Il motivo conduttore della famosa e lunghissima serie Star Trek, dedicata alle missioni nello spazio profondo di un indomito equipaggio - spin off per molti altri scenari extragalattici - ha sempre intrigato le menti più disponibili ad occuparsi del cosmo, della sua immensità, della sua complessità. Già di per sé risulta affascinante il riferimento alla frontiera (tributo al mito sottostante del quale si è nutrita per secoli la visione degli Stati Uniti quando la frontiera era quella delle immense distese dell’Ovest del Paese nordamericano) ed è naturale immaginare, conoscendo ormai dai satelliti le frontiere geografiche, quelle politiche, quelle ideologiche del nostro mondo, qualcosa che da esse si distanzi alla ricerca e là dove l’uomo non è mai arrivato prima come concludeva il refrain della voce narrante dell’Enterprise!
Russia, Stati Uniti, Cina, India hanno già promosso e hanno in stadio avanzato una vera e propria strategia verso lo spazio, hanno cominciato una sorta di gara che prima o poi dovrà trovare anche un quadro normativo di riferimento, un po’ sulla falsariga del trattato antartico, considerando lo spazio come un bene non solo superiore ma non definibile geograficamente con zone di influenza, dunque un bene di tutti senza distinzioni. Alcuni comportamenti disinvolti di alcuni degli attori sopranominati fanno comprendere come questa via legislativa sia quanto mai importante ed immanente per così dire alla fase nascente di quella che viene definita l’economia dello spazio. Economia fatta di ricerca, di conquiste, di realizzazioni, ma anche con rischi evidenti di sfruttamento di posizioni acquisite. Il mantra è certamente quello di evitare a tutti i costi oltre che la divisione anche la militarizzazione o qualcosa di simile di questo immenso teatro. L’ingresso nella corsa allo spazio - che segue di oltre sessant’anni la prima fatta di coraggio, a volte di eroismo, molto di avventura verso l’ignoto - di imprese private di grandi tycoon del ventunesimo secolo ricchi di risorse economiche e di tecnologia fa da un lato ben sperare sulla libertà nell’approccio con il cosmo, dall’altro come sulla Terra pone qualche interrogativo per i rischi di monopoli od oligopoli nel futuro.
In questa descrizione l’Europa, sia l’Unione Europea sia lo spazio europeo più ampio per così dire, è in forte ritardo, una sorta di Cenerentola. Eppure, la potenza economica e le risorse da porre in campo, sia in termini di strutture, di infrastrutture e di tecnologia non sono da meno degli altri competitor. Quel che manca ed è mancato sinora è una sorta di dato oggettivo: il coordinamento, lo sforzo comune, l’impegno unitario che solo può far apparire il vecchio continente tra i protagonisti primari di questa nuova ed affascinante pagina della storia dell’uomo. Certo, qualcuno potrebbe osservare subito, ma con tutti i problemi che ci sono, con le divisioni e le diversità di vedute, di analisi, di azione che da sempre contraddistinguono i Paesi europei proprio allo spazio dobbiamo guardare? Come sempre soccorre la scienza, la tecnologia e la capacità di saper guardare in avanti al prossimo futuro predisponendo scelte e mezzi che sono alla portata, basta che lo si voglia come Europa e non come piccoli stati impossibilitati da soli a perseguire simili obiettivi.
Qualche lume sembra venire dal nuovo programma spaziale che l’Ue ha lanciato per gli anni 2021-2027 che è stato illustrato lo scorso giugno. Il piano ufficiale prevede maggiori investimenti nei settori della navigazione satellitare, della osservazione della Terra e delle comunicazioni sicure (in pratica rendere autonomo dagli altri il sistema di satelliti per telecomunicazioni, geolocalizzazioni e così via. Quello che dopo anni di supremazia di Usa e Russia, e della attuale corsa contro il tempo del gigante cinese, si vuole raggiungere è l’autonomia strategica degna di una grande realtà mondiale da tropo tempo sottostimata e tributaria verso altri soggetti. In questo ambito va letta tra l’altro la creazione della divisione più recente della Commissione Europea, la Direzione generale Difesa, industria e spazio (Defis).
La linea guida è stata sintetizzata in più occasioni dal direttore generale dell’Agenzia spaziale europea (Esa) Josef Aschbacher. “L’Europa deve giocare - ha sottolineato - un ruolo di primo piano nella sostenibilità dello spazio aperto, tanto quanto lo sta già giocando per quanto riguarda la superficie terrestre”.
Come si è detto in precedenza la legislazione internazionale sullo spazio è ancora molto frammentaria e non organica. L’unico riferimento è il Trattato sullo spazio aperto che risale al 1967 (negli anni cioè di quella che venne definita la corsa allo spazio). Per le norme previste dal trattato stesso lo spazio sarà libero per le esplorazioni e l’uso da parte di tutte le nazioni, ma nessuno Stato potrà reclamare la sovranità dello spazio aperto o di qualsiasi corpo celeste, né piazzarvi armi. Parole chiare e semplici che richiamano lo schema di quel trattato antartico che regola l’approccio alla grande distesa di ghiaccio australe. Troppo poco, però, per costituire un deterrente ai tentativi di avanzare la linea sulla quale poi trovare l’accordo normativo.
È stato sempre il direttore dell’Esa a descrivere lo stato delle cose senza mezzi termini osservando che c’è “una situazione ancora molto ‘selvaggia’ nello spazio, dove i Paesi lanciano satelliti e c’è un regolamento molto debole su cosa farne”. Queste le parole di Aschbacher che ha poi aggiunto che l’Europa dovrà giocare un ruolo attivo nella regolazione dello spazio. “Le sue leggi sono già avanzate, che è quello che serve al momento”, la sua posizione.
Che lo scenario delineato sia preoccupante è presto detto. I dati aggregati ci dicono che la quantità di satelliti della più varia consistenza ed utilizzo lanciati nell’anno passato, il 2020, anno primo della pandemia, risulta pari al totale di quelli posti in orbita nei dieci anni che precedono. Ovviamente anche il vecchio continente detiene la sua fetta di tali lanci, ma il suo apporto è certamente minimo. Ecco perché la volontà di esserci di più va di pari passo con l’esigenza e la proposta di un coordinamento veramente efficiente e condiviso. Allo scopo di perseguire anche tali finalità, proprio l’Esa ha firmato un accordo di collaborazione con l’Unione Europea dando avvio al nuovo programma spaziale.
L’Ue metterà a disposizione quasi 9 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 all’Esa e alle industrie europee per disegnare sistemi e programmi di nuova generazione. L’ingente massa di risorse sarà necessaria a sviluppare la nuova generazione del sistema di navigazione Galileo ed estendere le capacità del sistema di osservazione Copernicus. Quest’ultimo, per unanime sentire, dovrebbe diventare il maggior provider mondiale di dati provenienti dall’osservazione terrestre e verrà impiegato per il monitoraggio del cambiamento climatico al fine di collaborare con le istituzioni e gli stati membri nella riduzione delle emissioni di gas serra.
A indicare in quale direzione ci si debba muovere è stato il commissario europeo all’industria Thierry Breton per il quale lo “spazio sta vivendo una fase di grande trasformazione e industrializzazione in tutto il mondo. Per mantenere la leadership, l’Europa dovrà ripensare il modo di affrontare il rapporto con questa dimensione. Dobbiamo adattarci ai rapidi sviluppi e anticiparne di nuovi, essere più dinamici, innovativi e prenderci più rischi”, queste le conclusioni. L’accordo, nel prevedere ruoli e responsabilità dei diversi Paesi europei, ha anche indicato la funzione che dovrà avere la nuova agenzia per il programma spaziale. Il vero controllore politico sovranazionale. Un coordinamento che farà raggiungere all’Unione un ruolo di protagonista anche nei confronti dell’Esa, entità diversa dall’Ue ed aperta anche a Paesi non membri.
Qualche dato aiuta a capire verso quale direzione ci si dovrà spostare. L’impegno complessivo di 14,8 miliardi vedrà 9 di questi impiegati in Galileo ed Egnos: si tratta dei satelliti per navigazione e puntamento. In nuce è il primo vero tentativo di affrancare l’Europa e dal sistema Gps, controllato dagli Usa. Altri 5,4 miliardi andranno al sistema europeo di osservazione della Terra, Copernicus. Infine, 442 milioni sono previsti per la realizzazione di altri due programmi: le comunicazioni satellitari sicure e la Space Situational Awareness (Ssa) per monitorare l’ambiente extra-atmosferico.
Non è prevista ancora l’esplorazione spaziale vera e propria ma certamente un incontro più equilibrato con quell’ambiente affascinante ancorché inquietante che è il cosmo che ci circonda, quello spazio oscuro che la nostra piccola Terra illumina con il riflesso che i raggi del Sole provocano a contatto con la nostra atmosfera!