Il film di Greta Gerwig ascolta, accarezza, spia, accompagna Lady Bird, ragazzina 17enne, in un tortuoso e complesso percorso di crescita, dove il riconoscere chi sia, cosa desidera, dove vivere e come vivere è percepito molto confuso e ansiogeno, per cui scalpitare e ribellarsi alla situazione attuale è sentito dalla ragazza come l’unico modo possibile per sentirsi esistere e per dare segno di sé al mondo.
Tutto è negato e rifiutato, ad iniziare dal suo nome, Christine, che cambia in maniera provocatoria in Lady Bird, nome evidentemente posticcio, che vorrebbe essere segno della sua indipendenza, quasi di una partenogenesi, staccandosi dall’evento generativo dei suoi genitori, realizzando così una separazione-strappo netta, senza nessuna sbavatura o vago legame che possa inquinare la sua unicità. Ma Lady Bird è anche un nome che risuona di equivocità rispetto all’identità di genere, spesso i trangenders o gli omosessuali adottano un nome altro rispetto alla loro storia identitaria di origine, e in genere, si tratta di un nome neutro che non tradisce il genere o l’orientamento sessuale.
E forse col suo nickname Christine dà voce anche ad una turbolenza fastidiosa che riguarda la sessualità di cui probabilmente non è consapevole, esprime inconsciamente il desiderio/paura di saperne qualcosa di più, una sorta di frenesia di farne esperienza per consolidare il senso di identità e per confermarsi di sapere sulla vita e perciò di farne parte appieno. Ma assieme alla parte spregiudicata e ribelle, rivela anche una parte infantile bisognosa ancora di nido, anche se sta vivendo questo bisogno in maniera ustionante, proprio come è ustionante il rapporto con il nido-madre. Lady Bird, in realtà significa coccinella, niente a che fare, perciò, con superbi volatili lanciati in voli vorticosi verso lontananze siderali e, tra l’altro, lady Bird è anche una nota nursery rhyme che parla appunto di casa in fiamme e di spaventi infuocati.
Lady Bird esprime la spinta alla crescita, all’evoluzione, alla creazione della propria identità pur essendo al tempo stesso così legata alle origini, alla sua storia, alle tradizioni, all’amore e odio per Sacramento città che vorrebbe ripudiare perché simbolo del piccolo, dello stretto, della miseria di vita, di quella prima parte della vita che vorrebbe rinnegare per sentirsi rinascere nuova, forse trasformata in un bellissimo cigno.
Tantissime sono le tematiche che incontriamo nel film, dalla questione identitaria, alla scoperta dell’amore e della sessualità, all’incontro con l’omosessualità, alle esperienze di amicizia, di fedeltà e di tradimenti, ai rapporti frastornanti all’interno della famiglia dove un padre psichicamente fragile, si mostra capace di volere bene e di saper contenere le conflittualità in atto, allo strano rapporto con un fratello adottivo, e poi l’esperienza teatrale, l’esperienza scolastica in un istituto cattolico e il tipo di educazione e istruzione relativi. Il tutto condito da quello stordente stato mentale fase-specifico che è la confusione.
Il teatro è un modo per raccontarsi e rappresentarsi, i personaggi teatrali stanno per i personaggi interni, così come le paure o la spregiudicatezza circa la sessualità o le domande sul’orientamento sessuale vengono rappresentati da altri personaggi, anche la religiosità è messa dentro l’istituzione-scuola e gli adulti di riferimento, il sacerdote, la suora, tutti vissuti con ambivalenza e confusione ma con tutti è in gioco un legame.
Tanti davvero i temi, forse troppi e, ovviamento, alcuni solo tratteggiati, altri più evidenziati e resi particolarmente vivi dall’interpretazione di Saoirse Ronan, la personificazione vivente della Lady Bird immaginata dalla regista.
Mi soffermerei su alcuni aspetti che mi sono sembrati particolarmente significativi e che percorrono trasversalmente tutta la storia.
Lady Bird si muove nella spasmodica e affannata ricerca di un senso nella vita così che valga la pena di essere vissuta, è ansiosa di non dover sprecare o perdere quella bellezza a tutto tondo a cui aspira e che, per il momento, vede molto lontana da sé, dal suo ambiente familiare, sociale, scolastico. Il suo sguardo è rivolto con caparbietà verso la chimera, non può accontentarsi di una medietà che le porterebbe solo sconforto perché vissuta come un senso di fallimento nella realizzazione di sé. Con gli occhi puntati con sfida contro il mondo e col mento aguzzo alzato verso l’ideale sembra urlare che, poiché è in vita, allora la deve vivere al massimo delle potenzialità, a questo non può rinunciare.
È dunque alla ricerca di sé, del suo posto, che sia università, città, casa, una casa che non sia “al di là delle rotaie”, cioè fuori dalle aree centrali della sua città, ma una casa adeguata alla sua idealità. In pratica è di un contenitore adeguato che sente la mancanza, che è un bene irrinunciabile per poter affrontare l’avventura del crescere. Ma questo, d’altra parte, non è il bisogno di ogni adolescente?
E quando il dolore per la mancanza è troppo grande, per sopravvivere inventa bugie: cambia nome, dà un indirizzo diverso, spaccia amicizie altolocate, continuamente si crea storie per abbellire quello che sente come squallore di vita. Le bugie diventano una sorta di protezione, rendono vivibili situazioni lacerate da un’ambivalenza estenuante, verso di sé, verso la sua famiglia, verso la scuola, la religione cattolica, la sua città.
Le bugie sono tanto imparentate con la confusione, ad un certo punto risulta difficile raccapezzarsi, ma, allo stesso tempo:
La bugia può essere considerata come un contenitore o un protocontenitore sviluppato in assenza di più adeguati contenitori al momento non disponibili… possiamo affermare, forse, che la bugia sia un traghetto che ci può salvare dal naufragio…
(Ferro e Stella)
In questo senso direi che, tra i diversi temi sulla questione adolescenziale che il film mette in luce, il bisogno di un contenitore e la bugia sono il leit motiv che accompagna e colora tutte le esperienze che Christine/Lady Bird vive in questa delicata e complessa fase di passaggio.
Il contenitore e la bugia sono dunque i personaggi chiave della storia della ragazza, personaggi che, via via, prendono nomi, corpi, sembianze e vicissitudini diverse.
Non a caso il rapporto più drammaticamente appassionato e complesso è quello tra Lady Bird e sua madre, il primo contenitore per antonomasia, tanto amato e odiato, tanto ambito e tanto rifiutato, la regista lo definisce “il rapporto d’amore del film”. E aggiunge: “Volevo fare un film che mettesse questo al centro e in cui, in ogni momento, si provasse empatia per entrambe i personaggi”.
Straziante è la relazione tra Christine e Marion, due donne la cui storia di madre e figlia nasce da un’interdipendenza l’una dall’altra, dall’esperienza dell’essere state un tutt’uno, intenso e spietato è il rapporto tra di loro, forse talmente forte da essere ustionante e da essere evitato con terrore.
Christine si butta dalla macchina perché non regge la conflittualità con la madre, mendica la sua voce quando Marion si rifiuta di parlarle, ma vuole allontanarsi da lei e cambia nome come per non riconoscere il desiderio materno e Marion le scriverà tante lettere d’amore mai consegnate, sempre cestinate, perche intollerabili. È stato l’intervento di un terzo, del pacato padre a rendere possibile il dirsi il loro amore.
Durante la separazione reale Lady Bird riscopre la sua storia con le origini, la guarda con affetto e può riconoscere di amarla.
Solo staccandosi fisicamente, andando “dall’altra parte del mondo”, può osare a contattare le radici, a sentirsene meno spaventata, a non sentirle così invasive e lesive della sua unicità e individuazione, a non percepirle così potenti da annullare la sua personalità, così grandiose, onnipotenti e terrificanti, proprio come una mente infantile può vivere la madre.
Ma anche le parole d’amore di Marion hanno reso possibile l’incontro e hanno permesso a Christine di dirle “ti voglio bene”.