La rugiada celeste ha dischiuso le rose del deserto
La sabbia è intrisa di rossi invisibili fiori
I petali della stella d’Oriente ricoprono le acque specchiate nell’antica magia
Sulle otto porte della casa dei venti siedono le sorelle custodi del mondo
I gradini di ossidiana conducono alla caverna tempestata di pietre di luna
Le gemme attendono di sbocciare sull’albero della vita
Inizia la salita verso la foresta delle Driadi
Accanto al pozzo le foglie dell’autunno ricevono le lacrime di Demetra
L’alloro della Ninfa avvolge il Mausoleo della conoscenza
Aurora dalle dita di rosa torna a risplendere sulla dimora di Ebe dall’eterna giovinezza
Cangiante è il bosco di betulle
La donna dal volto gentile pronuncia il nome potente: la Divina Madre si mostra nella luce del mattino.
Parla con il linguaggio che non ha voce, che si perde nel mistero dei millenni.
Il profumo di gelsomini riempie l’aria del giorno e della notte.
Faccio ritorno a un mondo che ho veduto e ci appartiene, un mondo che possiamo ritrovare nel profondo del cuore dove, nel buio della memoria, sta arrotolato come antico serpente che attende di essere risvegliato.
Mi prendo tempo per ascoltare, mi prendo tempo per onorare, mi prendo tempo per entrare nel sempiterno spazio del mito, per immergermi nelle sue acque lustrali, nelle sue intricate suggestioni, per dissetarmi alla fonte di guarigione, per inoltrarmi nella parola che non ha inizio e non ha fine, per mettermi seduta a ricordare l’Antico Femminile.
Ricordo le scure notti che custodivano i segreti dei boschi nei quali rendevamo onore alla divinità della vita.
Lì abbiamo imparato a danzare al suono del respiro, a filare il canto che protegge e si fa invocazione, abbiamo disegnato i cerchi della spirale e tracciato le sacre linee del labirinto.
Con il ramo dell’antico albero della luna abbiamo dato inizio al rito.
Ricordo quando ci mettevamo in cammino alla ricerca di terre feconde, di acque non mortali. Ricordo la paura muta, agghiacciante che ci ha ferito il cuore quando nostra madre fu assalita mentre inerme beveva ad una pozza.
Il sole era una giovane donna che danzava con noi illuminando ogni oscurità con il suo corpo incandescente.
Avevamo paura del fuoco che squarcia le tenebre, ma abbiamo imparato ad essere forti per proteggere i piccoli, ad essere veloci per metterci in salvo.
Abbiamo presto imparato ad annusare il vento, a sentire i segnali del temporale, a riconoscere le tracce di ogni specie vivente.
Nelle bocche umane si scioglie per la prima volta il sapore materno del pane cotto con la forza del fuoco1.
Offrivamo sacrifici al tempo della semina e del raccolto per rendere omaggio alla Madre Terra, colei che crea tutto ciò che ha esistenza.
Lei dà la legge, è guardiana del bene, sul suo nome si pronunciano i giuramenti.
Ricordo quando chiedevamo alle Pleiadi se era tempo di arare.
Ricordo quando, issata sul tuo carro dalle ruote lucenti, trainato da candide tigri, solcavi i deserti. Al tuo passaggio le rose immortali si schiudevano come docili creature grate alla tua magnificenza.
Ti sei immersa nella gelida acqua della montagna per conquistare l’eterna giovinezza, la bellezza perenne.
Ricordo la magica cornucopia dalla quale usciva il nutrimento per tutti i figli della terra come il dolce latte della capra che ora brilla nel cielo del Capricorno.
Ricordo quando, fanciulle, entravamo nella caverna indossando la coda striata del gatto selvatico. Là abbiamo imparato i canti, le preghiere, i segreti.
Nel tempo eterno in cui gorgoni e centauri abitano le foreste posso incontrare la potente regina delle donne guerriere che custodisce la preziosa cintura.
Sento risuonare una preghiera:
“Grande signora Anahita datrice di vita e di gloria,
madre della sobrietà e benefattrice dell’umanità”
Quattro cavalli bianchi trainano il suo carro. La Dea della fertilità e dell’acqua domina il vento, la pioggia, le nubi e la grandine2.
Ricordo la Dea-sole, antenata di tutta l’umanità, colei che illumina il cielo e mostra allo specchio la sua bellezza ornata di splendidi gioielli.
Quando la Dea si rinchiuse nella caverna l’intero mondo, privato della sua luce, fu avvolto dalla tenebra oscura.
In un albero ai confini del deserto vive la Dea scritta nei geroglifici con il capo ornato da una piuma di struzzo. Sta a guardia delle porte dell’aldilà.
Ricordo la vergine alta e possente con il copricapo color dell’oro e un mantello ricamato adorno di pelli di lontra, ornata di orecchini e di un diadema tempestato di diamanti.
Ecco apparire il corteo di serpenti bianchi che segue la regina del mare mentre in sembianze di drago nuota nel suo liquido regno.
Ricordo quando la Dea del desiderio, in attesa del suo amato, si immergeva in un bagno di rugiada e una pioggia di ambra grigia ne cospargeva il delicato corpo.
Ricordo Andromeda, figlia di Cassiopea, che Atena pose fra le stelle nella costellazione che porta il suo nome.
Ricordo Anfitrite, che è l’oceano. Dalle grotte sottomarine che custodiscono i suoi preziosi gioielli la Dea esce per accudire gli animali degli abissi, pesci e mammiferi.
Ricordo la donna dalla testa di gatto, la Dea leonessa che con la sua forza rende fertili i terreni lungo il grande fiume.
La Dea alata traina la luna piena attraverso il cielo e la sua luce si diffonde per ogni dove.
Odo il suono dei tamburi che annunciano il tempo dell’inizio, il principio dei canti che evocano la saggezza, della danza che disegna il cerchio sul quale costruire la dimora della bellezza.
Posso sentire il profumo delle focacce d’orzo e miele deposte nella terra, il grembo di Gaia, colei che insegna alla prescelta la lingua per interpretare gli auspici.
I vapori che affiorano dal suo mondo sotterraneo attraverso una fenditura nella roccia si diffondono ad avvolgere la sacerdotessa.
Dal vuoto eterno Gaia uscì danzando e si avvolse in una sfera turbinante. Modellò montagne lungo la propria schiena, vallate negli anfratti della propria carne. Un ritmo di colline e di vaste pianure si snodò lungo i suoi contorni. Dal suo caldo umore trasse un flusso di pioggia gentile, che nutrì la sua superficie e generò la vita3.
Mi ricordo di quando l’Antica, con la sua lunga esperienza di incantesimi, distribuiva parole e piante di guarigione.
Ritrovo il suo potente lignaggio nel bianco elefante che assiste alle sacre nozze della principessa celebrate sulla segreta isola che fluttua tra i fiori del loto.
Ricordo il cerchio di magici noccioli dentro al quale potevamo ricevere il soffio dell’ispirazione e della fertilità.
Ricordo quando eravamo l’anima mundi, quando governavamo sulla luna e sulla stella della sera, Dee della luce simboleggiate dalla ruota a otto raggi.
Sento la delicata carezza dell’immortale sorriso di Afrodite mentre le Grazie la incoronano di mirto e la guidano lungo il sentiero cosparso di petali di rosa che profumano al tocco dei suoi piedi affusolati.
La via conduce fino al mare dove la Dea si immerge nei ritmi lunari della marea.
Riconosco l’erba artemisia che porta il tuo nome, divina Signora degli animali. Con le sue foglie nutri la madre che partorisce mentre le accarezzi il ventre con la tua voce melodiosa.
Due leoni fiancheggiano la Dea che se ne sta accovacciata come la grande Orsa o danza con il cervo. Al tocco delle sue mani la vita sboccia nell’erba, nelle foglie, nei frutti maturi.
Fu la Dea a rompere gli steli del lino dai fiori azzurri per insegnarci a tessere le fibre sottili come fili. Come abile artigiana disegnò la trama e l’ordito e ci insegnò con quali radici tingere quel tessuto.
“Io sono Colei che elargisce tutti i doni”: Pandora inclina il vaso di terracotta e il suo fluido contenuto inonda il pendio della collina.
Vi porto prodigio, curiosità, memoria. Vi porto saggezza. Vi porto giustizia compassionevole. Vi porto la solidarietà e i vincoli della comunità. Vi porto coraggio, forza, resistenza. Vi porto amorevole gentilezza per tutti gli esseri. Vi porto i semi della pace4.
Ogni cosa era in armonia, ogni parola risuonava nel respiro dell’universo e poi il Cielo piovve sulla Terra che era sua madre e fu come un diluvio, l’inizio del tempo delle armi, il taglio della forma antica del nostro sapere originario.
Noi possiamo ancora ascoltare la voce degli alberi, incontrare gli occhi della Grande Madre nelle pietre e negli animali?
Sappiamo affidarci alle ali del sogno per vedere il presente, per accogliere il richiamo delle Antenate che ci chiedono di continuare a raccontare?
C’è una storia che abbiamo udito, una canzone che abbiamo danzato intorno al fuoco cerimoniale, una commozione che possiamo di nuovo provare se ascoltiamo il nostro udito interiore e ritroviamo il piacere di immergerci nel suono del mito che è creazione rituale di uno spazio sacro in cui la parola si fa testimonianza e riconoscimento, ritmo e invocazione. Il mito accorcia le distanze spazio temporali e dischiude lo sguardo sulla visione che non ha durata.
Accolgo l’invito a continuare la narrazione e lascio fluire la memoria della parola che mi suggerisce un esordio:
Alla sommità del capo il serpente giace nel terzo occhio di Iside …
A cura di Save the Words®
1 Cfr. Cristina Legovich, Donna Sapiens, Fermento Editrice, Roma, 2010.
2 Luciana Percovich, Oscure Madri Splendenti, Venexia Editrice, Roma, 2007.
3 Charlene Spretnak, Le Dee perdute dell’antica Grecia, Venexia Editrice, Roma, 2010.
4 Id. Ibid.