Probabilmente il 19 marzo 2022 è stato derubricato dai più come il ventiquattresimo giorno di una guerra di cui, a un mese e mezzo dall'inizio, si stenta a vedere una via d'uscita. Ha quindi un effetto oltremodo straniante pensare che in quella data, letteralmente dall'altra faccia della Terra rispetto al fronte ucraino ed ai suoi ponti minati o bombardati, una grande città cosmopolita festeggiasse il suo ponte: era infatti il novantesimo compleanno dell’Harbour Bridge di Sydney.
Con i suoi 503 metri di lunghezza per 134 di altezza massima, è il sesto ponte ad arco più lungo al mondo, nonché il primo per larghezza e peso: chiaramente un'opera di tutto rispetto, familiare al grande pubblico per la sua inconfondibile presenza nel panorama della non-capitale australiana, ma probabilmente priva, al di fuori dei confini patri, del prestigio che le spetterebbe, forse per il fatto di essersi vista scippare anzitempo il ruolo di simbolo cittadino dalla vicina Opera House. Conoscere la genesi dell'Harbour Bridge significa invece ripercorrere un tratto significativo della storia dell'ingegneria civile e rivivere le aspettative e le ambizioni di una città emergente tra Otto e Novecento.
Fin dall’atto di fondazione nel 1788, le potenzialità di Sydney sono infatti evidenti: Port Jackson, tentacolare foce del fiume Parramatta, è un vastissimo approdo naturale e immediatamente a Sud si stende una grande pianura facilmente edificabile; il ruolo di colonia penale è destinato quindi a essere presto superato da ben altre funzioni e il vorticoso sviluppo demografico ne è una conferma.
Già intorno alla metà dell'Ottocento si comincia a vagheggiare la necessità di un collegamento rapido tra il nucleo di Sydney e la sponda Nord della baia, e si susseguono le ipotesi più disparate, dal ponte di barche al viadotto a travate reticolari, come sta avvenendo un po’ dappertutto in Europa e in Gran Bretagna. Con l'inizio del nuovo secolo invece sembrano prevalere le suggestioni newyorkesi, forse anche in segno di insofferenza verso la madrepatria: il governo del Nuovo Galles del Sud nel 1900 indice un concorso internazionale di progettazione che vede prevalere l’idea di un ponte sospeso, proprio come il Brooklyn e il Manhattan Bridge da poco ultimati; due anni dopo il concorso viene ripetuto e il premio va alla proposta di un ponte a sbalzo, del tutto simile al Queensboro, la cui cantierizzazione all’epoca è imminente. Anche stavolta però tutto si ferma, prima per cambi di maggioranza nel governo locale e poi per lo scoppio della Grande Guerra.
L’idea risolutiva arriverà comunque da New York: lì infatti, fra il 1912 e il 1916, nell'ambito di un complessivo programma di potenziamento dei collegamenti ferroviari verso Nord, è stato realizzato l’Hell Gate Bridge, sulla base di un progetto di Gustav Lindenthal, creativo ingegnere autodidatta già coautore del Queensboro, che per l’occasione ha proposto un ponte ad arco reticolare a via intermedia, sistema ibrido in cui si incontrano la solidità dell’arco, la relativa rapidità di esecuzione delle strutture a gabbia metallica e i vantaggi costruttivi dei ponti sospesi, quali l’assenza di impiego di centine e l’impalcato stradale appeso a una quota elevata.
Negli anni Venti a Sydney la realizzazione del ponte non è più procrastinabile: la città è ormai prossima alla soglia psicologica del milione di abitanti, le colline a Nord di Port Jackson cominciano a interessare alla speculazione immobiliare e i collegamenti via traghetto hanno raggiunto la saturazione. Nel 1922 allora l’ingegnere ministeriale John Bradfield, dopo un anno trascorso in missione all’estero alla ricerca di suggerimenti e possibili appaltatori, elabora un progetto ispirato all’Hell Gate, mentre il Governo delibera la costruzione del ponte e bandisce la gara d’appalto, che viene vinta dalla Dorman Long and Co. di Middlesbrough, la quale a sua volta prenderà spunto da questa esperienza per realizzare, poco dopo, il Tyne Bridge a Newcastle.
Il 28 luglio 1923 viene posata la prima pietra e cinque anni dopo, ultimate le rampe d’accesso e le fondazioni laterali, ha inizio la parte più delicata del cantiere: la costruzione dell’arcata di acciaio. Probabilmente la sensazione più diffusa tra la popolazione via via che l'opera procede è quella dello stupore, sentimento ancor oggi fortissimo per chi osserva le fotografie d'epoca: le due sezioni del grande arco reticolare emergono simultaneamente dalle sponde opposte fino a congiungersi il 19 agosto 1930; segue la posa dell'impalcato e alla fine dell’anno successivo l’opera può dirsi completa.
Ed ecco il fatidico 19 marzo 1932. Mentre circa trecentomila persone si accalcano sulle rampe nell'attesa di compiere la prima traversata, la cerimonia inaugurale è l’occasione per un buffo siparietto politico: il locale governo laburista non ha invitato a presenziare alcun membro della famiglia reale e, in tutta risposta, al momento del taglio del nastro irrompe fra le autorità un ufficiale a cavallo, il capitano De Groot, esponente del movimento fascistoide “New Guard”, che con la sua sciabola batte sul tempo il premier Jack Lang. Risultato: ufficiale arrestato, nastro annodato e taglio ripetuto. Di lì a poco sulla carreggiata ampia 49 metri ci sarà spazio per sei corsie stradali, due binari tranviari i due binari della nuova linea ferroviaria verso Nord, per la cui realizzazione la Sydney Central Station è stata convertita da terminal a stazione passante.
È indubbio che Sydney si è affezionata al suo ponte: se da un lato viene soprannominato “l’attaccapanni”, dall’altro è l’indiscusso protagonista dello spettacolo pirotecnico di Capodanno. Gli stessi quattro torrioni agli estremi del grande arco, del tutto privi di una funzione statica ma realizzati per abbellimento estetico e rassicurazione psicologica, dopo un’iniziale inutilizzo, sono stati gradualmente coinvolti nella vita della città ospitando uffici turistici e altri servizi pubblici. Addirittura, ormai da anni, si è consolidata l'abitudine di organizzare tour guidati di arrampicata sulla struttura del ponte, una forma come un'altra di attaccamento, di valorizzazione, di presidio: forse è anche grazie a questo che l'Harbour Bridge ha serenamente raggiunto il traguardo dei novant’anni.
Diversamente, l'usura non perdona e un viadotto, per quanto ben concepito, se minato da incuria, incompetenza, o addirittura malafede, può raggiungere la sua fine vita molto prima e nel peggior modo possibile.
Da genovese, qualcosina ne so.