Il 24 novembre è partita dallo Space Launch Complex 4 della Vandenberg Space Force Base, in California, la missione della NASA Double Asteroid Redirection Test (DART), che ha preso il volo in cima a un razzo Falcon 9 della SpaceX iniziando un viaggio di milioni di chilometri con l'obiettivo di andare a schiantarsi contro un asteroide, nel primo test di protezione planetaria. Il tentativo, mai tentato in precedenza, di deviare un asteroide dalla sua rotta.
Chiariamo, al momento non esiste alcun pericolo per la Terra, ma è indubbio che in passato, agli inizi della sua formazione, il nostro pianeta è stato ripetutamente colpito, anche in modo devastante, da meteoroidi e comete, come testimoniano gli innumerevoli crateri che osserviamo sulla Luna. Grazie alle missioni lunari Apollo, che hanno consentito di analizzare l'età dei crateri lunari, oggi siamo in grado di affermare che l'intero sistema solare è stato soggetto a un "grande bombardamento" per un periodo di tempo che si estende tra 4,1 e 3,8 miliardi di anni fa. Epoca caratterizzata da un gran numero di impatti astronomici che hanno colpito oltre la Luna, anche la Terra, Mercurio, Venere e Marte. Gli esperti, inoltre, sono riusciti a calcolare anche la frequenza degli impatti nel tempo, scoprendo che possiamo aspettarci di essere nuovamente colpiti da un asteroide di 10-15 km di diametro, all'incirca ogni 100 milioni di anni, un evento che avrebbe affetti devastanti per la sopravvivenza dell'intero ecosistema terrestre.
In effetti, se andiamo a vedere la storia geologica del nostro pianeta, notiamo che le ere suddividono periodi corrispondenti a grandi estinzioni di massa, con tutta probabilità riconducibili a impatti di asteroidi di grandi dimensioni. Di questi cataclismi il più noto a tutti noi è senza dubbio quello che ha decretato l'estinzione dei grandi rettili che dominavano il pianeta nel Cretaceo (65 milioni di anni fa) insieme a loro il 75% delle specie che vivevano sulla Terra. Un mega-impatto noto con il nome di Chicxulub, il cui cratere è stato individuato nella penisola dello Yucatan. Impatti di questo genere sono ormai da considerarsi estremamente rari, ma impatti di medie dimensioni sono continuati nel tempo in epoche molto più recenti, come il Meteor Creter in Arizona che risale a solo (si fa per dire) 50.000 anni fa. L'oggetto che ha scavato il cratere (1,186 km), era un meteorite composto principalmente da ferro e nichel di circa 50 metri di diametro, e ha colpito il suolo a una velocità di circa 12,8 km/s sprigionando una energia di circa 10 megatoni (Mt)1, 66 volte più potente della bomba atomica sganciata su Hiroshima durante la Seconda guerra mondiale.
Il pericolo che in futuro possano avvenire nuovi impatti è quindi reale, e man mano che le nostre conoscenze sulla formazione del sistema solare sono progredite e la tecnica astronautica è avanzata, ci si è posti il tema di come reagire a un pericolo di questo genere, sempre che lo si possa scoprire con un adeguato anticipo, e quando diciamo adeguato intendiamo qualche decina d'anni (almeno).
A oggi, gli asteroidi che possano avvicinarsi o intersecare l'orbita della Terra, chiamati generalmente con l'acronimo inglese NEO (Near-Earth Objects), sono più di 27.000 (cifra in costante aumento) oltre a un centinaio di comete a breve periodo - NEC (Near-Earth Comets). Tuttavia, gli scienziati hanno classificato solo il 40% di tutti gli oggetti che si ritiene passino vicini alla Terra. Alcuni di questi hanno dimensioni importanti e tali da costituire un serio pericolo per la nostra sopravvivenza se colpissero la Terra. Ma solo un piccolo numero è abbastanza grande da poterne tracciare con certezza l'orbita, e così verificare se sono realmente in rotta di collisione con il nostro pianeta. Oltre alla dimensione, il pericolo dipende anche dalla composizione dell’oggetto, infatti c'è differenza se sono metallici, rocciosi o formati da ghiaccio sporco come le comete. Oggetti più grandi di 1÷2 km provocherebbero una catastrofe che potrebbe coinvolgere aree molto estese anche a causa dell’immissione di grandi quantità di polvere nella stratosfera, che oscurando la luce solare, può modificare repentinamente il clima terrestre a livello globale. Fortunatamente asteroidi di queste dimensioni sono rari, e si stima che possano impattare con la Terra soltanto poche volte ogni milione di anni. I calcoli però dimostrano che un oggetto che superi i 140 metri di diametro è già potenzialmente molto pericoloso, mentre corpi fino a 20 metri di diametro, possono causare danni significativi solo all'ambiente e alle popolazioni residenti nel punto d'impatto.
Per valutare i rischi e le conseguenze della caduta di un Near-Earth Objects, i ricercatori hanno ideato due "scale di valutazione dell'impatto". La "scala di Torino", pensata dal Professor Richard P. Binzel, del Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Atmosfera e Planetarie, presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), che presentò nella versione aggiornata alla conferenza internazionale sui NEO tenutasi nel giugno 1999 a Torino. E la più complessa "scala logaritmica di Palermo", gradazione fra l'altro consultabile sui portali della NASA, che prende il nome della città siciliana dove, nel 1801, l'astronomo italiano Giuseppe Piazzi (1746-1826) scoprì Cerere, il primo e più grande asteroide conosciuto (473 km).
Fortunatamente per noi, la maggior parte di questi oggetti è molto piccola, e quando riescono ad attraversare l'atmosfera generalmente non costituiscono alcun pericolo, anzi creano spettacolari fiammate nel cielo, fenomeno molto comune che spesso associamo al nome di "stelle cadenti". Infatti, normalmente ogni giorno cadono sulla Terra oltre cento tonnellate fra polveri cosmiche e piccole meteore, che attraversando l'atmosfera in gran parte bruciano o si spezzano in piccolissimi frammenti. In un anno sono circa solo 500 i frammenti che riescono a raggiungere il suolo, e solo una decina quelli che si riescono a trovare, mentre gli altri si perdono, probabilmente in mare. Lo studio di questi meteoriti è importantissimo per i geologi planetari, perché sono ciò che resta del materiale primordiale che ha formato i pianeti 4,6 miliardi di anni fa. Raccoglierli e studiarli quindi, è molto utile per comprendere le dinamiche sulla formazione del sistema solare e per valutare la possibilità che, insieme a frammenti cometari, possano aver trasportato la vita o elementi necessari alla sua nascita da un pianeta all'altro, tema che potete approfondire leggendo Uomini o Marziani – Marte e l'origine della vita (Aiep).
Ma torniamo alla nostra missione interplanetaria. Come abbiamo scritto all'inizio di questo articolo, DART è una navicella spaziale che raggiungerà una coppia di asteroidi che sono un perfetto banco di prova per eseguire test di difesa planetaria. Sfruttando la forza cinetica della sua velocità, DART colpirà Dimorphos, una piccola luna che orbita attorno Didymos, un asteroide molto più grande. Quello che gli scienziati si aspettano che l'impatto sia sufficiente a modificare l'orbita di Dimorphos di diversi minuti, per verificare se far schiantare intenzionalmente un veicolo spaziale su una piccola roccia, possa essere un metodo efficace per cambiarne il percorso. L'asteroide bersaglio di DART non è una minaccia per la Terra, ma il successo dell'esperimento avrebbe importanti implicazioni per la difesa planetaria.
I drammatici momenti finali dell'impatto saranno ripresi in diretta da LICIACube (acronimo di Light Italian CubeSat for Imaging Asteroids), un piccolo satellite di progettazione italiana che si separerà dalla navicella spaziale DART dieci giorni prima che vada a impattare con Dimorphos. LICIA pesa solo 14 chilogrammi ed è quindi molto più piccolo rispetto a DART, e non poteva essere altrimenti per poter essere trasportato senza difficoltà nel viaggio verso gli asteroidi. Per riprendere l'impatto, il minisatellite è dotato di due fotocamere digitali i cui nomi sono ispirati ai protagonisti di Guerre Stellari. Abbiamo quindi LEIA (LICIACube Explorer Imaging for Asteroid) che osserverà in dettaglio la scena dell'impatto realizzando immagini ravvicinate in bianco e nero ad alta risoluzione, e LUKE (LICIACube Unit Key Explorer), che con un campo visivo molto più ampio riprenderà il test durante tutte le sue fasi. Le immagini di LUKE inoltre permetteranno agli scienziati di analizzare la composizione chimica del materiale che sarà polverizzato nello spazio a causa dell'impatto, grazie all'adozione di una serie di filtri colorati rosso-verde-blu.
Considerato che LICIA passerà molto velocemente accanto ai due asteroidi, in quello che in gergo è chiamato flyby, per riprendere l'intera scena dovrà sganciarsi con un tempismo perfetto così da mantenere l'orientamento e la velocità giusta. LICIA è quindi uno strumento indispensabile per la riuscita della missione perché è l'unico che potrà darci, visivamente, la conferma dell'impatto. Il satellite è il risultato di una collaborazione fra la NASA e l'Agenzia Spaziale Italiana, ed è stato costruito dalla Argotec di Torino, società di ingegneria aerospaziale le cui attività principali riguardano appunto la produzione di microsatelliti per lo spazio profondo. Naturalmente anche DART ha una fotocamera (DRACO - Asteroid Camera for Optical navigation) le cui immagini finali saranno necessarie a guidare il satellite fino a Dimorphos quando, quattro ore prima dell'impatto, passerà al controllo autonomo. Solo LICIACube quindi potrà assistere all'impatto e poi trasmettere le immagini a Terra dopo il flyby, dati che impiegheranno 38 secondi per percorrere la distanza che ci separa dai due asteroidi, prima di essere raccolte dalle antenne del Deep Space Network2.
La missione Double Asteroid Redirection Test (DART) della NASA, in collaborazione con Agenzia Spaziale Italiana, è gestita dal Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL) per l'ufficio di coordinamento della difesa planetaria della NASA di Washington D.C., con il supporto del Jet Propulsion Laboratory (JPL); Goddard Space Flight Center (GSFC); Johnson Space Center (JSC); Glenn Research Center (GRC) e Langley Research Center (LaRC).
1 Il Mt è l'unità di misura utilizzata per indicare l'energia emanata da una esplosione nucleare. Un Mt corrisponde un'energia equivalente a quella liberata dall'esplosione di un milione di tonnellate di tritolo.
2 Il DSN è una rete di radiotelescopi costituita da tre complessi per le comunicazioni da e verso lo spazio profondo, distanziati approssimativamente 120° l'uno dagli altri in modo tale da mantenere senza interruzione attività di collegamento e supporto alle missioni interplanetarie).