Una donna negli iconici abiti tradizioni che cerca spazio tra le resistenze della quotidianità è la protagonista del manifesto della 19a edizione del Florence Korea Film Festival. Si è conclusa il 28 maggio, dopo otto intensi giorni, questa manifestazione cinematografica che si è svolta a Firenze solo in parte dal vivo, al cinema La Compagnia, a causa dell’inaspettata riapertura delle sale. Gli altri circa tre quarti dei film programmati, si sono potuti vedere on line sulla piattaforma Mymovies. Una grande opportunità, essendo i film proposti in numero molto elevato, vicino a 100!
La più interessante delle rassegne è forse quella del pluripremiato Kim Ki-duc, prematuramente scomparso per Covid lo scorso anno. Il curatore di questa sezione, Marco Luceri ha scelto di proiettare i primi film, che in Corea non sono stati bene accolti e che per l'Italia sono una novità. The coast Guard, del 2003, è un film di cui ho apprezzato la descrizione del disumano che cova nell’esercito, cosa di cui Kim era a conoscenza, avendovi militato, uno dei tanti lavori che ha fatto prima di fare il regista. C’è anche una bella descrizione fra tragico e poetico dell’impazzimento della protagonista, novella Ofelia che ha visto letteralmente sbriciolarsi il corpo dell’amato, sopra di lei nell’atto sessuale, perché erano nella zona franca fra le due Coree, tenuta sotto tiro dal corpo delle guardie costiere.
Il tema delle due Coree è, insieme con la descrizione di uomini senza tetto e del rapporto uomo-donna, uno dei temi più ripetuti nei film di Kim Ki-duc. Dando l’idea che, nella superproduzione di storie cinematografiche, questo regista fosse alla ricerca di risposte e, soprattutto, di una soluzione al tragico loop nel rapporto con la donna, prima violentata, poi coccolata. Una confessione di impotenza affettiva? A cominciare da Croodile (1996), il primo suo film, bello, intenso e disperato, a continuare con Bad guy (2002), si ripete questa dinamica, che si comprende in parte se si pensa al ruolo che la società coreana, nei secoli, ha attribuito alla donna: di esistere solo alle dipendenze dell’uomo. Il corpo femminile che attrae può essere solo stuprato, perché non gli è riconosciuta un’attraente interiorità. Poi, completamente staccata, viene l’affettività. Come accarezzare un gatto. Un piacere lieve e che non coinvolge.
È una società, quella coreana, che Kim detesta. Forse perché, pur intuendo dai numerosi viaggi che può esistere la passione fra un uomo e una donna, la cultura assorbita da piccolo gli precludeva la capacità di viverla.
Va riconosciuta a Kim anche una ricerca nel campo tecnologico, dove rifiuta di seguire teorie preconcette sulle inquadrature. Sceglieva per le riprese cameramen senza esperienza, per essere lui a decidere il modo in cui inquadrare la scena, in funzione di quello che andava fatto risaltare in quel particolare momento dello svolgimento della storia.
Appartiene agli stessi anni il funambolico Real Fiction (2000), girato in poco più di 3 ore, con 10 cineprese, 2 videocamere digitali e 11 assistenti alla regia. Una sfida del “cinema povero”, in cui il regista ricerca l’effetto di confondere ciò che è reale con ciò che è fantasia, interrogativo che anche oggi rimane di attualità, per la crescita di mondi virtuali cui siamo vieppiù sottoposti.
Completa la presentazione della personalità di questo che si definiva tout court regista, rifiutando l’aggettivo coreano, un documentario francese del 2007, con aggiunte più tarde, in cui Kim si descrive a tutto tondo, mostrando con fierezza oggetti usati in alcuni suoi film, che tiene nello spazio intorno alla casa in cui vive quando è in Corea. Un grande spazio, in cui trovano posto anche oggetti di discarica, assurti a sculture grazie alla sua fantasia. Ci tiene a dire più di una volta che i film non li fa per il pubblico. Ma che la critica mondiale apprezza, a giudicare dal numero elevato di premi delle giurie dei maggiori festival internazionali che ci mostra con orgoglio nel video.
Parla anche dell’importanza di combattere gli allevamenti intensivi di animali e piante, che producono cibo “stressato”, che fa male mangiare. Ho paura che sia stata la radicalità in questo campo a fargli considerare nocivi i medicinali, che non sono certo naturali, e di conseguenza a portarlo, sottovalutando la pericolosità del virus Covid-19, ad una morte da Covid, dai media definita misteriosa, ad un’età ancora giovane.
Molti altri film sono stati presentati, percorrendo il passato ed il presente della copiosa produzione coreana di film. In particolare, in Orizzonti Coreani si trovano le proiezioni di maggior successo al botteghino negli ultimi mesi. Selezionato in questa sezione vince il premio per il miglior film della 19esima edizione Fighter di Jero Yun.
Independent Korea raggruppa le giovani promesse locali in rampa di lancio. Per questa sezione la giuria ha premiato A Distant Place di Park Kun-Young.
Ancora, la storia narrata da chi l’ha vissuta si trova in K-Documentary, selezione delle migliori ultime opere documentaristiche per la prima volta in Italia, e c’è pure la sezione “Corti, Corti!”. In particolare, il corto Twenty sembra avallare l’ipotesi che i giovani coreani debbano ricostruirsi un’immagine femminile, prima di essere in grado di affrontare il rapporto completo con una donna.
Il premio del pubblico va a Recalled di Seo Yoo-min, thriller poliziesco.
Nel ricco programma trova posto anche la proiezione di Barking Dog Never Bite (2000) primo delizioso film del premio Oscar 2020 Bong Joon-ho (Parasite) e la nuova sezione New Korean Cinema, i migliori film che hanno portato il cinema coreano a confrontarsi ed entrare di diritto nello star system mondiale.
Infine, l’attrice coreana Moon So-ri è stata celebrata al Festival da una selezione di sette titoli dedicata al suo percorso artistico: per onorare il suo lavoro, è stata insignita del premio alla carriera. Meritano grande attenzione soprattutto l’autobiografico The Running Actress, da lei scritto, diretto e interpretato (2017), dove affronta con coraggio quello che succede in Corea ad una brava attrice, di grande successo come lei, al passare degli anni.
Di diverso genere il drammatico Three Sisters di Lee Seung-Won (2011), la storia di tre sorelle dallo stile di vita molto diverso e dai rapporti problematici. Riunite nella loro città natale per il compleanno del padre, faranno riaffiorare i drammi vissuti da piccole, un oscuro passato da rivivere per riuscire ad instaurare rapporti più veri.