“Che cosa facciamo stasera Prof.? Quello che facciamo ogni sera Mignolo, tentare di conquistare il mondo?”
Il progetto dei due topolini bianchi, serie famosa di cartoni animati degli anni '90, rivincita fantastica dei topolini bianchi di laboratorio che sovvertono gli schemi sostituendosi al ruolo di cavie sperimentali vestendo invece i panni degli scienziati loro utilizzatori, è quello di conquistare il potere a livello globale.
Il potere, che da memoria d'uomo è bramato attraverso pressioni economiche e guerre oramai più commerciali che militari, si tenta di conquistarlo ad ogni costo anche con armi non convenzionali come quelle biologiche. Le armi biologiche sono diverse dalle armi convenzionali ed anche da quelle chimiche perché i germi essendo viventi hanno l'imprevedibilità della loro moltiplicazione, propagazione e mutazione genetica durante la loro diffusione a una popolazione sensibile.
Esistono armi biologiche di prima generazione, utilizzate in passato, che sono i patogeni naturali come il vaiolo, la peste, l'antrace, alcune tossine e quelle di seconda generazione, ossia i patogeni che possono essere migliorati dalla manipolazione genetica, rendendoli più resistenti o più virulenti. Recentemente, i nuovi agenti infettivi possono essere creati da una "evoluzione molecolare diretta a renderli chimerici" e che vanno a costituire le armi di terza generazione, con effetti potenzialmente devastanti per le popolazioni.
Si ha traccia dell’uso delle armi biologiche dal sesto secolo a.C. quando gli Assiri avvelenavano i pozzi dei nemici con la segale cornuta (che rilasciava pericolose tossine), così come gli arcieri Sciiti nel 400 a.C., che immergevano le punte delle frecce nel letame o nei cadaveri in decomposizione per infettare i nemici.
Un caso di guerra biologica documentata si ha nel 1347. Si racconta che per conquistare la fortezza genovese di Caffa sul Mar Nero, le truppe tartare, con le catapulte, lanciarono all’interno della fortezza cadaveri infetti da peste nera. Un altro caso fu quello in cui nel 1763 Sir Jeffrey Amhrest, governatore della Nuova Scozia contaminò con il virus del vaiolo le tribù pellerossa attraverso coperte infette, decimandoli. Stessa sorte toccò ai Maori che popolavano la Nuova Zelanda che morirono di sifilide contratta attraverso prostitute inviate dagli inglesi. Nel 1917 il barone Otto Von Rosen venne arrestato in Norvegia in possesso di spore di antrace destinate a infettare le truppe russe. (Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo)
Il Protocollo di Ginevra del 1925, vietò l’uso delle armi biologiche in guerra, tuttavia il protocollo non ne impediva la ricerca, lo sviluppo e la produzione. Dopo la Seconda guerra mondiale gli esperimenti sull'utilizzo delle armi biologiche sono stati avvolti dal segreto. Le squadre del colonnello giapponese Ishii, sperimentavano nel 1937 sui prigionieri di guerra, oltre a testare gli effetti di bombe cariche di bacilli o di pulci infestate. Nel 1942 una epidemia di Tularemia scoppiò nei ranghi dell'esercito tedesco e poi diffuse in tutto il Caucaso. Nel '46 gli Stati Uniti sciolsero il segreto sulle ricerche per l'utilizzo delle armi biologiche durante la seconda guerra. La scoperta di numerosi incidenti nei laboratori militari di Fort Detrick, il principale centro per la produzione di germi militarizzati, riuscì a portare allo scoperto il programma di guerra biologica americano. Nel 1969 il presidente Richard Nixon annunciò che aveva rinunciato all’uso delle armi biologiche. Nel 1975, oltre un centinaio di Paesi, tra cui le maggiori potenze, firmarono una Convenzione sul divieto di sviluppo, produzione e stoccaggio di armi biologiche, di tossine e della loro distruzione, il campo di applicazione del divieto sulle armi biologiche è definito nell'Art.1 dove si specifica che sono vietati. “Agenti microbiologici o biologici, tossine, qualunque sia la loro origine o metodo di produzione, dei tipi e nelle quantità che non hanno alcuna giustificazione per profilassi, protezione o altri scopi pacifici”.
Anche la Cina ha firmato nel 1984 la Convenzione. Purtroppo la differenza tra la ricerca offensiva e difensiva o per la realizzazione di vaccini e farmaci non mette al sicuro la popolazione mondiale da eventuali incidenti o attacchi terroristici o fuga accidentale di animali da esperimento che possono accadere nei pochi laboratori al mondo dove si conserva la banca dei patogeni più pericolosi esistenti. Oggi gli unici laboratori di ricerca biologica dove è conservata questa serie di patogeni ad altissima pericolosità classificati con la sigla P4 - livello di contenimento massimo - sono quelli dove avviene la lavorazione di materiale contenente agenti infettivi pericolosi ed esotici con possibile trasmissione aerea, associati a malattie umane potenzialmente letali per le quali non sono disponibili vaccini o terapie, di questi nel 2013 se ne elencavano 57 sparsi nel mondo di cui 2 in Italia. I laboratori di questo livello di criticità lavorano a contatto con Ebola, Nipah e la Crimea Congo, tutte malattie altamente trasmissibili e letali. Sulla rivista Nature del febbraio 2017, si descrive come sia essenziale alla base della costruzione di questi laboratori una politica di apertura e condivisione di ciò che viene fatto, globale, di rete tra strutture omologhe, data la estrema pericolosità di ciò che si tratta. Per Richard Ebright, biologo molecolare della Rutgers University del New Jersey, la pericolosità deriva anche dalla imperizia dei ricercatori, lo dimostra il caso cinese e lo dichiara affermando che “il virus della SARS è sfuggito dai centri di ricerca ad alto livello di Pechino più volte”.
Per questo quando sempre Nature dà notizia che a breve a Wuhan si aprirà uno tra i più importanti laboratori BSL4 si dice che sarà necessario che il mondo scientifico instauri collaborazioni con il laboratorio per aumentarne l'apertura. Molti membri dello staff del laboratorio di Wuhan si sono formati in un laboratorio BSL-4 di Lione e questo dà rassicurazione di ottima preparazione. Il laboratorio di Wuhan costato 300 milioni di yuan (44 milioni di dollari), è stato progettato e costruito con l'aiuto francese nell'ambito di un accordo di cooperazione del 2004 sulla prevenzione e il controllo delle malattie infettive emergenti. “Si concentrerà sul controllo delle malattie emergenti e sulla conservazione di virus purificati; inoltre, sarà un laboratorio di riferimento per l'Organizzazione Mondiale della Sanità” scrive Nature. Nel gennaio 2018 una delegazione di diplomatici americani preoccupati per le ricerche in corso sul Coronavirus in due laboratori di Wuhan (Wuhan Institute of Virology, il primo laboratorio cinese a ricevere il più alto livello di sicurezza internazionale, BSL-4), aveva mandato rapporti al dipartimento di Stato sollecitando aiuti per mettere in sicurezza le due strutture. Il problema riguardava anche il vicino Wuhan Center for Disease Control and Prevention, un altro laboratorio che invece operava al livello più basso di biosicurezza, il 2. Le ricerche in corso erano importanti, affermano i diplomatici, ma andavano condotte con maggior sicurezza. Lo ha rivelato il Washington Post in un articolo di Josh Rogin del 14 aprile 2020, che ha ottenuto i dispacci inviati alla capitale Usa. Ma proprio Wuhan è stata la città da cui la pandemia da SARS-Cov2 ha avuto inizio, viene riportato dal collega di Rogin, David Ignatius che la storia del Governo cinese indica che il virus ha fatto il “jump” dall'animale all'uomo, attraverso una persona diventata l'ospite nuovo del virus, il cui serbatoio naturale è il pipistrello, per essere stato al mercato del pesce contaminandosi con un animale mangiato crudo. Ma una ricerca di un esperto cinese pubblicata su Lancet a gennaio mostra che il primo paziente identificato il 1° dicembre 2019 non aveva avuto connessioni col mercato del pesce, come neanche 1/3 dei casi del primo grande cluster ed inoltre in quel mercato non si vendevano pipistrelli.
È strano quindi ritenere che tutto sia iniziato al Huanan seafood market sito ad appena 277 metri dal Wuhan Center for Disease Control & Prevention.