I ghiacci che continuano a sciogliersi, inondazioni, tempeste, cicloni, siccità, ondate di calore. Soltanto nell'ultimo anno si sono contati 24 uragani nell'Atlantico: un numero da record, fino ad oggi impensabile. Gli scienziati li chiamano eventi estremi e i modelli matematici a disposizione dei tecnici non riescono più neanche a prevederli. Da sempre il tempo è pazzo e gli inglesi escono di casa con l'ombrello anche quando splende il sole, ma i cambiamenti climatici sono ormai diventati talmente violenti e repentini da rovinare intere città o regioni e mettere in pericolo la nostra stessa esistenza. Sappiamo tutti quello che è successo: il nostro stile di vita, aiutato dal progresso scientifico e tecnologico, sta mettendo a dura prova le risorse della Terra, che reagisce mandando segnali potenti dei suoi disagi ambientali. Come quando una febbre ci dice che nel nostro organismo c'è qualcosa che non funziona. E proprio di febbre si tratta dal momento che la crosta terrestre a livello globale si è riscaldata di 1,3 gradi, mentre la regione europea, tra le più sensibili al cambiamento climatico, ha registrato nel 2020 l'autunno più caldo degli ultimi 40 anni, giungendo fino quasi a 2 gradi di riscaldamento medio, con punte vicine ai 4 gradi nelle aree più a Nord.
“Negli ultimi 2000 anni le temperature avevano oscillazioni di 0,2-0,3 gradi, non raggiungendo mai medie globali così alte”, spiega il professor Roberto Buizza, climatologo e docente di fisica alla Scuola superiore Sant'Anna nel corso di un evento organizzato a Pisa dalla Fondazione Palazzo Blu e dall' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Evento che ha raggiunto migliaia di collegamenti durante la trasmissione in diretta: “Purtroppo la concentrazione di gas serra è salita esponenzialmente dal 1900 in poi a causa dell'utilizzo di combustibili fossili per generare calore, energia e trasporti. La conseguenza è l'aumento costante della temperatura, con i ghiacciai che continuano a sciogliersi e il livello del mare che sta salendo a una media di 3,6 millimetri ogni anno”.
Così è. Questo ci raccontano i dati e questi sono i risultati. Come quando mettiamo una pentola d'acqua sul fuoco che aumenta la sua evaporazione man mano che ci si avvicina al bollore, mentre sulla sua superficie si notano fenomeni di turbolenza. Nello stesso modo, riscaldando l'atmosfera, questa contiene più vapore acqueo ed ha più energia. Dal suo maggiore dinamismo nascono le precipitazioni più intense e violente che nel passato, nonché la maggiore frequenza di quegli eventi estremi, sia più caldi, sia più freddi. Se tutto questo è certo, certo appare anche il 'colpevole': l'uomo. “Siamo tutti responsabili”, sentenzia il professor Buizza. “Dobbiamo adattarci e trasformare le nostre attività”.
Non ci sono dubbi, però, che fin dai primordi la Terra sia stata soggetta a cataclismi. “Si tratta di eventi naturali e il pericolo è intrinseco nella loro stessa esistenza, che però è un'esistenza che ci ha dato la vita”, sottolinea il professor Franco Cervelli, fisico, tra gli scienziati che hanno scoperto il Top Quark nei laboratori di Fermilab negli Stati Uniti, ricordando come proprio calamità e catastrofi siano stati protagonisti di quell'avventura meravigliosa che ha portato l'umanità a popolare questa terra. Il problema starebbe nei tempi dei cambiamenti climatici, una volta più lunghi e oggi invece molto brevi. “Chiaramente, quando il nostro pianeta era bombardato da meteoriti molto grosse - 2 miliardi, 2 miliardi mezzo di anni fa - si verificavano variazioni climatiche enormi in tempi brevi”, ha spiegato il climatologo, “ma dopo, negli ultimi 800mila anni di vita della Terra, guardando le ricostruzioni della concentrazione del gas serra, si vede come le variazioni avvenissero in tempi veramente molto lunghi, tra i 10mila e i 100mila anni. Oggi avvengono in tempi di 50-100 anni”. E il pianeta si sta ribellando.
Se poi si va alla ricerca delle attività più dannose, scopriamo che sono praticamente tutte. La produzione di elettricità insieme al settore agricolo e zootecnico incidono per quasi il 50% (25% il primo e 24% per cento il secondo). Segue a ruota l'industria con il 21% e poi i trasporti per il 15% e l'attività di costruzione per il 7%. Che fare, dunque? Dagli scienziati della Scuola Sant'Anna arriva un obiettivo che suona come un must. “Dobbiamo ridurre le emissioni a livello globale e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050”, tuona il professor Francesco Lamperti, docente ed esperto degli effetti economici causati dai cambiamenti climatici e dai disastri naturali. “Nella seconda parte del secolo dovremo poi avere la tecnologia in grado di assorbire l'anidride carbonica, togliendola dall'atmosfera per riportarla sotto terra”. Ma ce la faremo? L'ottimismo non manca. Secondo gli scienziati della Scuola Sant'Anna abbiamo le tecnologie e, volendo, anche le risorse. Basterebbe, dicono, che i cosiddetti Paesi ad economia avanzata mettessero a disposizione il 2,5% del prodotto nazionale lordo pro-capite per i prossimi 20 anni. Attenzione, però, a non superare mai i due gradi di riscaldamento termico. “Oltre tale limite non sappiamo come potrebbe reagire la Terra”, sottolinea Lamperti. “Questa è la misura della nostra incertezza. Superando la soglia dei 2 gradi il sistema potrebbe non essere in grado di trovare l'equilibrio che aveva in precedenza e quindi nessuno sa cosa potrebbe succedere”.
Certo, ognuno di noi, può dare il suo piccolo contributo. Alcuni comportamenti sono più facili da mettere in pratica, come cambiare il nostro frigorifero, dotandoci di tipi A+++, al posto dei vecchi A+, oppure utilizzando meno l'automobile. Per ottenere buoni risultati si ipotizzano 6000 km stradali in meno a testa ogni anno. Ma bisognerebbe anche ridurre i viaggi aerei e persino osservare una dieta vegetariana almeno per un anno ciascuno, visto che le attività di allevamento sono molto inquinanti. Comunque, per quanto virtuoso ognuno di noi possa essere, qualsiasi sforzo 'personale' non sarà mai sufficiente a decarbonizzare l'atmosfera.
Ci vogliono altre fonti di energia: questo è il punto dolente e insieme la sfida. Alcune windfarm offshore, o Parchi eolici marini, catturano già la forza del vento, mentre sono in atto studi per sfruttare il naturale spostamento delle masse d'acqua oceanica prodotto dalle maree. Una quantità gigantesca di energia 'pulita' potrebbe arrivare dal processo di fusione nucleare, che cerca di imitare la reazione che avviene nelle grandi stelle. Con pochi rifiuti residuali si avrebbe una fonte inesauribile di energia senza emissione di anidride carbonica. Ma l'obiettivo è ancora distante e la corsa contro il tempo è aperta. “Per alcune componenti del sistema Terra, quali i ghiacciai dell'Artico e della Groenlandia, così come le foreste dell'Amazzonia, il punto di non ritorno potrebbe essere molto vicino”, ammonisce il professor Buizza. “Dobbiamo investire perché l'energia venga prodotta in altri modi: l'olio combustibile e il gas devono restare sotto terra. Pochi gradi mutano l'abitabilità del nostro pianeta. Già adesso alcune regioni dell'India nel periodo monsonico sono invivibili per l'uomo e continuando così molte altre aree della Terra lo diventeranno”.
Siamo dunque vicini alla catastrofe?
“Il problema non è catastrofico visto che nel 2030 o nel 2050 il mondo non finisce, ma è abbastanza catastrofico nel senso che dobbiamo affrontarlo ora se vogliamo veramente evitare che centinaia di migliaia di persone siano costrette a migrare creando stress e conflitti che rendono tutto ancora più complesso”.