In questi tragici giorni, tra le mille cose è girato sul web un breve documentario dell’Istituto Luce sul bilancio dell’influenza del 1970: 13 milioni di infetti e 5.000 morti. Io in quel tempo ero studente di medicina, ma confesso di non ricordare nulla di straordinario. Cos’è cambiato oggi rispetto ad allora? Certamente il virus odierno è molto più aggressivo, i morti sono molti di più e il coinvolgimento della vita sociale è infinitamente maggiore, ma c’è dell’altro?
Sistemi entro sistemi: la rete della vita
Verso la metà del secolo scorso, molti illustri scienziati (fisici, chimici, biologi, antropologi, economisti, ecc.) notarono che non tutto ciò che osserviamo si può spiegare mediante l’analisi delle parti. Per esempio, la lucentezza di un diamante non si ritrova negli atomi di carbonio, né il pensiero o le emozioni si possono rintracciare nei singoli neuroni, perché sono proprietà che derivano dalle loro interazioni. Spostando l’attenzione dagli oggetti alle relazioni si è appreso che nulla esiste in modo isolato. Oggetti ed eventi sono tutti strettamente collegati l’un all’altro da una fitta rete di relazioni che Gregory Bateson chiama la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie, le commissioni e le istituzioni umane1.
La principale caratteristica di questa rete è la tendenza ad autoorganizzarsi in sistemi, cioè in strutture formate da elementi connessi da relazioni non-lineari. Ognuno di questi sistemi è poi parte di un sistema via via più ampio: molecole, cellule, tessuti, organismi viventi, organizzazioni sociali, ecosistemi. Da una prospettiva sistemica, quindi, il mondo in cui viviamo è un unico grande ecosistema multilivello (fisico, biologico e sociale) formato da reti auto-organizzate, i cui elementi costitutivi sono intimamente connessi e interdipendenti2.
Abbiamo poi appreso che per studiare il funzionamento dei sistemi non bastano i principi della scienza classica occorre aggiungere una nuova prospettiva, cosiddetta sistemica. Per esempio, una delle peculiarità dei sistemi è la loro capacità di autoregolarsi, ossia di tenersi in equilibrio grazie ad un complesso flusso di azioni e retroazioni che mantengono le variazioni dei diversi parametri entro limiti fisiologici. È in questo modo che la temperatura del corpo umano o analogamente quella della Terra sono contenute entro variazioni di pochi gradi. Tuttavia, data la presenza di relazioni non-lineari (che non rispondono cioè alla regola dose-risposta), in rari casi piccole variazioni possono amplificarsi in modo incontrollato, fino a generare eventi di proporzioni enormi. Il famoso effetto farfalla di Edward Lorenz3.
Tanto maggiori sono le connessioni tanto più efficiente e stabile è il sistema, perché i processi di azione e retroazione (feedback) consentano di vicariare le eventuali anomalie e di resistere alle perturbazioni, a patto però di non superare un certo valore critico, oltre il quale s’innescano effetti catastrofici. Cosa centra tutto questo con l’epidemia in corso?
Processi evolutivi e mutazioni
Gli organismi viventi sono stati i più studiati dal punto di vista sistemico. La complessa rete dei sistemi biologici si è auto-organizzata attraverso un lunghissimo percorso evolutivo, iniziato tre miliardi di anni fa e tuttora in corso. L’uomo, nonostante si consideri la specie previlegiata, non è che uno degli innumerevoli “prodotti” che si sono affermati nel corso di questo complesso processo d’interazione tra la vita e l’ambiente. Non dimentichiamoci che il nostro patrimonio genetico è simile a quello della maggior parte degli esseri viventi, compresi virus e batteri, senza i quali la nostra specie non durerebbe che qualche giorno.
In estrema sintesi, dagli albori della vita è in corso uno straordinario processo di specializzazione e d’integrazione conseguente all’incessante susseguirsi di piccole mutazioni, localizzate nel tempo e nello spazio. Si calcola che ogni giorno si verifichino sulla terra 1018 mutazioni, la maggior parte delle quali si esaurisce senza lasciare traccia. Solo una piccolissima proporzione si trasmette alle generazioni future grazie ai vantaggi che assicura alla riproduzione e alla sopravvivenza.
Le mutazioni di un virus, quindi, non sono un evento straordinario, ma oggi qualcosa è cambiato.
Negli ultimi decenni, grazie allo straordinario sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, i contatti tra le persone si sono moltiplicati a dismisura. Ciò comporta molti vantaggi per il nostro benessere fisico, psichico e sociale, ma nello stesso tempo ci rende più vulnerabili alle infezioni, perché in un ecosistema iperconnesso gli effetti della mutazione di un virus si possono diffondere rapidamente sull’intero pianeta. Nel ‘70 l’influenza ha impiegato 18 mesi per arrivare in l’Italia dalla Cina, il COVID-19 in poche settimane a raggiunto ogni angolo della Terra.
Dieci anni fa il noto fisico Laslo Barabasi, nel libro Lampi: la trama nascosta che guida la nostra vita, aveva in qualche modo ipotizzato quanto sta succedendo: fermare la prossima epidemia (diceva Laslo), non sarà un problema di carattere biologico poiché per sviluppare un vaccino occorrono mesi o anni, e a quel punto potrebbe non esserci più nessuno da curare. La difesa migliore a breve termine consiste nell’impedire la diffusione del virus e per realizzare questo obiettivo bisogna capire come si muovono le persone e limitarne gli spostamenti4.
In poche parole, dato che i virus pare siano capaci di evolvere più velocemente degli espedienti messi in atto per combatterli, in un mondo globalizzato i contatti umani sono diventati la principale minaccia per la diffusione delle malattie infettive. Così, l’unico modo per arrestare una pandemia (oltre che assistere i malati) sembra essere il “distanziamento sociale”, ossia l’interruzione temporanea della maggior parte dei contatti che avvengono tra le persone.
In futuro, per controllare le epidemie si dovrà, quindi, imparare a tracciare e governare i movimenti delle persone, senza interrompere i nodi cruciali della vita sociale. A questo fine si dovrà ricorrere ai cosiddetti “Big Data” e all’utilizzo di nuove tecnologie informatiche che sappiano commisurare le esigenze di salute con l’intrusione nella vita privata delle persone, facendo affidamento sul coinvolgimento e la responsabilità di cittadini ben informati, più che sulla forza dei divieti e delle sanzioni5. Non dimentichiamoci che Internet è nato cinquant’anni fa come risposta alla necessità di non interrompere le comunicazioni in caso di guerra, ed oggi si sta dimostrando una vera e propria ancora di salvataggio.
Le organizzazioni sociali
Anche le organizzazioni sociali (la famiglia, l’ospedale, la fabbrica, la città, lo stato) come gli organismi viventi possono essere esaminate da un punto di vista sistemico, dove però le reti non sono formate da strutture biologiche e da processi biochimici ma da strutture virtuali che si configurano attraverso l’interscambio di significati condivisi. Le interazioni tra le persone (quantunque diverse e libere di decidere in modo autonomo) sono quindi regolate da leggi di natura sistemica e possono quindi generare fenomeni collettivi capaci di rafforzarsi e di ingigantirsi.
Pensiamo, per esempio, a quanto è successo a Londra, nel 2000, il giorno dell’inaugurazione del Millenium Bridge. Il ponte era stato progettato fin nei minimi particolari ma non era stato previsto che le impercettibili oscillazioni laterali provocate dalle migliaia di persone che lo attraversavano avrebbero potuto sincronizzarsi e amplificarsi fino a provocare il cedimento del ponte se non fosse stato chiuso immediatamente.
Questi fenomeni sono difficili da prevedere e una volta avviati quasi impossibili da controllare anche perché, in genere, le decisioni delle persone non rispondono a criteri razionali e a ragionamenti che valutano la reale dimensione dei benefici e dei rischi connessi alle varie opzioni disponibili. Molto spesso, infatti, le scelte sono guidate dai sentimenti, dalle sensazioni, dalle passioni, dagli umori, dai ritmi della vita, più che dal ragionamento e dalla logica.
Per questo motivo è necessario gestire con alta professionalità l’informazione e la comunicazione. I sentimenti sono strumenti potenti e vanno maneggiati con molta cura. A livello individuale la paura è un ottimo meccanismo di difesa che ci aiuta a reagire di fronte ad un pericolo reale, ma a livello collettivo, quando non c’è un oggetto preciso verso cui incanalarla, produce effetti negativi sulle persone che possono sfociare in temibili ondate di panico, di ansia e di rabbia. Al contrario la speranza, la rassicurazione, la fiducia in un esito favorevole inducono effetti psicologici positivi che motivano le persone, soprattutto quelle più fragili e le aiutano a ridurre l’ansia e a superare situazioni contingenti di difficoltà e di sofferenza.
Cosa possiamo imparare da questa tragedia
Al momento ci troviamo in piena emergenza e giustamente tutto l’interesse è concentrato sul problema di contenere i contagi, curare i malati e piangere i morti. Tuttavia, per non dimenticarmi, annoto alcuni brevi considerazioni.
Non viviamo in un mondo ordinato, lineare, prevedibile, guidato dalle certezze della scienza e dalle meraviglie della tecnologia. Non tutto è sicuro. Il cigno nero è sempre dietro l’angolo e può arrivare quando meno ce l’aspettiamo. Mentre lo sgomento è ancora vivo i buoni propositi si sprecano e ogni volta, in relazione alla circostanza, ci concentriamo su quello che dovremo fare per scongiurare tragedie simili: riassetto idrogeologico, sicurezza dei ponti, affidabilità della rete ferroviaria, stabilità degli edifici scolastici, salvaguardia del servizio sanitario e via di questo passo. Poi la vita riprende il sopravvento e con essa i nostri consueti comportamenti.
Abbiamo imparato che per gestire un fenomeno complesso, unico ed imprevedibile come una pandemia non esiste una strategia predefinita che sia in grado di offrire sicure garanzie di successo. Certo, dall’esperienza si possono trarre utili indicazioni su cosa è bene fare e cosa si dovrebbe evitare, tenendo conto, però, che ciò che ignoriamo e molto più di ciò che sappiamo. I sistemi evolvono in modo poco prevedibile entro un complesso processo di azioni e reazioni che in funzione del contesto in cui agiscono imboccano strade diverse, dispiegano nuovi scenari, rivelano inedite minacce, scoprono nuove opportunità che bisogna saper cogliere e di cui è bene tener conto, agendo con flessibilità ed esplorando, con giudizio, nuovi possibili percorsi. Solo a posteriori gli accadimenti sembrano svolgersi in modo lineare, ma ciò è dovuto alla nostra naturale predisposizione a semplificare, a dare spiegazioni e soprattutto ad individuare i colpevoli, secondo una narrazione che non può che essere coerente con la nostra visione del mondo.
Abbiamo constatato il ruolo insostituibile dei medici e di tutto il personale sanitario a cui va unanime gratitudine. Ma abbiamo anche imparato che per arginare i contagi i migliori risultati si ottengono facendo leva sul grado di responsabilità delle persone. È straordinario constatare che da un giorno con l’altro 60 milioni di persone rinunciano, con poche eccezioni, alla propria libertà e si cimentano in una gara di solidarietà, di sostegno e di reciproca collaborazione. Su questo punto dovremo riflettere a lungo e studiare nuove modalità d’intervento, perché questa non sarà l’ultima epidemia di cui l’uomo dovrà occuparsi.
Dobbiamo dare un ordine di priorità alle nostre scelte. C’è una completa asimmetria tra i rischi che siamo disposti a correre e gli interventi che adottiamo per porvi rimedio. Basti pensare che il fumo di sigaretta uccide 83.000 persone ogni anno (più di 200 al giorno), nella completa indifferenza dei più. Ricordo che nell’elenco dei negozi aperti in corso di epidemia sono state inserite le tabaccherie.
Vi sono segnali chiari e continui di un’emergenza climatica destinata a sconvolgere l’intero pianeta e a pregiudicare la sopravvivenza della specie umana, ma sono ancora troppo flebili le iniziative messe in atto per scongiurare un pericolo immenso. Anche in questo caso, non contano solo i provvedimenti adottati dalle autorità. In un sistema iperconnesso il senso di responsabilità e i comportamenti delle persone possono fare la differenza. Non dimentichiamolo. Pensiamo a 60 milioni di persone che da un giorno con l’altro decidono di bere acqua del rubinetto anziché comprarla in bottiglie di plastica! La forza dei sistemi sta proprio nella capacità dei singoli elementi di creare onde d’urto a cui è gioco forza adattarsi.
Tutti quanti abbiamo constatato quanto sia prezioso avere un Servizio Sanitario ben funzionante, capace di assicurare a tutti i cittadini cure appropriate ed efficaci. Quando torneremo alla normalità, per carità, finanziamolo adeguatamente, ricordiamoci della ricerca, della medicina di comunità, delle persone più vulnerabili, ma soprattutto non sovraffolliamolo con prestazioni inutili e inappropriate. La medicina può salvare vite e fare affari. Ascoltiamo gli appelli della scienza e concentriamoci sul primo punto.
Abbiamo imparato che per stare bene non abbiamo bisogno di essere continuamente stimolati, sempre di corsa per fare di più, incalzati dagli eventi che non ci danno il tempo di riflettere. Inghiottiti da una macchina che corre sempre più veloce ma che non sappiamo dove ci porta. Improvvisamente abbiamo rallentato, abbiamo percepito una nuova dimensione del tempo, abbiamo scoperto che senza andare lontano ci sono tante piccole cose da fare. Abbiamo ridotto i consumi, abbiamo intuito quello di cui abbiamo davvero bisogno, abbiamo ritrovato il valore della solidarietà e della cooperazione e, nel momento dell’isolamento, abbiamo riscoperto la potenza delle relazioni umane. Non scordiamolo.
Bibliografia
1 Bateson G: Mente e natura. Adelphi Edizioni 1984.
2 Capra F, Luisi PL: Vita e natura. Una visione sistemica. Aboca, 2014.
3 Gleick J: Caos. La nascita di una nuova scienza. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 2000.
4 Barabasi AL: Lampi. La trama nascosta che guida la nostra vita. Einaudi 2011.
5 Harari YN: “The world after Coronavirus”. Financial Times, March 20 2020.