Scrivo una tesi su Vincent van Gogh, lo immagino perso nella provincia olandese. Critico il rapporto fra il genio e la follia senza troppi complimenti. Raggiungo Dario a Torino ma voglio visitare la facoltà di antropologia. La sera fumiamo hashish molto potente e guardiamo un film cult dopo l’altro. In un’occasione ridiamo fino a strabuzzare gli occhi per il lancio del gatto di sua sorella o per le bestemmie di suo cognato che vuole dormire. Fumo e penso d’essere sereno, sono innamorato d’una donna giovane e vergine. Fumo per celebrare la fine dell’estate più calda di sempre. Fumo ai concerti in cui abbiamo dato il meglio e allo splendore della nostra giovinezza. Fumo per capire il mondo e i suoi ingranaggi reconditi. Fumo perché sottovaluto il dolore dell’ennesimo abbandono di mia madre. A un certo punto ho fumato troppo e vedo cimici ovunque, le strade che si scambiano di posizione, bottiglie d’acqua avvelenate, politici criminali, la schiavitù dell’uomo, colombi che s’innalzano in volo a celebrare il mio passaggio, insetti raccogliersi in sciami anomali accanto al mio corpo composto nella posizione del loto. Vedo agenti segreti invisibili tornati dal futuro per iniettarmi dosi crescenti d’eroina e suicidarmi d’overdose. Non passerò ad antropologia e non conoscerò mai di persona veri sciamani.
Mia madre ch’era a cento chilometri corre a prendermi dove sono, seduto su un marciapiede in qualche punto sperduto della provincia di Torino, dopo una marcia forzata di chilometri, ch’è stata una fuga dalla città magica per eccellenza, con indosso piaghe profonde ai piedi rivestiti da anfibi modaioli. Non la vedo da tre mesi e per identificarla le intimo di mostrarmi la cicatrice dei cesarei. Povera donna…
Il primo filosofo a visitarmi è anche psichiatra. Rincara la dose e ho visioni lisergiche sui rapporti fra alieni, chiesa e mafia. Sulla mia testa appare l’ologramma di un disco volante e poi una piramide. Altra roba fluorescente in toni di verde, arancione, blu, rosso.
Esorcizzo mia madre in growl col più banale dei vade retro satana e a posteriori odio l’inconscio stuprato dal catechismo. L’agnizione del cadavere manicheo costerà altri infiniti viaggi. Era il settembre del ‘03.
Donatella, Marco ed Elena sono i membri attuali della mia equipe medica e di supporto. Rispettivamente una psicofarmacologa di levatura internazionale, l’unico psichiatra del servizio pubblico italiano, un’educatrice professionale. Marco mi segue dai fatti del ’07. Dopo che ebbi imboccato l’autostrada contromano il giudice ritenne opportuno appiopparmi una misura di sicurezza che comprendeva l’obbligo di controlli periodici da uno specialista in psichiatria. Donatella mi segue da quando i miei ottimi genitori vennero a conoscenza d’una dottoressa che poteva salvarmi la vita. Elena m’è stata incatenata ai piedi da Marco, quando in seguito a una lunga depressione ho trovato il coraggio di confessare ossessivi istinti suicidari.
Sono nelle mani di persone estremamente colte, che non hanno difficoltà a riconoscere la lucidità e rispettabilità delle mie seppur estreme posizioni. Nel corso degli anni ci siamo insegnati a vicenda svariate prospettive sugli argomenti più disparati. Tutti loro coltivano interessi artistici: Donatella è un’abile pittrice e un’ottima scrittrice, Marco è appassionato di pittura e un fotografo sensibile, Elena è un’attrice teatrale.
Donatella, Marco ed Elena hanno ascoltato più volte i miei argomenti sprezzanti e avversi a una società in cui il mostro della psichiatria svolge un ruolo così preponderante. Conoscono per filo e per segno la mia posizione epistemologica, la religiosità anarchica che vede la legge morale dominare l’uomo, composto della stessa materia del resto dell’Universo. Si potrebbe pensare che queste persone siano necessariamente un freno e un vincolo all’espressione dell’individualità, ma non compiono un lavoro indiscriminato. Posti in fronte a un ingegno capace di svelare le menzogne del Circo dei Clan confermano la verità con estrema onestà intellettuale.
Quando, per esempio, dissi a Elena che mi rendevo conto del significato del suo lavoro, che la sapevo costretta nel tentativo di rendermi un membro omologato e non pericoloso della società, che il suo ruolo era quello di trascinarmi lungo la strada protetta dell’inclusione, ma che ciononostante ero conscio di avere ragione quando contestavo l’umana routine e campavo stigmatizzato e in disparte, lei non poté far altro che confermare tutto in blocco. Bravo, non avrei saputo dirlo meglio.
Mi sentii tradito da Marco quando abbozzò un tentativo di cambiare la natura del decorso del disturbo per giustificare l’incompetenza dei suoi colleghi dell’ospedale. Dopo averlo posto in fronte all’evidenza della maestria di Donatella nel farmi planare dalla fase espansiva senza rimbalzi depressivi, s’arrampicò sugli specchi e fece muro per gl’inetti, pigri e antiquati medici che in passato mi avevano quasi ucciso. Donatella è capace di dirmi da strega a stregone: prosegui pure coi tuoi esperimenti sciamanici ma resta in questo stato fino al prossimo controllo … risulta però altrettanto in grado di iniettarmi aripiprazolo con l’inganno, se la testa glielo suggerisce.
La narrazione della cattura d’un dissidente da parte della milizia psichiatrica possiede tutti gli elementi della spy story, compresi lunghi viaggi, amnesie, polilalia, indagini, doppio e triplo gioco, segreti di stati, continenti, Circo dei Clan, crittografie, qualche attentato più o meno consapevole, un paio che non riescono a sembrare incidenti né frutto di psicosi, allucinazione, illuminazione. Eugenetica forse.
Se non m’innamoro in modo violento li vedo ogni sei mesi, ogni mese e mezzo, ogni due. Altrimenti vado a vivere con loro.
Donatella ha rilasciato un’intervista a National Geographic Channel in cui parla della ricerca che coordina all’università di Pisa: hanno scoperto che amore e follia interessano le stesse aree cerebrali e producono reazioni identiche.
Love will tear us apart, again.