In questa stagione della storia, molti "uomini di buona volontà", con una frequenza crescente, pongono sul tavolo del dibattito una questione spinosa e che appare sempre più di difficile soluzione: abbiamo bisogno di "ripensare il modello di sviluppo". Beh ... è evidente.
E qualcuno più smaliziato aggiunge che bisogna distinguere, e non confondere, tra "sviluppo" e "crescita". E precisa: “Con ‘sviluppo’ si intende anche una certa ‘qualità’, mentre con ‘crescita’ la qualità può tendere al minimo e possono prevalere solo gli aspetti legati alla ‘quantità’”. E anche questo, per una intelligenza media e onesta, è piuttosto evidente.
Ciò però significa talmente tante cose, talmente aggrovigliate tra loro, che la "buona volontà" diventa un esercizio retorico e basta.
Entrano in ballo, infatti, le categorie dell'essere e dell'avere, senza tralasciare quella del fare e dell’accumulare. Le visioni dei "beni pubblici" e degli interessi privati e le limitazioni reciproche che gli uni impongono agli altri e viceversa. Le visioni del futuro orientate dall'etica e dall'estetica. Le considerazioni relative al rapporto uomo-algoritmo, uomo-robot, uomo Intelligenza Artificiale. I diversi "primati" della natura o della tecno-scienza, dello spirito o della ragione; i diversi ruoli degli Stati e delle aziende private; il fatto che la politica non riesca più a governare l'economia e che questa sia a sua volta sempre più governata da una finanza anarchica e autarchica, etc.
Si potrebbe continuare con un lungo elenco di "polarità" opposte che definiscono i “rapporti di forza”… che si contrappongono, si ibridano, si limitano e talvolta si esaltano l'una con l'altra. Del resto, cambiare il modello di sviluppo significa cambiare il mondo, farlo diventare "diverso" da quello che è e con esso cambiare tutto ciò che c'è dentro, una quantità e qualità infinita di aspetti che coinvolgono aree delle attività umane fisiche materiali e anche aree astratte o virtuali.
Ma sostanzialmente, questa aspirazione al ripensamento e al cambiamento del precedente modello, fondato quasi esclusivamente sulla marcia trionfale della produzione e sul consumo, anche superfluo, di merci fisiche e servizi analogici, significa che "qualcos'altro" lo ha già sostituito o lo sta sostituendo in progress un giorno dopo l'altro? Beh sì ... la sostituzione è in corso, è ormai ineludibile e si inscrive e si giustifica e si realizza sin dalla notte dei tempi seguendo quei cicli di costruzione e distruzione tanto cari agli Indù che li identificano con Visnù e Shiva.
Il precedente modello quindi, fondato sul capitalismo delle merci e servizi sta lasciando il campo a qualcos’altro. Per qualcuno questo “qualcos'altro” è un liberismo forsennato, integralista e massimalista fondato sulla Legge Imperiale: "Chi prende il piatto ha ragione". Un liberismo che, sia esso Trumpnazionalista o promosso da Biden-Xijinping o dalla Merkel o dal nuovo asse israelo-saudita, è comunque avido, predatorio, sfruttatore e agisce in deregulation e in deroga alle costituzioni democratiche del dopo la Seconda guerra mondiale. È un liberismo che travalica i resti delle istituzioni, sia nazionali (parlamenti, corti supreme, antitrust, etc.) che internazionali (ONU e sue agenzie, cooperazione, etc.), piega i trattati internazionali ai suoi voleri e storpia i diritti per affermare il dominio di pochi sui molti... il famoso 1% che possiede il 90% delle ricchezze. Il famoso 1% che si incontra a Davos o nelle riunioni dei Bilderberg e progetta e realizza il "Grande Reset".
Non contento dei risultati già ottenuti o forse semplicemente per consolidare e non rischiare che i popoli si ribellino, il liberismo timona già da tempo verso la definizione di fatto di un ordine mondiale ad esso confacente. Un nuovo ordine che sostituisca quello di Bretton Woods, in cui un sistema di raccolta di Big Data, realizzato attraverso le reti digitali, assicuri il controllo orwelliano e si realizzi contestualmente il passaggio da ciò che rimane di una dimensione ancora umana a una dimensione transumana.
Questa analisi individua negli interessi egemonici di gruppi più o meno noti: grandi famiglie, lobby, cartelli industriali o finanziari, sostenuti tanto dalle Forze Armate pubbliche che da quelle mercenarie al loro servizio, i motivi di quanto descritto. In altre parole: qualche migliaio di persone o qualche decina di migliaia, evidentemente sociopatici o psicopatici, in quanto assolutamente insensibili alle catastrofi che il loro comportamento genera nel resto degli abitanti del Pianeta, gente comunque priva di empatia, probabilmente guidata nelle scelte dalla parte di cervello rettiliano, sarebbero in grado di condizionare tanto la crescita quanto lo sviluppo, a loro esclusivo vantaggio.
Ma è vero? Così la pensano coloro i quali vengono definiti "complottisti, dietrologi, catastrofisti " o se volete "apocalittici", recuperando una definizione già coniata negli anni ‘60 del secolo scorso.
Non tutti però la pensano così. Per inevitabile contrappasso esistono infatti moltitudini di umani che vengono definiti "conformisti, moderati " o se volete "integrati", che si collocano in quella zona intermedia che separa i potenti dai miserabili. È una zona molto, molto vasta e diversificata, dove trovano posto centinaia di sfumature di quelle che a grandi blocchi vengono definite le classi sociali. Diciamo che immediatamente al di sotto dei grandi potenti c'è l'alta borghesia, che sfuma nella media borghesia che a sua volta sfuma nella piccola borghesia e si impasta con operai salariati e piccole partite IVA dedite a attività di ogni tipo. “Classi” quest'ultime prive di alcuna garanzia... al di sotto delle quali si individua un mondo enorme che cresce a dismisura negli ultimi anni, fatto di precari, di disoccupati, licenziati, emigrati, emarginati, delinquenti, etc.
Questa "zona intermedia" è innervata da due forme pensiero, ovviamente tra loro contrapposte: la prima è quella descritta nell'analisi degli apocalittici ed è presente prevalentemente alla base degli strati. La seconda, non meno importante né meno influente, è quella presente prevalentemente alla sommità degli strati in area borghese, ma si rinviene anche in alcuni strati sottostanti. Questa seconda forma pensiero, orientata dall'idea del "lasciar fare", della tolleranza un po' furba e dalla voglia un po' coatta di essere politically correct, non punta l'indice accusatorio sulle persone che si trovano al vertice ma giustifica le disuguaglianze esistenti attribuendo ciò che succede a diverse ragioni, alcune delle quali arcane e insondabili, altre definite “storiche”. Le cose stanno come stanno perché a loro avviso: l'evoluzione funziona così, seleziona i migliori che si distinguono per meriti e capacità; oppure perché alcuni sono fortunati e altri meno; oppure perché in ogni caso non è detto che ricchezza e potenza siano indenni dal dolore; oppure perché siamo soggetti al karma durante i cicli di reincarnazione, etc.
È abbastanza evidente che la prima forma pensiero descritta quella “apocalittica” più favorevole alla solidarietà, alla visione dei beni comuni, alla ridistribuzione della ricchezza verso il basso era già sfavorevole al modello di sviluppo precedente e ora vede il Grande Reset come il trionfo del Male. Mentre i sostenitori della seconda forma di pensiero restano immobili in attesa di vedere cosa succederà, come se la geopolitica fosse ormai una serie fiction su Netflix o Amazon Prime.
Riuscirà Trump a dimostrare che i Dem hanno imbrogliato le elezioni o finirà nel cono d’ombra della storia? Ci sarà una vera vaccinazione di massa orchestrata dalle farmaceutiche con conseguente ripresina dell’economia? L’oro sarà ancora il bene rifugio per eccellenza o sarà sostituito dai bitcoins? L’Europa reggerà nel dopo Covid? La Cina scalerà ancora posizioni nel Fondo Monetario Internazionale fino a mettere in ombra il dollaro USA? La soluzione di questi quesiti indicherà i protagonisti della nuova puntata e il nuovo modello di sviluppo. Ma non sarà purtroppo la “buona volontà” dei pensatori onesti a tracciare le linee guida del futuro.