Ernst Kazirra era ricco, un bell’uomo che attraeva femmine, aveva figli già grandi che adorava, due ex-mogli con cui andava d’accordo, un’attività che rendeva denaro e gratificazioni personali.

Perché avrebbe dovuto uccidersi?

-Non ci sono criteri razionali che rendano credibile il suo suicidio - borbottai a Pietro.
Tuttavia non voglio essere in balia della ‘logica’, in alcune occasioni può portare fuori strada. Poi sei tu l’ispettore, hai voluto fare tu l’investigatore nella vita.
Bene, adesso indaga…

Pietro non mi rispose neanche. Di sicuro non aveva neanche sentito.

Il capitano Pietro Gibellini, forte di un permesso del Magistrato, ruppe i sigilli; entravamo di nuovo nell’appartamento e la cucina Molteni emise un piccolo rumore, un delicato saluto al sottoscritto.

-Dopo che sono andato via quanto tempo siete stati qui?
-Almeno altre due ore.
-I sigilli li avete messi subito?
-No, sono tornati la mattina successiva.
-Perché?
-Perché a quell’ora non è stato possibile farlo.
-E come avete chiuso?
-Con le chiavi.
-E chi ve le ha date le chiavi?
-Erano nella porta.
-Chi è uscito per ultimo?
-Io.
-E la mattina è entrato ancora qualcuno?
-No, è vietato dopo che sono terminati i rilievi.
-Quella notte dopo che tu sei uscito, non è entrato più nessuno?
-No, ho chiuso io a chiave.
-Mi piace questo dialogo: io sembro l’Ispettore che ha già capito tutto, e tu l’assassino.
-Sei un deficiente Arsenio.
-È per questo che sono qui. Per sperare di risolvere questo caso avete bisogno di un deficiente.

Pietro mi disse che doveva assentarsi e che sarebbe tornato verso le 18. Erano le 15.15 ed io mi trovai - finalmente - da solo in quella casa.

Ricominciai dalle casse con i libri.

L’abbondanza di volumi introvabili, il toccare la bellezza antica, mi evocò dei pomeriggi da bambino nel laboratorio della pasticceria di Egisto Naponi, uno dei più importanti pittori cremonesi del Novecento; in quel luogo adatto ai sogni avevo vissuto accerchiato da bastardelle in rame piene di cioccolato, gianduia, zabaione, creme, teglie di croissant e futuri telai di torte. Come in un mondo che non esiste, lì potevo assaggiare qualsiasi dolce desiderassi, perché: “Le pulsioni vanno premiate”, come diceva Egisto.

Nel terzo baule trovai il Rurale nella rara stampa del 1524: un'opera ispirata all'Arcadia di Sannazzaro, ma redatta in quattro edizioni diverse tra il 1521 e il 1535 della cui ultima edizione del 1535 l'unica copia esiste solo alla Biblioteca Casanatense a Roma, scritta da un mai troppo studiato autore cremonese, Ascanio Botta. Poi il De occulta philosophia di Agrippa von Nettesheim del 1533, lo Sphaera Mundi impresso da Battista Sessa a Venezia nel 1501, ma anche il rarissimo La Sfera di Gregorio Dati, poemetto del 1478-79 con riferimenti astrologici e in cui si parla dell'influsso dei pianeti nelle vicende umane.

Li sfogliavo con i guanti di quando andavo in Trivulziana; mi sarei immediatamente messo a fare l’inventario di quei libri. Mi accorsi che non avevo in mente il caso-Kazirra ma stavo godendo insieme a quei volumi da palpare. Mi ricomposi.

Cambiai guanti e ne misi un paio in lattice. Aiutato da una matita, cominciai ad aprire cassetti, trovando faldoni, un’agenda, una coppia di matrici di assegni, una borraccia inglese, una coppia di gemelli di antica fattura, un metro da sarto di legno dei primi del Novecento, fotografie in bianco e nero di vasi attici, una collezione di cacciaviti e pinze degli anni Quaranta, due riproduzioni in argento di un cinghiale e un setter inglese con una beccaccia in bocca.

Girovagando senza meta mi ritrovai di nuovo in cucina davanti alla Molteni. Era ancora più bella della prima volta, le finiture in ottone sembravano ancor più lucide. Rimasi colpito da uno sportello al livello del pavimento diverso dagli altri, con una piccola maniglia che sembrava essere stata messa in un secondo tempo. M’inginocchiai, si apriva solo di un centimetro, bloccato da qualcosa internamente. Cercai di far passare il mio indice in quel piccolo varco, facendolo scorrere il più possibile: sentii un gancino che stava dentro un occhiello. Dal mio magazzino ambulante - la tasca laterale sinistra dei miei calzoni, quella con la cerniera - feci uscire una graffetta che divaricai, trasformandola in un grimaldello bonsai. Lo sportello finalmente si aprì: proteggeva un vano molto profondo e largo e mi ci infilai con tutta la testa.

Intanto che ero dentro, al buio, sentii un rumore a due tonalità traducibile in una finestra che sbatte o in passi di qualcuno.

-Pietro? - dissi a voce alta.
-Pietroo? - ripetei senza avere risposta.
Andai all’ingresso. La porta era chiusa e non c’era nessuno.
La finestra sul cortile interno sbatté violentemente.

Rientrai nel vano basso della Molteni arricchito dalla piccola pila che tengo sempre nella solita tasca sinistra.

In fondo intravidi alcuni modesti libri di cucina tranne Escoffier e Brillat-Savarin. La luce fece brillare qualcosa alle spalle dei libri. Era un cofanetto tipico di una nota azienda di dolciumi cremonese, che negli anni ’70 riempiva le case degli italiani convincendoli con questo stratagemma orrendo, che era da importante averne uno.

Allungandomi riuscii a trascinarlo verso di me per una fettuccia, utilizzando l’unghia dell’indice e il polpastrello del medio. Intanto che uscivo da quell’antro, sentii ancora il rumore di prima. Soprattutto i due passi questa volta potevano essere solo due passi.

Andai ancora verso l’ingresso ma facendo il giro inverso, passando per la sala, camminando all’indietro.

-Non si è suicidato, è stato ucciso.

Una signora di circa settantacinque anni, vestita di nero e con due occhi duri, mi fissava senza mollare il mio sguardo. Il mio cuore batteva come quello di Franz Klammer alla fine della discesa libera di Kitzbühel.

-Signora lo sa che mi ha limato un paio d’anni di vita?
-Ne ha ancora tanti a disposizione.
-Ho capito, ma non è un buon motivo per consumarli.
-Io vi ho sempre odiato voi sbirri. Mi avete reso la vita un inferno.
-Mi spiace ed io non sono uno sbirro.
-E allora cosa fa qui?
-Sto dando una mano alle indagini.
-Che lavoro fa se non è un poliziotto?
-Lavoro in un ristorante.
-Un cameriere che indaga per aiutare la polizia? L’ho sempre detto che gli sbirri valgono nulla.
-Intanto sono un cuoco, e qui tra i due lo sbirro sembra lei: continua a farmi domande.
-Mi chiamo Liliana Visconti, ho quasi settantasette anni e sono stata la governante del signor Kazirra.
-Molto piacere Liliana, io sono Arsenio Ghelfi. E avevo conosciuto anni fa il signor Ernst.
-Si vede che non è un poliziotto. È gentile.
-Grazie. A proposito, se non ama gli sbirri, guardi che tra un po’ arriverà il capitano Gibellini.
-So chi è, gli ho parlato insieme qualche anno fa. Ora vado. Mi scusi se l’ho spaventata.
-Ci mancherebbe. Dove abita?
-Vicino a San Sigismondo, la chiesa più bella del mondo con i campi attorno.
-Non posso darle torto. Perché dice che è stato ucciso?
-Il signor Kazirra era un uomo che amava la vita. E aveva uno stile raffinato. Se anche in un momento di depressione avesse deciso un gesto del genere, non lo avrebbe fatto in casa sua, seduto alla scrivania come un contabile del Credito Agrario.
-E cosa avrebbe fatto?
-Qualcosa di mirabile, sfarzoso.
-Mi faccia un esempio.
-Volare dalle scogliere di Dover con la sua Harley-Davidson, avvelenarsi con uno Château Pétrus del 1947.
-Credo abbia ragione Liliana, è quello che penso anch’io fin dal primo momento.
-Lei non sembra neanche di questa epoca Arsenio, mi è simpatico. O perbacco, non mi ricordavo il tempo di aver detto a qualcuno che mi era simpatico!

La accompagnai alla porta. Faceva fatica a camminare ma aveva uno stile impeccabile lo stesso. Le diedi il braccio nello scendere le scale. Abbozzò un sorriso e svanì.

Quando arrivò Pietro non gli dissi nulla di Liliana. Non gli dissi nulla neanche del cofanetto che avevo trovato e che me lo sarei portato a casa per guardarlo con calma. Sarebbe rimasto all’oscuro anche del “furto” di La Sfera di Gregorio Dati, il libro che avevo sempre cercato. Sapevo che l’avrei restituito ma in quel momento mi sentii come Guglielmo Libri, il più grande ladro di volumi mai esistito, con un cognome che sembrerebbe inventato ed è invece vero.

-Credo che tu mi stia nascondendo qualcosa Arsenio – disse Pietro mentre mi lasciava a casa.
-Può essere, ma sono solo dettagli. Te ne parlerò quando li avrò collocati dentro questa storia.
-Tu non mi freghi Arsenio. Sei più vecchio di me ma io indago per professione, non per hobby.
-È proprio quest’approccio da professionisti che vi frega. Siete talmente dentro alle procedure, ai protocolli, alle convenzioni investigative, che spesso alla verità ci siete seduti sopra.
-Secondo te è improbabile che sia un suicidio?
-È più probabile che io sia Rita Hayworth.

Dopo cena cominciai a guardare dentro il cofanetto. Rimasi colpito da molte cose, in particolare da quattordici piccole buste contenenti brevi messaggi indirizzati a Kazirra. Uno molto originale era firmato da Liliana Visconti.