Riconoscere le piante in certi frangenti può diventare un problema. Chi deve farlo per essere sicuro di aver piantato la specie giusta appena comprata dal vivaista ma priva di cartellino, chi scopre di avere un’allergia al polline e teme la vicinanza di una pianta erbacea o arborea, chi deve regalare la pianta preferita di un’amica e non sa proprio quale sia tra quelle offerta dal fiorista.
Ebbene l’identificazione delle piante è anche la sfida dei botanici di professione ma ancor più degli appassionati, quegli amatori che spesso si associano in club, gruppi social, vere e proprie confraternite dove nascono incontri e amicizie fondati proprio sulla passione botanica. La materia non è delle più semplici; quante volte ricevo foto da amici e conoscenti con la domanda: “Che pianta è questa?”. Quando è presente un fiore, un frutto, una foglia l’indagine è facilitata ed il detective naturalista può cavarsela in pochi minuti di riflessione, anche una delle tante applicazioni oggi rintracciabili in rete, da usarsi con un telefono mobile può avvicinarsi molto alla soluzione del problema.
Qualche anno fa lessi La botanica parallela di Leo Lionni, lo scienziato che raffigura e descrive in modo minuzioso il proprio universo botanico immaginario, una flora di un pianeta gemello e delle sue proprietà straordinarie. Unica pubblicazione del genere, viene da un autore che solitamente parla ai più piccoli con i racconti e con le immagini per descrivere mondi nascosti, minuti, che sfuggono agli occhi sempre più distratti dell’adulto.
Un altro autore che scrive sugli aspetti più reconditi della botanica è Gek Tessaro, scrittore e illustratore per bambini, che molti anni fa dette alle stampe Cantare gli alberi. Appunti e immagini di cortecce e foglie: “in un mondo supertecnologico e accessoriato, il fermarsi ad osservare la natura (che significa riflettere, godere e scoprire e incuriosirsi) è sempre più visto come perdita di tempo”.
Pochi i botanici che si sono cimentati nello scrivere una guida al riconoscimento degli alberi attraverso la loro “pelle”, la corteccia, le loro formazioni più peculiari, come spine, aculei e galle. Queste ultime sono delle vere curiosità naturali: “corpi vegetali la cui formazione e crescita sono indotte nella pianta da un fattore esterno come batteri, insetti, acari o funghi”, tutte incredibilmente riconoscibili se le osserviamo con accuratezza. Delle vere minisculture della natura.
Nell’addentrarsi in un bosco di caducifoglie dove la maggioranza di alberi e arbusti si presentano completamente spogli sarà meno immediato il riconoscimento anche per i più esperti. Non c’è dubbio che per un vero appassionato diventa un gioco, una sfida, un piacere vedere le forme delle piante, il loro habitus, le eleganti silhouette della struttura che non potremmo mai apprezzare se non d’inverno.
A cosa ci affidiamo allora quando fiori, frutti e foglie sono ancora là da venire? Il nostro mondo verde si esprime al meglio proprio nei periodi autunnali e invernali per rivelarci i suoi lati più reconditi, specifici e misconosciuti. Alcune cortecce non potremmo mai notarle quando veniamo catturati e distratti dal profumo inebriante dei fiori; pensiamo al tiglio o ai meli da fiore, ai ciliegi e ai mandorli; ai lillà, ai biancospini ed ai viburni bianco rosati.
In Inverno se ci inoltriamo nei boschi o lungo gli argini sinuosi di un fiume o di un torrente, ecco che dovremo fare i conti con mille tipi di forme e strutture di alberi con le cortecce più diverse, le ramificazioni più o meno riconoscibili. Ma qui prendiamo consapevolezza che i giardini possono essere più accattivanti qualora ci avvaliamo di piante che solo con la corteccia fanno in inverno il loro successo agli occhi del visitatore. Ci sono quelle morbide come il velluto, le betulle, fibrose e rossicce come nelle sequoie, ruvide e bitorzolute come le querce da sughero, lucide e rosso vinaccia come alcuni ciliegi da fiore, inconfondibili per la loro levigatezza come quelle dei faggi, a maglia rilevata come quelle dei salici bianchi, o a scacchi prismatici come nelle querce, a placche rossicce o grigie d’argento come nei pini domestici o nei pini neri.
Se abbiamo un grande giardino siamo obbligati a dare spazio a questi grandi alberi, a fare in modo che quando diventano adulti, dopo almeno venti e più anni, diano il meglio di sé nella forma, nella struttura e nella “pelle” del loro maestoso fusto. Siamo rimasti nella flora del clima temperato ma appena ci spostiamo verso il Mediterraneo potremo pensare di inserire un bel viale di piante-bottiglia, chiamata in latino Chorisia speciosa, apprezzate per la forma espansa che contiene acqua e per le spine che punteggiano tutta la superficie del tronco per difendersi dagli animali e per limitare l’evapotraspirazione dell’acqua. Pianta sacra ai Maya, madre de todos los árboles, generosa di fiori in primavera e scultorea in inverno, la possiamo apprezzare a Palermo, mi colpì il bellissimo viale d’entrata dell’Orto botanico, o a Napoli lungo le vie così amate dalla Ortese.
Se siamo attratti dalle spine, questi organi creati dalla pianta proprio per svolgere qualche funzione di sopravvivenza, possiamo spaziare nei climi più rigidi tra diverse creature verdi. La Gleditsia triancanthos detto comunemente spino di Giuda il cui nome rivela la caratteristica di possedere delle spine tripartite (in greco ákantha, spina,) molto lunghe color porpora, che nelle giornate di inverno assumono un aspetto scultoreo, traslucide alternate a lunghissimi baccelli penduli che completano lo spettacolo naturale. Questa pianta può far assumere quasi un fascino esotico al nostro giardino perché ha frutti simili a quelli del noto carrubo che invece vegeta nei climi del bacino mediterraneo.
Per un piccolo giardino il Paliurus spina-Cristi detto anche marruca o spina di Cristo può essere di difesa se usato come siepe ma anche decorativo, perchè a fine estate oltre alla spinosità si riempirà di tantissimi frutticini verde tenero a forma di piccoli cappellini che d’inverno restano appesi come decorazioni sui rami ricadenti.
Non possiamo dimenticare la Rosa sericea in questo capitolo dedicato alle curiosità delle piante: la sua spinosità è così straordinariamente singolare che viene spesso inserita nelle bordure proprio per far risaltare questo suo carattere. Sui rami verdi si innestano dei piccoli ventagli rosso vermiglio che senza soluzione di continuità li adornano come festoni di bandierine. Le rose, soprattutto le canine, possono presentare le deliziose galle o cecidi, come, dicevo, le chiamano i botanici. Si presentano come piccoli ricci appesi ai rametti, sono completamente sferici e compatti e sono così belli che rappresentano una ghiotta scoperta per le artiste e gli artisti della composizione floreale.
Un certo Alessandro Trotter, botanico di Udine vissuto tra Ottocento e Novecento, era un tale esperto di galle, che fondò una rivista botanica e diretto per più di trenta anni (dal 1902 al 1941) la rivista internazionale di cecidologia, Marcellia, nella quale rese noti numerosi contributi a questa scienza. Fotografi di botanica si sono cimentati nella innumerevole varietà di queste incredibili formazioni vegetali quasi delle “mirabilia” della natura.
Le galle di quercia, ad esempio, hanno la forma di perfette sfere color sabbia di pochi millimetri, o rosse a forma di fiore di dalia, o di microcristalli trasparenti… Quelle di salice possono formarsi ad opera di qualche insetto, come delle piccole creste verde pallido. Quelle di quercia addirittura venivano usate in certe varietà per la presenza di tannino, nella fabbricazione di inchiostri, in conceria e nella tintura dei tessuti. Per chi voglia addentrarsi in questo mondo tra fantasia e realtà può affidarsi ad una seria botanica che già molti anni fa si è dedicata proprio a questo studio su tutto il territorio della penisola1. Se ne può rimanere catturati. Alla prossima avventura botanica!
1 Giuseppina Pellizzari Scaltriti, Guida al riconoscimento delle più comuni galle della flora italiana, Patron, Bologna 1988.