Se vi è mai capitato di passare per Pistoia è facile, guardando verso le colline a Nord, imbattersi in un maestoso palazzo ben riconoscibile dalle tre grandi finestre ad arco della piccionaia.
Si tratta di Villa Tanzi Lugaro, nata come villa padronale intorno alla metà del 1600, oggi simbolo indiscusso del complesso manicomiale chiamato Ville Sbertoli.
Agostino Sbertoli, medico presso il manicomio di Pesaro, si trasferisce a Pistoia dopo il matrimonio con la marchesa Laura Antaldi con l’intento di aprire una casa di cura per malati psichiatrici. Affitta Villa Franchini Taviani e successivamente, appunto, Villa Tanzi.
L’idea di Sbertoli è creare un ambiente che possa accogliere pazienti benestanti e della ricca borghesia, per questo la struttura viene dotata di tutti i comfort e il trattamento degli ospiti e di tutto riguardo. Il primo a varcarne la soglia, nel 1868, è un giovane fiorentino affetto da epilessia. In pochi anni l’ospedale acquista notorietà tanto che i pazienti arrivano da tutta Europa, certi della salubrità del posto e, soprattutto, dell’assoluta privacy.
La Casa di Salute, come amava chiamarla Sbertoli, non era un luogo di dolore e sofferenza come siamo abituati a pensare quando parliamo di manicomi. Qui venivano curate molte patologie psichiatriche, ma le terapie non erano mai coercitive o crudeli, si trattava perlopiù di trattamenti come l’idroterapia, l’uso del ghiaccio e di salassi. Solo in rari casi veniva usata la macchina per l’elettroshock.
Bisogna anche dire che, in quel periodo storico, queste “case di cura” erano anche usate dall’alta borghesia per nascondere e così togliere dai riflettori, componenti della famiglia rei di colpe come l’adulterio o altri scandali.
Gli affari vanno bene, tanto che il dottore decide di ampliare la struttura con la costruzione di ulteriori ville per gli ospiti e annessi necessari alla gestione dell’ospedale. Alla fine del 1800 si contavano 20 strutture disseminate in 15 ettari di parco secolare, pieno di piante e di angoli dove rilassarsi.
Alla morte di Agostino prende in mano la gestione suo figlio Nino, che manterrà le redini fino al 1920 quando vende tutta la struttura ad un gruppo privato.
Importante ricordare il periodo della Seconda guerra mondiale quando, dopo i terribili bombardamenti del ’43, vengono spostati a Ville Sbertoli i detenuti del carcere di Pistoia. Qui la silenziosa figura del direttore sanitario Marcello Silvestrini mette in atto una vera opera di assistenza e solidarietà. Grazie al suo lavoro riesce ad allontanare molti dalla deportazione o dall’arruolamento forzato. Tutto ciò è documentato nell’immenso archivio che ancora giace abbandonato all’interno del manicomio.
Diversa è la sorte dei malati nel dopoguerra quando il complesso viene venduto alla provincia diventando Ospedale Neuropsichiatrico provinciale. Niente più lussi e agi nelle ville, niente cortesie agli ospiti benestanti. L’ospedale ora fagocita tutti: malati, derelitti, reduci di guerra e personaggi scomodi alla società. L’unica cura la coercizione, dal manicomio non si usciva più.
Situazione che cambia repentinamente all’inizio degli anni Sessanta con la comparsa dei primi psicofarmaci. Il paziente non è più costretto dentro al manicomio, i farmaci gli permettono di uscire, tornare alla famiglia e, in qualche caso, riprendere una vita relativamente normale. Questa svolta ha gettato le basi per una revisione delle strutture psichiatriche, fino alla messa in discussione delle stesse. Lo stesso Basaglia fonda la sua legge e la conseguente chiusura dei manicomi, sulla psicofarmacoterapia.
Il destino di Ville Sbertoli non è dissimile a quello delle altre 76 strutture attive nel 1978. Pochissime sono le storie di recupero, di rivalorizzazione. Nonostante l’impegno attivo di istituzioni come Legambiente, è difficilissimo trovare investitori lungimiranti che si possano prodigare nella salvaguardia di questo immenso patrimonio. Patrimonio che, indistintamente, le amministrazioni pubbliche hanno lasciato marcire per più di quaranta anni.