In medicina gli atti sono quasi sempre rivestiti di una valenza simbolica, spesso inconsapevole ma talvolta consapevole. Ad esempio, l’utilizzo di interventi apparentemente inappropriati, quali la misurazione della pressione arteriosa o la prescrizione di esami in assenza di indicazioni, può avere senso, in casi specifici, per il mantenimento della relazione con il paziente.
Anche se queste procedure sono definibili placebo, placebo per antonomasia è il farmaco, sia nella versione “pura” di sostanza biologicamente inerte, sia nella versione “impura” di sostanza con effetti biologici ma inattiva nella situazione clinica in cui viene somministrata.
Ogni prescrizione farmacologica implica infatti un effetto di rete, derivante dall’intrecciarsi di numerosi contenuti, alcuni specifici del trattamento (ad esempio il colore, la forma, la via di somministrazione) altri aspecifici (fattori individuali, culturali, relazionali, aspettative sia del medico che del paziente) in grado di influenzarne l’effetto.
Studi recenti hanno peraltro accertato che le false pillole non producono solo risposte etichettabili genericamente come psicologiche, ma effetti di tipo neurobiologico, ad esempio, liberazione di dopamina nei soggetti affetti da morbo di Parkinson, patologia nella quale il neurotrasmettitore è ridotto.
Aspetti psicologici che influiscono sull’effetto placebo:
- suggestione;
- aspettative di beneficio;
- fiducia (nel trattamento, nel curante);
- precedenti esperienze di cura;
- personalità del paziente e del medico;
- convinzione del medico al momento della prescrizione.
In ambito di ricerca il placebo viene considerato essenzialmente come indispensabile strumento di rilevazione dell’efficacia o meno di una terapia, con ulteriore sterilizzazione degli effetti di contesto mediante la metodica del doppio cieco, nel quale né il medico né il paziente conoscono la natura della compressa assunta.
Nell’era digitale è coniato ufficialmente il termine placebo digitale, utilizzato per gli studi sulle cosiddette terapie digitali (DTx).
In pratica si tratta di App simili nella forma a quelle “terapeutiche”, ma in grado di fornire solamente informazioni generiche e descrittive sulla salute senza alcun tipo di intervento, utilizzando algoritmi “neutri”.
Soprattutto in medicina generale, all’opposto, la convinzione del medico e del paziente nella prescrizione è un valore aggiunto nel raggiungimento degli effetti positivi e il placebo viene infatti ampiamente utilizzato. Il Medico di Medicina Generale (MMG) può servirsi di tale strategia come pragmatica via di uscita per prendere tempo in casi difficili oppure per l’effetto tranquillizzante, in attesa della guarigione spontanea di patologie lievi, quando la gestione del processo di cura prevale sull’esito.
L’effetto placebo può inoltre servire per dare una risposta terapeutica quando si intuisce che il paziente la desidera o in presenza di una richiesta esplicita, ad esempio di prodotti vitaminici, farmaci per l’astenia, l’appetito, la tosse. Peraltro, in questi casi la prescrizione, volta ad assecondare bisogni culturalmente mediati, rischia di contribuire al perpetuarsi di una prassi discutibile o di essere utilizzata come mezzo per “liberarsi” del paziente, ad esempio, in condizioni di stanchezza del medico o di sovraccarico lavorativo.
Secondo alcuni il medico dovrebbe prescrivere solo prodotti di provata efficacia e, nei casi in cui questi non siano indicati, sarebbe suo dovere decodificare gli effettivi bisogni del paziente e indurre alla riflessione sulla motivazione della richiesta, cercando di condividere la non necessità di una terapia in quella specifica situazione.
In pratica questo atteggiamento è difficilmente realizzabile, sia per la frequente natura oscura dei sintomi, sia per la difficoltà di indurre la maggioranza dei pazienti a una visione scientifica dei propri problemi di salute. Spesso il MMG si trova pertanto a prescrivere un prodotto, che sa essere biologicamente inerte, in una situazione di equilibrio precario tra l’atteggiamento favorevole ma al tempo stesso volto a chiarire in generale la propria preferenza per i rimedi di provata efficacia1.
Gli errori da evitare nella prescrizione di un placebo:
- utilizzarlo senza tentare di decodificare i veri bisogni;
- utilizzarlo per distinguere tra malattie fisiche e funzionali;
- utilizzarlo per evitare situazioni conflittuali;
- non utilizzarlo quando una comunicazione efficace è praticamente impossibile;
- non utilizzarlo quando il paziente è impossibilitato a gestire autonomamente la situazione clinica.
1 Collecchia G. Epistemologia della medicina generale. Due casi esemplari: l’EBM e il placebo. Toscana Medica 2005; 4: 11-12.