Secondo Victor Hugo: “Morire non è nulla; non vivere è spaventoso”.
Eppure la paura della morte è un’angoscia che accomuna tutti gli esseri umani, proprio in quanto esseri dotati di autocoscienza, consapevoli dello stato di finitudine della vita umana. Ne consegue la paura di perdere la propria vita e quella dei propri cari, soprattutto in alcune culture secondo le quali l’esistenza che si sta vivendo è l’unica occasione a disposizione. Ma anche laddove si prevedesse un’altra possibilità di passaggio come nel film K-PAX - Da un altro mondo il consiglio finale del regista Iain Softley è emblematico della consapevolezza di una fine inevitabile:
Voglio dirti una cosa, Mark. Una cosa che ancora non sai. Noi k-paxiani abbiamo vissuto abbastanza da averlo già scoperto. L'Universo si espanderà, poi tornerà a collassare su se stesso e poi si espanderà di nuovo, ripetendo questo processo all'infinito. Ciò che non sai è che, quando l'Universo si espanderà di nuovo, tutto quanto sarà come adesso. Qualunque errore commetterai in questa vita, lo ripeterai nel tuo prossimo passaggio. Ogni errore che commetterai sopravvivrà ancora e ancora, per sempre. Quindi il consiglio che ti do è di fare le scelte giuste questa volta, perché questa volta è tutto ciò che hai.
Anche tra coloro che hanno la coscienza di un altro mondo o di un’altra possibile esistenza, la paura del passaggio è sempre forte. Salvo nelle culture antiche dove i Riti di passaggio aiutavano ad oltrepassare i lutti e le paure di lasciare il corpo, o in alcuni Paesi del mondo dove la società accompagna l’individuo nei momenti traumatici della fine, questa paura raggiunge tutti gli uomini, soprattutto nella società “post - moderna” che Bauman definiva “liquida”, proprio per l’assenza di punti di riferimento tradizionali. Nella nostra epoca, fondata sull’immagine, il successo e la bellezza, sul desiderio dell’eterna giovinezza, c’è poco spazio per l’invecchiamento e ancora meno per affrontare il trapasso.
In certi casi questa paura può diventare ossessione divenendo un vero e proprio disturbo psicologico, che prende il nome di “tanatofobia”, (dal greco “thanatos”, morte, e “phobos”, paura) che indica una morbosa paura sia della morte, sia della propria mortalità.
La paura della morte è un’angoscia atavica, una condizione che accompagna ogni individuo da subito, già dopo la nascita. Come già sappiamo al momento della fecondazione, l’essere umano riceve il 50% della catena genetica di ognuno dei genitori con una trasmissione che retrocede di ben 4 generazioni; assorbe anche tutte le loro emozioni, gli schemi e i modelli che entrano, tutti, a fare parte della memoria cellulare che dà vita al DNA. Ciò significa che il DNA è già programmato sia nel suo livello biochimico sia su tutti gli altri livelli di frequenza. Successivamente, quando il bambino viene al mondo e fino all’età di 6 anni, tali informazioni vengono trasferite al cervello fisico mantenendo, se non addirittura amplificando, le credenze acquisite. Fra queste la più devastante è indubbiamente la “paura di morire” che si può trasformare con facilità in “paura di vivere”, tipica fobia di chi soffre di depressione. La malattia serve, anche inconsciamente, ad amplificare questo ricordo. La morte dei nonni, dei genitori o dei conoscenti, continua tacitamente e subdolamente a lavorare per tenere saldo il “tu devi morire”. Socrate affermava: “La morte, come mi sembra, altro non è che la separazione di due cose, l’anima e il corpo, l’una dall’altra” e sosteneva pure che la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni. Si può essere morti mentre si è in vita e lo si è tutte le volte che non si vive all’interno della frequenza dell’amore, quando non si hanno più stimoli, più sogni, più gioia.
Quindi la morte è già presente nell’uomo lungo tutto il percorso della vita. Occorre intervenire per trasformare questa frequenza e questo ricordo cellulare da “devi morire” a “io sono immortale”. Questo non significa affatto ipotizzare l’immortalità fisica, equivale piuttosto al pensare di vivere più a lungo possibile senza la paura della morte, senza malattie mortali e con l’unica certezza del “qui e ora” sperimentato e inteso con intensità e fede. Bisogna trasformare le programmazioni inconsce negative, tramutandole in certezze positive. Quante volte si va dal medico dopo i 50 anni per lamentarsi degli acciacchi dell’età? È come se si istillasse nell’anziano un atteggiamento rinunciatario, di sconforto, che ne penalizza l’intraprendenza, la goliardia, la joie de vivre.
Potrebbe sembrare che, a un certo punto, una forma di spietata e indesiderata senilità piombi addosso all’individuo, rafforzando con implacabile cinismo la certezza di dover morire. Avere paura della morte è assolutamente normale, totalmente e comprensibilmente umano. Si ha paura di tutto ciò che non si conosce e, d’altronde, dalla morte, nessuno mai è tornato a riferirci cosa avvenga, cosa esista o non esista. È utile e saggio assumere un atteggiamento di aperto, voluto e pacifico “contrasto”, che conduca verso l’accettazione di questo “mostro” che angoscia l’essere mortale: se si persegue psicologicamente uno schema comportamentale di rifiuto e rigetto, si otterrà l’effetto diametralmente opposto. Il rinforzo energetico.
Si tratta allora di accettare questa paura e creare le condizioni, attraverso la Kinesiologia, per trasformare il disagio depotenziante di aver paura di morire in convinzione costruttiva di aver coraggio di accettare la propria mortalità, sapendo che di fatto non si muore ma ci si trasforma, per proiettarsi nella realtà di un’altra dimensione. Bisogna, però, prefiggersi l’obiettivo di raggiungere e mantenere uno stato di salute soddisfacente su ogni livello vibrazionale, migliore qualità di vita che poi andrebbe a ripercuotersi inevitabilmente sulla sfera biologica e fisica.
Una massima di Martin Luther King diceva:
Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c’era nessuno.
È auspicabile, quindi, invecchiare attribuendo vita agli anni, cancellando la paura di morire e con questa tutte le frequenze presenti nel nostro DNA, ad ogni livello cellulare, capaci di alterare il nostro benessere psicofisico.
La longevità era un tema trattato nei Testi Sacri, ci sono personaggi biblici come Matusalemme che hanno vissuto molto a lungo, ma anche in tempi molto più recenti, esattamente nel 1930, una notizia pubblicata dal New York Times documenta attraverso la Chengdu University che il signor Li Ching Yuen ha vissuto per ben 256 anni. Non si tratta di una leggenda metropolitana ma è un dato della realtà documentata. La possibilità di raggiungere una longevità così elevata avvalora l’ipotesi di poter riprogrammare la memoria cellulare, il DNA di ogni individuo. È chiaro che questa ricerca nasce dalla volontà di cancellare la paura di morire ma, soprattutto, dalla volontà di comprendere in che modo riprogrammare la doppia elica del DNA e come mantenere il più possibile integri i telomeri, elementi chiave riconosciuti dalla scienza per incrementare la longevità dell’essere umano.
Grazie alla Kinesiologia e alle tecniche vibrazionali di cui dispone, si conosce ormai come e dove intervenire. Quando si tratta di angosce, di emozioni angoscianti, non è facile reagire, ma con pazienza, fiducia e uno spirito di scoperta che rende l’uomo sempre giovane, è possibile fare miracoli, intanto partendo da se stessi e poi facendosi accompagnare in questo cammino di de-programmazione verso la via della serenità, dell’armonia e della gioia.