Quello della subacquea è un mondo a sé stante nell’universo dei viaggi. Accade infatti di recarsi in un Paese, di restarci parecchi giorni, e di non vederne né visitare la capitale, i siti archeologici o le foreste o le montagne che vi si trovano. E così voi, stanchi per le numerose ore di volo ma entusiasti perché col cuore siete già sott’acqua tra pesci e coralli, solo ora realizzate che quel ristorante, quel monumento, quella piazza e tutte quelle persone che in ogni viaggio si tramutano sempre in incontri memorabili appartengono esclusivamente alla terraferma e si stanno allontanando, lentamente ma irrimediabilmente; eppure voi non attenderete fino a che l’orizzonte li cancellerà inesorabile, perché c’è da sistemarsi in cabina, approntare il “jacket”, l’erogatore e la bombola, individuare dove riporre maschera e pinne e verificare al più presto dove sono situate le prese per ricaricare torce e batterie. Il rollio già mette alla prova ogni stomaco cagionevole, il vento ha ormai dissolto come per magia il jet-lag e la temperatura è proprio quella agognata per lunghi mesi laggiù in ufficio.
Ecco, è già ora di pranzo: il pesce che ora state mangiando fluttuava ignaro nell’acqua fino a poche ore fa.
Non importa il Paese in cui vi troviate e quale sia l’imbarcazione che vi ospita, il primo giorno a bordo è uguale in ogni dove: briefing sulla sicurezza a bordo e check-dive. Le guide vogliono vagliare attentamente i clienti loro assegnati per i giorni stabiliti, così da suddividere i gruppi in base all’esperienza, alla preparazione fisica, alla capacità di gestire l’intero canovaccio che ogni immersione comporta.
E così, dopo un’immersione banale (quelle belle arrivano dopo, non preoccupatevi) ciascun subacqueo a bordo è ora consapevole di quanti chili dovrà zavorrarsi, ha testato l’attrezzatura a noleggio o che si è portato da casa, ha preso confidenza con la temperatura e la salinità dell’acqua e ritrovato quelle dinamiche da anni mandate a memoria ma ovviamente da qualche mese relegate in cantina insieme con l’attrezzatura. Adesso siamo davvero tutti pronti per il debutto vero e proprio del safari subacqueo: ai puristi del genere il termine “crociera” appare quasi offensivo.
Il Parco Nazionale di Komodo è una delle destinazioni più visitate dell’Indonesia. È scontato affermare che in questo Paese, di fatto un arcipelago che conta più di 15.000 isole, le esperienze e le emozioni e le avventure che il mare può offrire sono al limite dell’infinito. Tralasciando dunque in questo articolo tutto quello che l’Indonesia ha da offrire ai visitatori sulla terraferma (ma vi parlerò in un prossimo futuro di quanto sperimentato tra foreste, templi e vulcani, ve lo prometto) vi chiedo ora di accompagnarmi in volo fino a Labuanbajo, sull’isola di Flores nella regione di Nusa Tenggara. E sì, lo so: non siamo neanche atterrati che già mi volete trascinare su quelle strade tortuose che portano verso Maumere, perché vi hanno raccontato dei terrazzamenti di riso a forma di tela di ragno vicino a Ruteng; o forse alcuni di voi non vedono l’ora di scarpinare attraverso la foresta fino a Wae Rebo, mentre altri già programmano di svegliarsi all’alba per salire al Kelimutu ad ammirare i colori cangianti dei laghi all’interno dei suoi crateri.
Ma vi ricordo che abbiamo fatto tre scali aerei per dedicarci esclusivamente alle immersioni in questo dedalo di isole, e che il tempo a disposizione per assaporare le delizie di questi fondali è fin troppo ristretto, tante sono le opportunità di strabiliare in questi fondali.
E allora insomma eccola arrivata, finalmente, la tanto attesa prima immersione. Come avviene praticamente in tutto l’arcipelago indonesiano la temperatura dell’acqua sfiora i trenta gradi, cosicché risulta piacevolissimo tuffarsi nell’elemento liquido senza che l’impatto iniziale risulti traumatico. La visibilità è generalmente eccellente, e dunque sin da subito il subacqueo viene accolto amichevolmente da colori sfavillanti; fino a circa dodici metri di profondità la luce solare riesce ancora a tinteggiare il fondale, poi però il fenomeno della rifrazione vi obbligherà a ricorrere alla torcia: diventa tutto verde!
Le formazioni coralline, svariate e multiformi, costituiscono il primo benvenuto già a bassissima profondità: osservate ora quel corallo a forma di cervello, o quell’altro che ricorda le corna di un cervo. E quel minuscolo corallo molle che fluttua con la corrente lo avete notato? Come dite? Ah sì, vero, anche in questo angolo di paradiso ci sono tracce d’inferno: qualche rifiuto abbandonato sul fondale, del corallo visibilmente morto, altri coralli chiaramente vivi ma parzialmente fracassati. Beh cosa credevate? L’istituzione del Parco Nazionale ha contribuito nettamente a preservare l’intero contesto: in tutta l’Indonesia si sta cercando di istituire un numero sempre più consistente di riserve marine, sottraendo uno strepitoso patrimonio ambientale alla pesca di frodo, difendendolo dall’abbandono incontrollato di rifiuti e cercando di coinvolgere la popolazione locale nella valorizzazione di un bene inestimabile, che dona lavoro a chi prima era dedito alla pesca con la dinamite e seduce lo straniero che investe tempo e denaro per sperimentare un’esperienza strepitosa.
Però resta ancora molto da fare a livello di tutela ambientale: se ci sono ancora fondali inesplorati che figurano virtualmente tra le prossime destinazioni più gettonate, è anche vero che praticamente in tutto il mondo la deforestazione selvaggia, uno smaltimento dei rifiuti non corretto e il rilascio sempre più eccessivo di plastiche e microplastiche nel mare sta deteriorando e minacciando gli ecosistemi e la biodiversità in maniera preoccupante.
Ma per noi oggi questi ragionamenti sono momentaneamente sospesi: nascosti sotto un tappeto di coralli e vegetazione da mozzare il fiato ci sono minuscole creature che solo l’occhio esperto di una guida riesce a scovare. Tenete quindi pronta la vostra lente “macro”, che nudibranchi e granchi porcellana e rinopie e frogfish (questo non riesco a tradurlo in “pescerana” abbiate pazienza!) e cavallucci marini sembreranno mettersi in posa solo per voi; ma siate rispettosi coi flash, ricordate che disturba parecchio le creature che bramate riprendere. Oscurati da nugoli di minuscoli “glass fish” che ci avvolgono mentre le guide scrutano l’immensità per individuare branchi di barracuda, pesce pelagico, squali “white tip” o di taglia più grossa. Ma non venite a Komodo per imbattervi nello squalo tigre o negli squali martello, sono rari gli avvistamenti di queste specie mentre avrete maggior fortuna con le mante.
A chi giunge a immergersi sin qui, il Parco di Komodo, che ricomprende le isole maggiori di Komodo, Rinca e Padar in aggiunta a numerose isole minori, riserva una difficoltà peculiare.
La forte corrente è un fattore con cui prima o poi ogni subacqueo deve fare i conti. Riconosco che in certi casi è sublime lasciarsi trasportare dalla corrente: la sensazione di volare sott’acqua mentre affianco ti sfilano le pareti coralline, oppure quando nel blu più assoluto le correnti ti sparano attraverso l’infinito oceanico è un’emozione che una volta vissuta non la scordi più. Però quando la corrente non è un mero flusso gentile che ti accompagna negli abissi ma una spinta violenta che ti scaraventa contro fondali e scogliere (prestate molta attenzione ai coralli, basta un niente per fracassarli se non controllate correttamente il vostro assetto) o che ti impedisce di scattare quelle foto che sognavi da anni allora le cose cambiano. Ho visto subacquei esperti andare in panico perché sorpresi dalla corrente e non più in grado di gestire come d’abitudine la propria immersione.
Ebbene a Komodo si verifica una condizione tremenda e straordinaria: a ridosso dell’arcipelago si scontrano le acque dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Indiano. Questo certame titanico si concretizza per i subacquei in una corrente costante che caratterizza fortemente il contesto, con relative conseguenze di cui chiunque si rechi da queste parti a immergersi deve tenere conto. Innanzitutto non è raro, nell’arcipelago di Komodo, che le guide dichiarino abortita l’immersione proprio mentre siete già lì pronti a saltare in acqua: voi passate in rassegna tutto il vostro armamentario in attesa del via libera al tuffo e invece le guide, con un neutrale, serafico avvertimento gutturale vi comunicano che la corrente è ingestibile per i muscoli umani. L’immersione è pertanto annullata. Badate che a nulla valgono rimostranze e lamentele: “safety first” è il motto di chi conosce bene i pericoli che si celano sotto la superficie del mare. È in questi casi che fuoriescono puntuali aneddoti relativi a incidenti, vite messe a rischio, problematiche varie i cui racconti convincono anche i subacquei più insistenti ad accettare il rompete le righe. Non succede spesso in verità, ma a Komodo più frequentemente che altrove.
Nessuna visita al parco può definirsi completa senza uno sbarco sulla terraferma per avvistare il varano di Komodo: rettile dalle fattezze primordiali, può raggiungere i tre metri di lunghezza, e anche se gli avvistamenti sono garantiti solo presso la stazione dei ranger non mancate questa tappa imperdibile. Il loro morso può essere letale a causa del veleno iniettato, pertanto munitevi di teleobiettivo: i ranger sono cordiali e flessibili sulla durata delle visite ma non vi consentiranno un contatto troppo ravvicinato. Un ultimo, caloroso consiglio: accertatevi con insistenza che il vostro itinerario preveda la sosta a Padar.
Me ne sarete eternamente grati…