Studiando, leggendo, guardando, “esperienziando” la vita ci accorgiamo sempre più spesso che dove c’è una dicotomia, quando ci troviamo di fronte ad opposti e contraddizioni, se si guarda meglio, si scopre che il confine tra le diverse posizioni sfuma, e le due diversità si sciolgono quasi sempre l’una nell’altra.
La cosa divertente è poi accorgersi che questo passaggio crea un flusso, un movimento, una circolarità.
La Natura tende a manifestare questa dinamica con armonia. Partiamo proprio dal principio, dalla natura in sé.
Quando qualcosa è semplice, facile, scorrevole, chiaro, diciamo che è “naturale”. Al tempo stesso riconosciamo che non vi è nulla di più complesso dell’universo vivente.
In noi convive questo opposto sentimento, senza che si crei in noi nessun conflitto, perchè queste due definizioni, apparentemente opposte, si manifestano in un sistema armonico, diventando così per noi facile da accettare.
Un altro contrasto che riguarda la natura è questo: ci piace (a noi esseri umani) definirci speciali, e sempre e comunque superiori alle bestie (alla naturalità). Attribuiamo ad alcune nostre capacità, sia fisiche che intellettuali, il segno distintivo di questa superiorità: perché produciamo opere d’arte di commovente bellezza, perché la scrittura ci consente di tramandare la conoscenza acquisita dagli individui della nostra specie a tutte le generazioni future (e non solo alla generazione immediatamente successiva), perché siamo in grado di suonare il violino, o di andare nello spazio, perché abbiamo imparato a parlare con Dio… eppure, continuiamo a riconoscere nel selvaggio e nel primordiale un valore inestimabile e un senso di appartenenza, l’unico a cui fare riferimento quando abbiamo davvero il coraggio di andare a cercare chi siamo veramente.
Così come dopo aver lavorato migliaia di anni per costruire la civiltà, ci ritroviamo oggi a fare di tutto per togliercela di dosso per poter vivere esperienze reali, autentiche. Riconosciamo nel contatto diretto con il selvaggio, con la terra nella sua dimensione non antropizzata, nella sua versione più estrema, pericolosa, incontrollabile e sconosciuta, una risorsa indispensabile per comprendere noi stessi.
Per quanto la filosofia abbia guidato le nostre menti verso ogni angolo della conoscenza, riconosciamo nell’esperienza di connessione con la natura la fonte della più alta forma di saggezza, sappiamo che ci sono informazioni essenziali per la nostra vita che ci possono venire solo da esseri non-verbali.
Dopo aver faticato tanto per costruire ed imporre sistemi religiosi, non resistiamo all’attrazione che ci provoca la spiritualità del mistero della vita, della sua magia, della meraviglia, della sensazione di poterci sentire davvero parte di un Tutto.
Ogni sforzo fatto per cercare di convincerci di essere diversi dalla natura selvaggia, esseri superiori ed indipendenti da essa, si è ripercosso contro di noi, rendendoci fisicamente, mentalmente e spiritualmente deboli e soli.
Abbiamo scientemente deciso di costruirci rifugi per proteggerci sempre di più dal contatto con la più potente ed inesauribile fonte di energia di cui disponiamo.
Migliaia di donne sono state cacciate, perseguitate, torturate ed uccise per essere la manifestazione di quel potere che gli uomini avevano arbitrariamente deciso di disconoscere (credo che ancora oggi si vorrebbe che le donne fossero pure, nel senso di epurate del loro essere animali, per non mettere gli uomini in difficoltà).
Abbiamo trovato ogni forma dialettica possibile per dare un’accezione negativa all’essere primitivo, all’essere animale, arrivando perfino a farlo coincidere con il “demoniaco”.
Anche la società moderna, nella sua spinta ecologista, include nella sfera dell’accettabile solo ciò che è lieve, delicato, bello, e rifiuta in modo categorico le manifestazioni di quell’energia non appena sfuggono al controllo, come le condizioni meteorologiche al di fuori delle medie stagionali, le attività vulcaniche, le malattie, le estinzioni.
Per non parlare della morte. La morte è orrenda, indecorosa, disturbante, per qualcuno inaccettabile.
Anche in questo caso, potremmo dire estremo, se utilizzassimo la natura come sistema di riferimento, la vita e la morte sarebbero insieme, unite, circolarmente conseguenti. Sono la dicotomia che rappresenta la forza dinamica che muove ogni cosa.
Se invece utilizziamo il sistema di riferimento umano oggi in voga, quella circolarità si rompe, diviene zoppa, disfunzionale, perché la morte è divenuta un nemico da sconfiggere. E quante risorse vengono impiegate in questa inutile guerra!
Molto più saggio sarebbe invece riuscire impegnarsi a vivere una vita piena di significato, tenendo viva e attiva quella dinamica tra ciò che è contraddittorio e apparentemente antitetico che comunque è manifestazione del nostro senso e della nostra interezza. Sarebbe bello riuscire a farlo in modo naturale e armonico, accogliendo la naturale essenza dell’essere semplice e complesso, finito e infinito, comprensibile e magico, infinitamente piccolo e infinitamente grande, insieme.
Solo se riusciremo a riportare nelle nostre vite quel flusso circolare, invece che pretendere di dividere con un confine invalicabile tutti i dualismi che ci vengono in mente, potremo sentirci di nuovo parte di questo organismo vivente che chiamiamo Terra, invece che vivere sopra di essa come estranei abitanti temporanei.
E solo se riusciremo a ricordarci di essere inscindibilmente collegati a ciò che ci circonda e connessi gli uni dagli altri, smettendo di tentare inutilmente di dividere la natura dalla cultura, l’umano dal resto dell’universo, l’anima dal corpo, la ragione dal sentimento, e noi stessi dalla nostra natura contraddittoria potremo aspirare ad essere felici.