La ricerca dell’eterna giovinezza e della longevità ha radici antiche nell’uomo ed è quanto mai attuale nella società contemporanea. Vivere a lungo in ottima salute, prevendendo le malattie e intervenendo sullo stile di vita, adesso è possibile grazie alla medicina antiaging e agli strumenti che utilizza come il test del DNA e del microbiota.
Numerosi studi su alcune popolazioni longeve, come, ad esempio, quella degli Hunza che vive ai piedi dell’Himalaya, hanno cercato di individuare gli ingredienti della ricetta per la longevità. Gli Hunza raggiungono infatti l’età di 120/140 anni in buona salute, praticamente quasi immuni alle malattie e autosufficienti. Il loro stile di vita è considerato ottimale, ecco gli ingredienti: semi-digiuno, alimentazione ricca di vitamine, sali minerali e antiossidanti, costante esercizio fisico, assunzione di acqua alcalina presente nel loro territorio, infine, si aggiunge un atteggiamento psicologico orientato all’ottimismo e una marcata spiritualità, una ricetta per l’autosufficienza anche in età avanzata che sposa benissimo i principi base della medicina antiaging.
Negli ultimi anni assistiamo al diffondersi di discipline mediche legate alle nuove scoperte sul DNA: la nutrigenomica, la nutrigenetica e la nutriceutica, che aprono prospettive innovative sul raggiungimento del benessere psico-fisico e sulla longevità.
Qualche tempo fa ho assistito ad una conferenza dal titolo Il segreto della longevità nella medicina antiaging su queste tematiche condotta dalla Dott.ssa Marzia Sucameli, nutrizionista clinica, biologa ed esperta in medicina preventiva e rigenerativa. Dall’incontro con lei è nata un’intervista su questi argomenti che ritengo essenziali nell’ottica di un approccio integrato e olistico alla cura della persona.
In questi ultimi tempi si parla sempre più spesso di nutrigenetica e nutrigenomica, cosa le differenzia?
La nutrigenetica è la scienza che si occupa di come un determinato cibo influisce sul DNA mentre la nutrigenomica studia la risposta o reazione dell’organismo ad un determinato alimento.
L’unione di queste due branche offre una nuova comprensione su come cambia l’espressione dei geni in base a come ci nutriamo, è ormai assodato che vi sia una corrispondenza biunivoca tra quello che ingeriamo e quello che siamo e viceversa.
Assistiamo quindi ad un cambio di paradigma epocale nella medicina tradizionale, il focus adesso è sull’alimentazione, sull’esercizio fisico e sul test del DNA che permette di dedurre le predisposizioni genetiche alle malattie e quindi di prevenirle.
Dott.ssa Sucameli, lei consiglia ai suoi pazienti di effettuare il test del DNA, qual è la sua utilità?
Il test del DNA è il check up di questa nuova medicina, rappresenta la fotografia dello stato attuale e futuro della persona e non cambia nel tempo infatti è sufficiente effettuare il test una sola volta. Permette di conoscere quali sono le intolleranze alimentari e la predisposizione ai processi infiammatori. La medicina preventiva non intende modificare il DNA ma modulare l’espressione dei geni. Cambiare l’espressione genica significa, per semplificare, che se ho il gene che predispone alle malattie cardiache e muto la sua espressione genica tramite un cibo faccio sì che quel gene non si esprima per quello per cui è nato. È come se in una stanza avessi una luce e potessi modificare l’intensità di questa luce accendendo o spegnendo un interruttore; il ruolo dell’interruttore è rappresentato dal cibo, infatti, con le molecole chimiche del cibo posso modulare i geni accendendoli o spegnendoli, quindi somministrando certi nutrienti per quel gene ho buone possibilità di gestirlo.
In cosa consiste il piano terapeutico successivo al test del DNA?
Il test del DNA racconta nel dettaglio sia la predisposizione genetica che lo stato di salute attuale della persona e permette di strutturare la terapia nutrizionale atta a prevenire le malattie a cui si è predisposti o a procrastinarle nel tempo. Si propone al paziente un’alimentazione specifica personalizzata, utilizzando i nutraceutici, una sorta di cibo-farmaco. Essi sono infatti i nuovi farmaci naturali costituiti dalle molecole del cibo, si utilizzano così i nutrienti o gli estratti dei nutrienti in capsula ovviamente sotto stretto controllo del medico antiaging.
La qualità e polarità dei pensieri incidono sulla salute psicofisica?
I pensieri e le emozioni producono una cascata biochimica nell’organismo poiché si traducono nella produzione di endorfine, serotonina, dopamina, per citarne alcune, quindi la gestione e l’elaborazione delle emozioni insieme alla dieta, all’esercizio fisico sono i fattori essenziali per il benessere psico-fisico.
La medicina olistica di cui mi occupo integra e unisce mente, corpo e cibo. Ritengo basilare inoltre spiegare ai pazienti che cos’è il ritmo circadiano, cosa significa nutrirsi in base agli orari di luce e buio, in che modo il proprio stato d’animo influenza l’assimilazione del cibo. È una medicina molto complessa ma è la medicina del futuro su cui bisogna puntare.
Il cambio di paradigma che offre la medicina antiaging come viene accolto dalla medicina allopatica?
Ci sono moltissime resistenze da parte della medicina ufficiale, sono convinta però che non bisogna scardinare la vecchia medicina ma affiancarla alla nuova, per questo occorre superare questa riluttanza della classe medica per il bene di tutti.
La medicina allopatica si basa sulla prescrizione di uno specifico farmaco per ogni preciso sintomo fisico, ciò purtroppo non fa che deresponsabilizzare la persona dal lavoro su se stessa e dalla consapevolizzazione di come vive, di come si nutre, di come gestisce le emozioni.
I farmaci non guariscono ma agiscono sui sintomi, esistono dei farmaci essenziali ma sono davvero pochi, in effetti il 90% di essi potrebbe facilmente essere eliminato. L’obiettivo della nuova medicina olistica è far diventare la persona terapeuta di se stessa sostituendo gradualmente i farmaci con i nutriceutici o con i probiotici.
Quindi nel futuro potremo avere meno bisogno dei medici?
Avremo bisogno di medici che insegnano questo nuovo tipo di medicina, non più del medico prescrittore ma di un medico che ti guida, come un amico che ti consiglia cosa è meglio per te. Il paradosso è che oggi si va dai medici quando già si è malati, in questa nuova medicina si va dal medico quando si è sani per prendersi cura di se stessi ancor prima che giunga la malattia.
Come definire questa nuova medicina?
Medicina preventiva, pre-degenerativa, antiaging, il cui motto è “se previeni non ti ammali e invecchi bene”. Essa è chiamata successful-aging (invecchiamento di successo) perché il nostro DNA è programmato per arrivare a 110/120 anni sani con prestazioni fisiche e mentali non dissimili da quelle di un sessantenne e adesso è possibile farlo.
Come è strutturato l’approccio terapeutico della medicina antiaging?
Nella prima visita che dura alcune ore, si inquadra il paziente nel suo micro cosmo, indagando a 360 gradi sugli stressor, sulle problematiche psicologiche e familiari, sui gusti e abitudini alimentari, sullo stile di vita. Si suggerisce quindi di effettuare il test del DNA, indispensabile per offrire un trattamento personalizzato al paziente, insieme al test del microbiota che permette di individuare quali sono i batteri che abitano l’intestino. Esso è chiamato anche secondo cervello per l’importanza della sua connessione e comunicazione con tutti gli altri organi. In base agli esiti di questi esami è possibile per il medico antiaging prescrivere la terapia personalizzata, non solo nutrizionale o nutraceutica ma anche centrata sulla modifica dello stile di vita, suggerendo il tipo di esercizio fisico adatto al paziente, su come gestire le emozioni, offrendo tecniche di respirazione e di meditazione, è a tutti gli effetti una medicina olistica.
È preferibile, dunque, una visione dell’uomo come un’unità complessa, piuttosto che la frammentazione delle sue parti affidate a varie specializzazioni?
Certo, la medicina olistica, dal greco olos – tutto, intero, non è una medicina che va per settori separati, com’è purtroppo quella attuale, ma considera l’essere umano un’unità indivisa. È fondamentale quindi che l’intervento terapeutico sia unitario perché solo questa può essere la strada per la vera guarigione. La medicina prescrittiva che è esistita fino ad adesso somministrando un farmaco elimina unicamente il sintomo ma non rende il paziente consapevole della necessità di lavorare su se stesso per ottenere un ottima salute psico-fisica senza avere bisogno di un farmaco esterno.
Nella sua esperienza con i pazienti, come viene accolto questo tipo di approccio?
In modo molto favorevole, infatti posso affermare di ottenere il 100% dei risultati, perché mi rendo conto che i pazienti comprendono sempre di più il ruolo dei farmaci considerati come xenobiotici cioè sostanze estranee, dei veleni da cui l’organismo deve difendersi. Inoltre questo metodo viene apprezzato perché rende il paziente padrone della sua vita e, vedendo i risultati del cambiamento di stile di vita sulla sua salute psico-fisica, è soddisfatto. Il successo è garantito.
Il cambiamento di paradigma della medicina antiaging rientra nella visione olistica dell’uomo che sta attraversando varie scienze. Essa è una visione dell’intero, della totalità che supera le settorialità e le divisioni a favore di una unione e integrazione di saperi prima separati. Così come nell’Universo tutto è collegato e interdipendente così le parti che compongono l’essere umano sono anch’esse interconnesse. È tempo di consapevolizzare come tutto accada dentro di noi e che possiamo influenzare con la coscienza la realtà, quindi anche la nostra salute psico-fisica divenendo terapeuti di noi stessi nel cammino esistenziale che è un susseguirsi di preziose fasi in un continuum temporale dai confini sfumati, in cui la consapevolezza del significato profondo delle esperienze accumulate negli anni ha un valore inestimabile in termini di acquisizione di saggezza, di leggerezza, di autoironia, per saper stare nel mondo sani e felici.