Quale elemento dell'abbigliamento ha posto tutti noi su di un medesimo piano?
Può lo stile essere democratico?
Quale soggetto corrisponde a queste caratteristiche così eluse dal principio distintivo che genera la moda e i suoi modi?
Partiamo da tre indizi che possono aiutare nella comprensione.
Indizio numero uno: arriva dalla Vecchia Europa, ma è esploso nel Nuovo Continente.
Indizio numero due: è prodotto su scala mondiale, ma il suo nome lo si gioca tra Francia e Italia.
Indizio numero tre: è per ruvidi e coriacei atteggiamenti bruschi e, logoro, di spigolo si ferisce ma non perisce aumentando di valore in epidermico rapporto con lo spirito e la vita di chi se lo porta appresso.
Solo una cosa può corrispondere a queste descrizioni ed è un tessuto la cui trama è trasversale: il denim.
Nasce nella Francia meridionale e più precisamente nella città da cui prende il nome. Nîmes: nel Sud di quel territorio che ha espresso i principi della democrazia, nel vecchio continente, al grido di libertà, uguaglianza e fratellanza.
Una saia a tre fili, robusta, la cui trama sovrasta due volte l'ordito e quest'ultimo una volta la trama (2:1) un tempo in lino (ordito) e cotone (trama) e in seguito totalmente in quest'ultima fibra grazie all'abbattimento del suo costo dovuto alla produzione su vasta scala.
La tessitura così realizzata forma un twill: ossia una tessitura diagonale detta sargia, meglio nota come “Serge De Nîmes”. Da qui la fusione di articolo e nome, voluta dagli inglesi, che ha dato origine al termine “Denim”. In questo luogo viene prodotto già nel XV secolo, con la medesima tessitura, il fustagno, suo predecessore.
La differenza tra i due tessuti sta nella colorazione in quanto quella del denim si presenta nel caratteristico colore blu sfumato dato dalla trama bianco/avorio e dall'ordito indaco, mentre il suo antenato è di tinta uniforme.
Quest'ultimo veniva utilizzato in origine, per la sua robustezza, come copertura per il trasporto delle merci e così fu anche per la tela indaco.
Il primato della produzione del denim è conteso alla Francia dalla cittadina piemontese di Chieri dove veniva prodotto, nello stesso periodo, un tipo di fustagno dalle medesime caratteristiche e tinto con il blu tratto dalla pianta del Guado o Gualdo meglio nota come Isatis tinctoria.
Il blu indaco si ottiene attraverso un particolare procedimento praticato in Asia già 4000 anni fa. Il principale produttore di questo colorante era l’India e la pianta da cui si ricavava era l’Indigofera tinctoria: da qui il nome “indaco”.
Non appena in Europa si scoprì questa tinta se ne iniziò la produzione utilizzando l'Isatis tinctoria, pianta simile a quella esotica utilizzata in India. Tuttavia, la pianta asiatica sostituì quella europea nel Cinquecento, grazie al suo maggiore potere tintorio.
L’Indigofera tinctoria è ricca di indingotina, una sostanza contenuta nelle sue foglie: la si estrae tramite fermentazione in grandi vasche insieme a soluzioni alcaline. Da questo procedimento si ottiene un liquido giallo-verde che viene costantemente mescolato e fatto ossidare all’aria in grandi vasche. Con il passare del tempo il colore muta assumendo la caratteristica sfumatura viola-bluastra. Il deposito melmoso che si forma, detto “fiocchi di indigotina”, viene riscaldato per fermare la fermentazione e successivamente asciugato per essere commercializzato sotto forma di panetti.
Questa pianta di origine orientale, quasi certamente, fu portata nell'area europea già nel Neolitico. Altre fonti, citano l'importazione in Italia da parte del popolo dei Catari (ovvero “Puri”: movimento ereticale attivo tra X e XIV secolo noti anche come Albigesi) stabilitisi nella zona dove oggi sorge la città di Chieri, in Piemonte.
In quegli stessi anni, non lontano dalle terre piemontesi, tra Tolosa, Albi e Carcassonne (Ducato di Lauraguais) si era sviluppata la coltura dell'Isatis tinctoria, analoga all'Indigofera da cui si traeva il "blu pastello".
Questo pigmento veniva utilizzato massivamente nella pittura e nel tessile, al punto da introdurre una vera produzione industriale. All'epoca la ricchezza generata dall'imponente richiesta del mercato caratterizzò al tal punto quel territorio dall'essere denominato "paese di Cuccagna" dal nome di quel panetto di tintura blu che in francese suonava “cocagne”.
Il punto di svolta nell'impiego di questo tessuto arriva attorno al 1860 quando la produzione dei cugini d'oltralpe sceglie il porto di Genova per gli scambi con gli Stati Uniti.
È nel capoluogo ligure che viene assemblato il primo pantalone in tela denim e dal suo porto salpa per l'America insieme al quasi indistruttibile tessuto blu.
Nel 1871, a Reno, nello stato del Nevada, il sarto Jacob W. Davis, originario della Lettonia, riceve la commissione di realizzare un paio di pantaloni molto robusti per il marito di una sua cliente che doveva usarli per spaccare la legna.
Come modello, per questo suo elaborato, Davis prende quei primi jeans, così denominati perché prodotti a Genova. Il termine “jean” deriva dall'antico termine “Jeane” o “Jannes” utilizzato in francese per nominare la città di Genova e dalla conseguente pronuncia inglesizzata del più recente termine francofono Gênes; la forma plurale “jeans” viene standardizzata nel XIX secolo.
Il sarto s'ingegna e rinforza le giunture con dei rivetti di rame, posti nei punti nevralgici dei fianchi e delle tasche rendendoli ancora più compatti e indistruttibili.
L'elaborato riscuote grande successo e Davis si trova sommerso dagli ordini al punto di venderne 200 paia in pochi mesi. Così messo si vede costretto a rivolgersi a Levi Strauss, che con i suoi commerci era tra i più importanti rivenditori di tessuti e abiti da lavoro della zona, proponendogli un accordo per la produzione del suo elaborato. Il commerciante fiuta l'affare e accetta di finanziare la creazione di una filiera produttiva a San Francisco.
Strauss aveva aperto, nel 1849, l'ingrosso Levi Strauss & Co. La sua attività si concentrava sulla vendita ambulante di abiti da lavoro a manovali, minatori e cercatori d'oro unita alle coperture per i carri dei pionieri (detti conestoga) e alle vele per le imbarcazioni.
Ascoltando i bisogni dei lavoratori aveva disegnato e realizzato la salopette, tutt'oggi ritenuta l'emblema dell'abbigliamento pratico per le attività manuali. Il suo successo negli affari lo portò a finanziare il pantalone a cinque tasche con rivettatura in rame di Davis e ad attivare quel metodo di produzione nelle fabbriche.
Il 20 maggio 1873 fu brevettato il moderno jeans e codificato con il N. 139.121 dando così origine alla gloriosa storia della Levi Strauss & Co.
A questa saga si lega la cultura a stelle e strisce e uno dei simboli universali del vivere all'occidentale.
Con l'avvento di Hollywood e di star del calibro di James Dean e Marlon Brando o icone al femminile come Marilyn Monroe il denim in generale ed il jeans (inteso come taglio del pantalone a cinque tasche che può essere anche in tela denim ma non solo), hanno rappresentato la parte ruvida e solida dell'epidermide, quella seconda pelle che si trasforma nell'uso quotidiano impreziosendosi delle sue slabbrature e slavature come medaglia di ogni protuberanza e sforzo fisico dell'anatomia e della psiche umana.
Carico di quell'eros che deriva dalla sua potenza muscolare disintegra le inibizioni e rende forti di una divisa sociale che è libertà d'azione nella corazza della modernità chiamata denim.
Dalle rivolte sessantottine passando per l'identificazione oltre il genere di un rapporto che non disputa delle differenze ma dichiara le possibilità, la tela diagonale attraversa la storia dell'indipendenza dalle norme e apre alla libertà più trasversale che è la traccia dei principi della democrazia: dal lavoro dell'uomo per l'uomo universale oltre i confini del tempo.