Agatino Catarella è forse uno dei personaggi più simpatici scaturiti dalla fervida fantasia di Andrea Camilleri; con il suo funambolico e paradossale comportamento di incrollabile servitore dello stato e di fedelissimo collaboratore di Salvo Montalbano, porta una ventata di comicità nello sviluppo narrativo delle indagini sempre intricate e complesse del commissario più famoso della narrativa italiana. L’agente, interpretato nelle trasposizioni televisive dei romanzi da uno strepitoso e fino a qualche tempo fa poco noto Angelo Russo, è impacciato e pasticcione, maldestro e arruffone, timido e rispettosissimo dell’autorità, incapace di afferrare correttamente un solo cognome dei tanti che attraverso il centralino telefonico o di persona in ufficio chiedono del commissario. Ingenuo come un bambino, facile alla commozione, è goffo e francamente un po’ ottuso e non riesce a seguire il filo logico di qualsivoglia ragionamento. Il suo italiano è approssimativo e spesso incomprensibile. Si potrebbe insomma definirlo un cretino. Ma è benvoluto da tutti i colleghi del commissariato per la sua sincerità e l’educazione, ed alla fine è apprezzato perché quando mette mano al computer diventa un vero e proprio mago.
Chissà che Camilleri non abbia nutrito un po’ di antipatia o di diffidenza per la malcelata supponenza abituale di certi diffusissimi sedicenti geni dell’informatica o se davvero abbia conosciuto un personaggio del genere, ricavandone l’idea di farne una caricatura. Osservatore attento delle debolezze e delle manie umane più diffuse, ha raffigurato molto efficacemente, attraverso vere e proprie maschere, una variegatissima galleria umana: dal mafioso di grosso calibro al delinquente da strapazzo, dal trafficone arrivista e senza scrupoli al funzionario onesto e burbero, dal vecchio contadino saggio all’anziana popolana dotata di fiuto e di astuzia, dalla prostituta al contrabbandiere fino al più attuale di tutti, il cretino digitale.
L’irruzione, abbastanza recente dell’informatica nella vita di tutti i giorni, nelle famiglie e negli uffici ha generato un’incredibile serie di trasformazioni delle abitudini e dei comportamenti, ma soprattutto rivoluzioni nel lavoro e perfino stravolgimenti umani. Con l’arrivo dei computer, delle reti, della digitalizzazione è successo che individui unanimemente ritenuti se non cretini o imbecilli, almeno lenti nei riflessi e nell’apprendimento, si siano rivelati o, più spesso si siano sentiti, veri e propri geni.
I cretini, si sa, sono stati da sempre pericolosissimi con le loro incrollabili certezze, con la loro altissima consapevolezza di sé, con il piacere di sentire la propria voce più che quella degli altri, diventando perniciosissimi se cretini altolocati, di successo, di rango e ben vestiti, e costituendo una vera e propria minaccia se hanno avuto, come spesso è accaduto, successo in politica. Basta vederli in televisione a ostentare consapevolezza di essere sempre dalla parte della ragione.
Ma il cretino digitale è il più nocivo e fastidioso di tutti. Perennemente sicuro di sé e per lo più loquace, parla molto di backup, di login, di server, di Bluetooth, di bar code, di pixel, di Unicode, spesso senza sapere di cosa stia parlando e sembra quasi che gli dispiaccia quando deve ricorrere a termini o a neologismi italiani come algoritmo, programma e formattazione, perché, immerso com’è nel suo linguaggio iniziatico, non dice più equivoco ma misunderstanding; non condivisione, ma sharing; non scambio di opinioni, ma handshake. Guai a dirgli, quando ti ha spiegato di che male soffre il tuo personal, che non hai capito niente; ti rivolgerà un leggero sorriso di commiserazione.
Negli uffici si riconosce subito il cretino digitale perché ha sempre appeso al collo, come un monile, un laccio con almeno due chiavette usb, e va in giro buttando l’occhio sugli schermi dei computer dei colleghi alla ricerca di qualcuno che abbia bisogno del suo prezioso aiuto. È fatalmente idolatrato dai colleghi più anziani, terrorizzati dalla innovazione, che hanno fatto fatica a imparare l’uso della posta elettronica, e, disperati quando il loro computer si impunta, implorano il suo aiuto.
Il cretino digitale, allora, con l’aria del guaritore taumaturgo e benevolo, si avvicina al richiedente soccorso, con un gesto sbrigativo della mano lo invita a lasciargli il posto, si aggiusta la sedia ergonomica che non è mai all’altezza giusta, guarda pensieroso il video e spegne il computer. Aspetta qualche secondo, forse rivolgendosi al suo santo protettore, e riaccende; al novanta per cento dei casi lo schermo si illumina di nuovo e comunica che tutto riprende a funzionare. Lui si alza sorridendo compiaciuto di sé e accoglie con finta umiltà il ringraziamento del collega salvato e riprende la sua ronda informatica in ufficio. Ma se il computer, invece, non riprende vita alla riaccensione, dice che ci deve pensare e che tornerà più tardi o al massimo l’indomani.
Telefonerà di nascosto alla società con la quale l’ufficio ha un contratto di manutenzione e si informerà dettagliatamente. Male che vada a casa chiederà a sua volta aiuto al nipotino bravissimo con file e programmi. Al mattino successivo tornerà, riaccenderà, smanaccerà con tastiera e mouse come gli hanno detto di fare e, quando tutto sarà tornato a posto, tirerà un sospiro di sollievo con un filosofico “lo dicevo io!”.
E sì, perché assai spesso i cretini digitali, nella maggior parte dei casi, sono fatti più o meno così. Mica possono essere tutti come Agatino Catarella.