Quale potrebbe essere, ad un primo superficiale sguardo, la differenza sostanziale tra un giornalista ed uno storico? Forse soltanto che il primo, spessissimo, guarda al presente con un occhio al passato, mentre l'altro studia il passato per capire come esso si riverbera sull'oggi.
È, capisco, filosofia di grana grossa, ma forse serve per meglio comprendere l'origine dell'ennesima polemica che, in sede europea, vede contrapposte Italia e Germania. Quest'ultima, capofila dei rigoristi in economia e in finanza, insieme al vassallo olandese, sta avendo un approccio molto pratico sulle contromisure da adottare contro le devastazioni che il Coronavirus sta provocando nel nostro continente. E lo fa partendo da un innegabile merito, avere un sistema sanitario che, come si dice nei giornali, ''al momento di andare in stampa'', vanta numeri molto contenuti. Nel senso che contagiati e deceduti sono molti di meno (e soprattutto con migliori percentuali) rispetto ai dati della maggioranza degli Stati che fanno parte dell'UE.
I motivi sono facilmente individuabili, e non parliamo della tanto decantata efficienza germanica. Il primo dato evidente è che all'insorgere dell'emergenza, la Germania ha reagito con un comportamento omogeneo nei vari Lander, per effetto della centralizzazione del sistema sanitario. In sostanza, da Berlino partivano direttive che i responsabili di ciascun Land applicava senza manco pensare a deroghe o inasprimenti.
Insomma, da questo punto di vista, la Germania ha dato una chiara lezione all'Italia dove i presidenti delle giunte regionali (che qualcuno chiama governatori, per ragioni che a me sfuggono) hanno fatto di testa loro, come se ciascuno fosse l'unico depositario della migliore ricetta.
Poi, però, bisogna fermarsi con i complimenti perché, come recita una pubblicità, i tedeschi, in questa fase storica, amano vincere facile e, quindi, forti dei loro successi economici, dettano le linee europee in materia di aiuti comunitari ai singoli Stati, nelle varie forme che essi possono assumere.
Giusto? Può anche darsi perché, come in un certo senso sostengono i Paesi Bassi, l'Europa non può essere considerata il bancomat di quegli Stati che non sanno governare le loro finanze, accumulando debito pubblico e, di fatto, comprimendo i loro spazi operativi quando si tratta di fronteggiare un problema serio.
Ma, si potrebbe dire, è comodo parlare da un pulpito quando si è in una posizione di forza. conseguenza di solidità economica. D'altra parte questo processo, purtroppo, come è nella natura umana, agevola il meccanismo di rimozione dei propri ricordi quando in essi sono presenti elementi negativi.
L'editoriale di Die Welt, che ha invitato Angela Merkel a non cedere alle pressanti richieste italiane per aprire i rubinetti degli aiuti europei che finirebbero nelle tasche della mafia, non è soltanto la presa di posizione di un quotidiano che, da sempre, rappresenta la parte più conservatrice della società e dell'economia tedesca, quanto l'ennesimo capitolo di un processo autoreferenziale con il quale la Germania si accredita sempre e comunque del ruolo di solo depositario della verità.
Ma parliamo della stessa Germania che è diventata tale solo grazie alla benevolenza ed all'aiuto del resto dell'Europa quando s'è trattato di rinascere dopo la guerra?
In politica si ha troppo spesso la memoria corta, ma qui non è un episodico esprimere il proprio punto di vista, quanto il rinnovare la certezza di sentirsi capofila di un'Europa che, agli occhi dei tedeschi, deve essere simile alla Germania, in tutto e per tutto. Magari anche nella spregiudicatezza del proprio comportamento nelle aule dell'UE.
Quando Die Welt supplica il cancelliere di non mandare aiuti economici all'Italia stremata dal Coronavirus perché la mafia non aspetta altro per rimpinguare le proprie casse forse non dice una cosa sbagliata in assoluto perché il crimine organizzato sposta i propri interessi e quindi articola le proprie azioni laddove si manifesta la possibilità di fare soldi.
Ma l'aspetto più sconcertante dell'editoriale dell'alfiere del conservatorismo ''made in Germany'' è che si è messo in piedi un sillogismo offensivo, assimilando tutta l'Italia alla criminalità organizzata, quasi che ad ogni numero civico del nostro Paese ci sia la residenza di un mafioso, di un camorrista o di un 'ndranghetista.
Certamente, il crimine mafioso (nelle varie accezioni che assume in Italia) è un problema, contro il quale però il Paese ha reagito e sta conducendo una battaglia difficile, che però può essere vinto, anche a costo di sacrificare la vita di molti suoi figli.
La Germania, o almeno la parte più legata a certe regole che sono politiche, ma anche conseguenza di una educazione religiosa che si fonda su rigidi criteri a salvaguardia della comunità (la propria), negli ultimi anni è stata in prima fila quando si è trattato di accusare l'Italia di qualcosa o per qualcuno.
Quando, il 15 agosto del 2007, in una pizzeria di Duisburg la 'ndrangheta regolò con una strage (sei morti) contrasti sorti in Calabria, la Germania della perfezione, delle strade pulite, delle fioriere, degli automobilisti che si fermano agli stop e non conoscono l'uso del clacson, scoprì all'improvviso d'avere in casa un problema legato al crimine organizzato. Ma, piuttosto che ammettere un gravissimo peccato di sottovalutazione, aggredì verbalmente l'Italia accusandola di avere consentito al crimine organizzato mafioso di esportarsi all'estero.
In questo modo facendo un errore cruciale, quello di non capire di ammettere implicitamente di non avere mai pensato che anche la civilissima Germania potesse essere aggredita dal cancro del crimine mafioso. Ma, nonostante quella sottovalutazione, per la Germania noi restiamo il Paese della mafia, che, per sua natura, fa come l'acqua lasciata correre su un muro: si infiltra laddove vede una crepa, anche microscopica. Solo dopo Duisburg le autorità tedesche hanno cominciato a porsi degli interrogativi, ma sempre sotto l'ombrello salvifico della autoassoluzione.
Eh già, lo stesso processo che la Germania ha messo in piedi quando, a guerra finita, non ebbe il coraggio civile di ammettere che un intero Paese si era inchinato davanti alla dittatura nazista ed al suo massimo sacerdote. Seguendo pedissequamente lo stesso ragionamento, dovremmo ricordare continuamente alla Germania il suo passato ed il fatto che esso si stia rimanifestando nei Lander meno sviluppati economicamente, dove formazioni di estrema destra affermano una presenza che è a dir poco inquietante.
Ma noi italiani non siamo inclini alla generalizzazione, per una forma mentale che ci spinge sempre a cercare di consolidare posizioni non estremistiche, anche nei confronti di chi, come la Germania di oggi, ha ancora parecchi scheletri negli armadi e non fa nulla per tirarli fuori.