando autonomamente le informazioni raccolte dal rilevatore a distanza a impulsi laser (Lidar) oltre che da sensori visivi, termici e di movimento, per creare mappe 3D che trasmette in simultanea all'operatore in superficie, oppure, direttamente a Terra tramite il network satellitare marziano.

Non sappiamo quando questi robot saranno utilizzati su Marte, ne che grado di intelligenza potranno raggiungere nei prossimi anni, certamente progrediranno oltre la nostra immaginazione e consentiranno lo svolgimento di missioni scientifiche rivoluzionarie sulla superficie e nel sottosuolo marziano, spingendo così i confini della capacità umana nell'esplorare siti tradizionalmente inaccessibili, ma anche di essere utili sul nostro pianeta, per addentrarsi in luoghi pericolosi, come luoghi in fiamme, saturi di gas o radioattivi oppure, molto più semplicemente, ma non meno importante diventare degli assistenti fedeli per chi ha difficoltà motorie o visive.

Note

1 La tavola periodica degli elementi è lo schema con cui sono ordinati gli elementi chimici sulla base del loro numero atomico e del numero di elettroni presenti negli orbitali atomici. Nella tavola, gli elementi del gruppo 14 (o del carbonio) sono: carbonio (C), silicio (Si), germanio (Ge), stagno (Sn) e piombo (Pb). Il carbonio è uno degli elementi più abbondanti nel vuoto interstellare. Sulla Terra è il 15º elemento per abbondanza, presente sia in forma elementare come carbone, grafite o diamante, sia in forma ossidata come carbonato in molti minerali, e sia in forma ridotta nei combustibili fossili. L'aria contiene 400 ppm di diossido di carbonio. Il silicio invece costituisce il 28% della crosta terrestre, il secondo elemento per abbondanza dopo l'ossigeno. I silicati sono i minerali più comuni sulla crosta terrestre.
In xenobiologia (branca della biologia sintetica, che studia la sintesi e la manipolazione di ipotetici sistemi biologici non terrestri) la biologia del carbonio è necessariamente la base di tutta la vita sugli altri pianeti, in quanto le sue proprietà chimico-fisiche lo rendono di gran lunga superiore a tutti gli altri elementi chimici. Vi sono, comunque, diverse altre basi possibili per la vita, con diversi gradi di plausibilità fra questi il principale è il silicio in quanto questo elemento possiede alcune proprietà chimiche simili a quelle del carbonio. Il silicio ha comunque alcuni svantaggi rispetto al carbonio. Poiché gli atomi di silicio sono molto più grandi, hanno difficoltà a formare legami doppi o tripli. Delle varie molecole fin ora identificate nello spazio interstellare, 84 sono basate sul carbonio e 8 sul silicio, quattro delle quali comprendono anche il carbonio. Ciò suggerisce che esista una maggiore varietà di composti complessi di carbonio nel cosmo, riducendo le possibilità che si possa costruire biologie a base di silicio. Naturalmente non è escluso che composti al silicio possano essere biologicamente stabili in condizioni ambientali "esotiche" o in unione col carbonio come sulla Terra sono le strutture scheletriche delle diatomee, dei radiolari e delle spugne silicee.
2 La fotosintesi clorofilliana è un processo biochimico che le piante utilizzano per procurarsi il nutrimento necessario per poter crescere. Base e motore dell’intero processo è la clorofilla, un pigmento di colore verde che si trova sullo strato superficiale delle foglie. La clorofilla cattura l'energia del Sole trasformandola in energia chimica che trasforma l'anidride carbonica assorbita dall'aria in zuccheri e carboidrati, nutrimento fondamentale per l’alimentazione delle piante. Il processo di fotosintesi clorofilliana libera ossigeno, come scarto di tutto il processo, elemento essenziale per la vita sulla Terra di piante, animali e, naturalmente, anche per l’uomo.
3 I biologi ipotizzano che circa 4 miliardi di anni fa, sulla Terra esistesse un batterio che viveva, al riparo degli sconvolgimenti superficiali, nelle profondità del sottosuolo accanto profonde prese d'aria idrotermali ricche di zolfo e ferro. Anaerobico e autotrofo, non respirava aria e produceva il proprio cibo dall'ambiente buio e ricco di metalli che lo circondava. Il suo metabolismo dipendeva da idrogeno, anidride carbonica e azoto, che trasformava in nutrienti organici come l'ammoniaca. Questo microbo però non è l'origine della vita. Le prime prove di vita risalgono a 3,7 miliardi di anni fa sotto forma di stromatoliti, che sono strati di sedimenti depositati da altri tipi di microbi. Presumibilmente, la vita potrebbe essere esistita anche prima. Tuttavia, l'arrivo di questo batterio, tra 2 e 4 miliardi di anni fa, e la sua evoluzione potrebbero rappresentare l'inizio di una lunga stirpe che racchiude tutta la vita sulla Terra.
4 La "Advances in Genome Biology and Technology" (AGBT) è una organizzazione no-profit che programma le tre conferenze più importanti nel campo della scienza e della tecnologia del genoma. Durante gli incontri, i migliori ricercatori della comunità scientifica mondiale e i leader dell'industria, si riuniscono per annunciare nuove scoperte e per lanciare collaborazioni nel progresso delle tecnologie di sequenziamento del DNA, nella guida di nuove applicazioni e nella promozione di approcci sperimentali e analitici per gli studi genomici.
5 I metanogeni sono un gruppo di microrganismi, appartenenti al dominio Archaea, che in ambienti privi di ossigeno (anaerobici) traggono nutrimento dai composti presenti producendo come scarto metano. Sulla Terra, vivono principalmente nelle zone umide, contribuendo alla formazione del gas di palude, che è una miscela di metano, idrogeno solforato e anidride carbonica. Inoltre, prosperano nei tratti digestivi dei ruminanti e degli esseri umani. I metanogeni possono proliferare anche nei bacini di trattamento delle acque reflue, nelle falde acquifere acide e nel terreno. Altri tipi di metanogeni (estremofili) si trovano nelle sorgenti calde e sui camini oceanici idrotermali. È probabile che ambienti di questo genere siano simili a quelli della Terra primordiale, dove gli archei potrebbero essere stati i primi organismi a evolversi. La classificazione degli Archea è piuttosto complessa e ancora in divenire, dato che la loro scoperta risale solo al 1977. Attualmente la distinzione che raccoglie il maggior numero di consensi è suddivisa in tre domini: Bacteria (batteri); Archaea (archei) Eukarya (eucarioti) nel cui Regno, Animalia, è classificato anche l'uomo.