“Nullus locus sine genio”, ovvero “nessun luogo è senza Genio”: così scriveva nel suo Commento all’Eneide Servio, relatore latino vissuto tra il IV e il V sec. d.C. Egli faceva riferimento ad un concetto che per i suoi contemporanei era scontato, ovvero quello del “Genius loci”, che si potrebbe tradurre “lo spirito, il nume tutelare” del luogo a cui si sta facendo riferimento. Questa è la traduzione letteraria; tuttavia, per capire pienamente cos’è il “genius loci”, è necessario analizzare anche i vari significati che questa espressione ha assunto nel corso del tempo, spaziando attraverso ambiti disciplinari diversi come la letteratura, la filosofia, la religione e, non ultime, l’architettura e l’antropologia.
Indubbiamente, il “genius loci” affonda le sue radici nell’idea classica della sacralità dei luoghi, che si ritrova sia nella cultura latina (come ben prova la citazione da Servio prima riportata) che in quella greca. In particolare, nell’antica Grecia si parlava del “Daimon”, il “demone” inteso con un significato ben diverso da quello odierno: esso era infatti uno spirito, presente in ogni essere umano con lo scopo di aiutarlo a compiere il suo destino. E qui ci si collega alla filosofia platonica, secondo la quale ogni persona viene al mondo perché è chiamata a farlo, essendole stato assegnato un compito ben preciso da portare a termine. Ma il “Daimon” non era solo associato alle persone, ma a tutti gli esseri dotati d’anima, e quindi anche ai luoghi: e qui si ritrova il collegamento con l’idea del “genius loci” presente nella cultura latina.
Per i Latini, il “genio” lo si poteva trovare sia nell’animo di ogni persona, che in quello di qualunque luogo, che fosse un monte, un bosco, un fiume o una città. In questo modo, si riconosceva ai luoghi una condizione del tutto analoga a quella degli esseri umani: essi quindi dovevano essere rispettati, amati e valorizzati come delle vere e proprie divinità, diventando personificazioni degli elementi naturali. Il “Genius loci” veniva individuato sia in luoghi naturali che in località edificate: la conditio sine qua non era solo quella che ad essi doveva essere riconosciuta una particolare “forza” e capacità di influenzare le persone che vi abitavano.
In seguito, con la diffusione del Cristianesimo, il culto rivolto a divinità pagane ed entità soprannaturali quale poteva essere quella del “genius loci” assume ovviamente altre sembianze, senza però mai scomparire definitivamente. Rimane sempre immutata, in tutte le culture ed in tutti i periodi storici, la necessità, da parte dell’uomo, di personificare i luoghi o gli elementi della natura. Andando avanti nel tempo, si arriva così al Romanticismo in cui si riscopre il fascino del paesaggio e, soprattutto, l’idea che ogni luogo abbia delle caratteristiche ben determinate, che è necessario scoprire e valorizzare per entrare pienamente in sintonia con esso. L’esperienza romantica del “Grand tour” è una dimostrazione concreta di questo tentativo di riscoprire il “carattere” proprio di ogni luogo, in questo caso attraverso lo studio delle tradizioni e della cultura che caratterizzavano i vari Paesi che si visitavano.
E proprio l’accezione romantica del “Genius loci” ci aiuta a capire il suo significato al giorno d’oggi, in cui questa espressione viene usata soprattutto in campo architettonico. In particolare, Genius loci. Paesaggio Ambiente Architettura è il titolo di un importante trattato pubblicato nel 1979 e scritto dall’architetto Christian Norberg-Schultz. Per lui, il “genius loci” è “l’essenza di un luogo”, il suo carattere ambientale, che l’architetto, il progettista, l’ingegnere o chi per loro devono conoscere e rispettare, per potevi costruire in maniera armonica e senza stravolgere le caratteristiche di quel luogo. Questa è una teoria architettonica che attualmente, in tempi di speculazioni edilizie molto spesso insensate, viene ripresa con grande forza nella convinzione che, parafrasando il famoso archittetto Frank Lloyd Wright, “quando si costruisce una casa quella casa non deve mai essere sulla collina, ma deve essere, invece, della collina, appartenerle” (concetto che viene perfettamente esemplificato da una delle sue opere più famose, La casa sulla cascata).
Se quindi, come riconosce anche l’architettura, ogni luogo ha una sua “anima”, ovvero delle caratteristiche ben precise che devono essere conosciute e rispettate prima di pianificare qualsiasi intervento su di esso, è anche vero che ogni luogo, proprio in virtù di quelle sue caratteristiche intrinseche, è capace di influenzare gli uomini che, nel corso dei secoli, si trovano ad abitarvi. E si arriva così ad uno degli assunti fondamentali dell’antropologia: un uomo che vive in certi luoghi, con il passare del tempo ne assume i caratteri, diventa simile ad essi. Ogni luogo va quindi considerato non solo nel significato “spaziale” del termine, ma come un insieme inestricabile di elementi diversi, che appartengono sia alla sfera fisica e geografica, che a quella storica e culturale. Tutti questi elementi sono visibili e riconoscibili a chiunque si trovi a vivere in quel determinato luogo: naturalmente, ognuno saprà poi riconoscerli ed interpretarli anche a seconda della sua particolare sensibilità e delle sue capacità.
Un esempio tra tanti che si può fare è quello della Valtiberina, territorio incastonato tra l’Umbria e la Toscana, ricco di storia e di cultura. È indubbio che il suo “genius loci” sia stato sempre molto ricco e complesso, rendendola così un affascinante “teatro” in cui si sono mossi nel corso dei secoli tanti grandi attori, molti dei quali hanno saputo perfettamente cogliere le sollecitazioni che questa valle ha saputo offrire loro. Sono molti gli artisti originari di questo luogo, o semplicemente che vi hanno abitato, che con il loro lavoro hanno dimostrato di aver perfettamente colto lo “spirito” di questo fecondo territorio.
Ripercorrere la loro vita e i loro contributi permetterà di compiere un viaggio indietro nel tempo e mostrerà quanto il “Genius loci” della Valtiberina sia stato davvero in grado di influenzare eccelse personalità della letteratura, della pittura e della scultura. Questi, partendo da questa terra, sono davvero riusciti ad andare e a “cantare” per il mondo, come direbbe il grande poeta Pablo Neruda, riferendosi ai territori in cui era cresciuto e che tanto sono presenti nella sua opera: “Chi non conosce il bosco cileno non conosce questo pianeta. Da quelle terre, da quel fango, da quel silenzio io sono riuscito ad andare, a cantare per il mondo”.
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