Come sempre cerchiamo di analizzare le risorse che lo yoga ci mette a disposizione per migliorare la nostra pratica, maturare a livello psico-emotivo e far crescere la coscienza collettiva. In particolare, oggi parliamo di respiro, una delle chiavi di volta in tutte le pratiche di yoga per migliorare sia a livello fisico che mentale sul tappetino e non solo.
Per chiamarsi yoga abbiamo visto si deve lavorare nell'unità di corpo respiro e mente. Ogni asana richiede la nostra concentrazione sul qui e ora e sul nostro respiro, che deve essere coordinato secondo le indicazioni dell'insegnante con tutti i movimenti del corpo e in tutti i passaggi da un asana all'altro. Nello specifico, inoltre, lo yoga prevede un'infinità di tecniche ed esercizi dedicati al respiro e racchiusi sotto il nome di prāṇāyāma.
Che cosa è il prāṇāyāma?
Come abbiamo accennato qualche lezione fa, il prāṇāyāma (prana=energia vitale, respiro, “spirito”, yama=controllo, espansione) è, come dice il nome, l'arte del controllo del respiro ed è considerato uno degli otto rami dello yoga1.
Non a caso arriva dopo gli asana e prima della meditazione. Nella visione di Patanjali, infatti, riconosciuta da tutte le scuole di yoga, gli otto rami pur essendo tutti correlati tra loro richiedono una pratica graduale da eseguirsi con una precisa sequenza. Senza un corpo libero da tensioni muscolari infatti (a cui arriviamo grazie agli asana) sarebbe difficile potersi concentrare sul respiro (prāṇāyāma) ed essere poi pronti per entrare in meditazione (dhyana). Ci sono numerosissime tecniche ed esercizi di respirazione che hanno diverse finalità a seconda delle condizioni del corpo, dell'ambiente e del nostro stato psico-fisico. Esistono infatti prāṇāyāma calmanti, equilibranti, purificanti, rinvigorenti ed energizzanti. È incredibile scoprire quanta conoscenza e sapienza è stata raggiunta in Oriente in un campo così specifico e legato all'elemento fisico più importante che abbiamo e che noi tutti diamo per scontato: il respiro.
Perché il respiro è considerato così importante nello yoga?
Secondo la filosofia induista tutti gli esseri viventi sono dotati di prana e la sua conservazione dipende dall'equilibrio armonico tra funzioni psico-emotive e fisiologiche del corpo. Nello yoga e nelle tecniche di cura e guarigione indiane (ayurveda) si usa il prāṇāyāma per veicolare l'ossigeno (elemento grossolano) e con esso la vitalità (elemento sottile) in modo da regolarizzare squilibri e disfunzioni tra corpo e psyche. In quest'ottica quindi il prāṇāyāma diventa uno strumento per assorbire e indirizzare l’energia vitale nel corpo, permettendo alla mente di stabilizzarsi e, nei casi più avanzati, di raggiungere anche livelli superiori di coscienza. Ancora prima dobbiamo renderci conto che imparare a lavorare col diaframma procura un eccezionale massaggio agli organi interni, migliora l'ossigenazione dei polmoni e del sangue, nonché il ritmo della respirazione che è strettamente collegato a quello del cuore e dei nostri pensieri.
Tutto questo permette di migliorare non solo lo stato fisico del nostro corpo, ma anche quello psicologico e mentale. Il prāṇāyāma può diventare un potente antistress e una necessaria difesa dall'inquinamento, in particolare grazie alle tecniche purificanti. Imparando a fare attenzione a come respiriamo possiamo correggere respiri affannati, agitati, veloci, corti o strozzati, saremo in grado di osservare gli stati mentali ed emotivi che li accompagnano e, guidandoci in brevi esercizi, modificare anche lo stato di tensione e squilibrio in cui siamo. Grazie alla pratica costante di queste tecniche, da eseguirsi sempre sotto la guida di un maestro, possiamo ottenere benefici, rivitalizzando l'intero organismo, contrastando la fatica fisica e anche gli stati depressivi. Per canalizzare e ottimizzare il respiro e trarne i massimi benefici, durante tutte le pratiche di yoga (asana, prāṇāyāma e meditazione) dobbiamo accompagnare al respiro anche l'attivazione dei bandha.
Che cosa sono i bandha e perché dobbiamo attivarli durante la pratica
Bandha (sigillo, legame) sono contrazioni muscolari volontarie che si eseguono a livello pelvico (mula bandha), diaframmatico (uddiyana bandha) e della gola (jalandhara bandha) durante l’esecuzione degli asana per canalizzare, controllare e ottimizzare il respiro. Attivandoli si ha un effetto diretto sul sistema endocrino, si tonifica e massaggia il sistema digestivo e si bruciano tossine, migliora la circolazione sanguigna e linfatica regolando la pressione e il battito cardiaco. Ricordo che iniziai a sentirne parlare durante classi di ashtanga, dove tutta la pratica viene eseguita con il respiro ujjayi, ovvero inspirando ed espirando sempre e solo dal naso con una leggera chiusura della glottide (jalandhara bandha) cosa che, se eseguita in modo corretto, dovrebbe produrre un leggero suono simile a quello dell'onda del mare. Questo respiro coordinato ai movimenti permette di scaldare e preparare il corpo per la pratica, ma anche di ripulirsi più velocemente dalle tossine e di calmare la mente, favorendo la concentrazione durante tutta la sequenza.
All'inizio mi sentivo come su Marte, non capivo l'importanza di eseguire gli asana utilizzando questo respiro. La sensazione era come di forzare il corpo e il respiro a un qualcosa a cui proprio non erano abituati. Mi sembrava anche di sbagliare perché non ero sicura di cosa stessi attivando o meno. La maggior parte di noi è così inconsapevole del proprio corpo, di come è fatto e di come potrebbe essere attivato che non è scontato si sia in grado di muovere determinati muscoli a comando. Abbiamo una macchina potente e meravigliosa tra le mani ed è quasi un sacrilegio a volte penso non conoscerla a fondo e non saperla guidare.
Il tempo e la costanza mi hanno insegnato molto però e vi assicuro che prima di quanto pensiate potreste cogliere la differenza tra un asana eseguito con l'attivazione o meno di uno o più bandha a seconda della posizione, e dell'aiuto enorme che può dare imparare a canalizzare, concentrare, aumentare o rilassare il respiro a seconda dei momenti. Trattandosi di un lavoro sul sottile non sarà immediato all'inizio, ma fidatevi del vostro insegnante, seguite le indicazioni per l'attivazione dei bandha che vi vengono fornite e cercate di portare sempre l'attenzione al respiro durante tutta la pratica. In breve tempo noterete miglioramenti e vi renderete conto di quanto cambi la qualità delle vostre esecuzioni usando respiri sempre più lunghi e profondi. Attivando al contempo i bandha sarete in grado di resistere con più forza e concentrazione in tutte le posizioni sentendo molta meno fatica e arrivando anche a rilassarvi. Presto e in modo del tutto naturale portare l'attenzione al respiro e usarlo o modificarlo in modo cosciente e mirato sarà un qualcosa di cui non potrete più fare a meno e a cui ricorrete anche fuori dalla shala nei momenti di stress e tensione per ritornare a uno stato di calma e stabilità.
1 Patanjali, Yoga Sutra, cap. II, sutra 29.