Non amo il mese d’agosto, mese di fuoco, regno del potente Leone e della canicola, mese di esteriorità esagerata, di sensazioni gravide di ostentata fisicità, in una sorta di rincorsa verso il finis terrae dell’estate che non lascia tregua, che deve essere consumata fino allo stremo delle forze.
Un mese di pienezza ridondante che a fatica conosce la mezz’ombra, straripante di colori eccessivi, impregnato di odori squarciati dal sole e madidi di frutti troppo maturi.
Voci troppo forti si chiamano dal proscenio di quel teatro nel quale si mette in scena la quotidianità senza importanza che gioca a farsi immortale ed infinita: un’eterna, intramontabile vacanza.
Il caldo troppo bruciante, dominio incontrastato del sole, fa dimenticare la luce gentile e pacata che si sprigiona dai tramonti di giugno e ancora sono lontane le deliziose aurore settembrine.
Un imperlato umidore percorre il corpo che fatica a conservare il ritmo pacato del respiro e pare non sia concesso stare nella quiete lieve accompagnata dalla brezza di certi pomeriggi che hanno dato l’annuncio del primo tepore d’estate.
Si prova la sensazione intensa di dover partecipare ad una gara senza altra posta che non sia la capacità di resistere all’incalzante ritmo del gioco.
Si sente il bisogno di essere avvolti dalla tenerezza dell’ombra mentre pare che il sole non voglia lasciare spazio all’apparire ristoratore degli argentei raggi della luna.
Una lunga sosta su di un mare senza vento che ci rimanda l’odore di tempi dilatati, di sguardi lanciati all’inseguimento di invisibili velieri.
Ritorna la memoria di castelli di sabbia abbattuti da un’onda inaspettata: immagine del fuggevole sogno di una notte di piena estate.
Difficile trovare misura e sfumature, trovare silenzio in questo mese dove tutto si dichiara in una musica a volume assordante: il trionfo del troppo, la negazione di quel “vivi nascostamente” tanto caro all’antica sapienza dei Greci.
Il fuoco che governa l’agosto scatena stati d’animo sopiti, alimenta la conflittualità e, se si osservano gli antichi rituali dedicati a figure mitiche celebrate in questo mese, si potrà cogliere anche una certa competizione tra divino maschile e divinità femminili, una sorta di scontro tra il potere del fuoco fortemente maschile, bellicoso e un femminile molto legato al “materno”, all’amore “generante”.
È il trionfante dio della luce quello celebrato dai Celti il primo giorno d’agosto ed è il Sole patrio (Sol indiges) che si onorava il 9 del mese nella Roma imperiale, mentre il 12 si facevano sacrifici ad Ercole invitto a ricordo della sua mitica venuta nel Lazio come liberatore.
Le Feste del 13, celebrate sull’Aventino, erano dedicate a Diana seguendo un culto locale che identificava la dea con la Luna in cielo, con Diana in terra, con Proserpina agli Inferi.
In questa occasione le donne, che durante l’anno appendevano alle pareti del santuario tavolette votive e consacravano le proprie vesti alla Dea, la invocavano soprattutto come Lucina protettrice dei parti.
Il 19 era giorno nel quale si rendeva omaggio a Venere con Feste campestri.
Un mese dunque di forte sacralità testimoniata da questi ancestrali riti nei quali la visione politeista era espressione del legame profondo con i cicli della Natura.
Nel tempo, come sempre è accaduto, le divinità pagane sono state sostituite dai santi cristiani sui quali si sono trasferite le prerogative degli antichi dei.
Così non sarà difficile vedere il legame con i culti solari nella più nota festa agostana dedicata a san Lorenzo, impregnata del calore e del fuoco del suo martirio.
Nelle leggende che ruotano attorno a san Rocco che la Chiesa celebra il giorno 16 si ritrovano i caratteri e le attribuzioni ereditate dal dio romano Vertumno che determinava i cicli stagionali e agricoli e faceva maturare i frutti.
Lo si festeggiava il giorno 13 sull’Aventino, in un bosco di lauri al centro del quale vi era un piccolo tempio.
Lo stesso culmine del mese rappresentato dalle Feriae di Augusto è stato associato dalla cristianizzazione all’assunzione della Madonna in cielo, una ricorrenza che si innesta certamente sul substrato precristiano come è confermato dal fatto che nel vicino Oriente in questo stesso periodo si festeggiava una Grande Madre, la dea siriana Atargatis, metà donna e metà pesce considerata la patrona della fertilità e dei lavori dei campi1.
Molte sono in questo periodo le Feste consacrate alla vergine Maria nelle sue diverse attribuzioni in un sincretismo che vede intrecciarsi Iside, Cibele e Cerere con la Regina coeli e la Stella maris.
Poiché non c’è luce senza buio, Agosto è anche tempo di mirabili cieli stellati e la notte di san Lorenzo, il 10 del mese, è proprio quella in cui le stelle hanno il loro trionfo poiché tutti guardiamo in alto per non farci sfuggire quelle cadenti: frammenti incandescenti del cielo che sembra inviare il suo fuoco divino attraverso i loro luminosi corpi filanti.
Se, vedendo una stella che attraversa il cielo, esprimiamo il desiderio di creare un’altra stella in una immaginaria visione astronomica, allora ci verrà data la possibilità di vedere ciò che è invisibile, di tornare a navigare nella materia fluida e luminosa della quale siamo fatti. Figli delle stelle torneremo a conoscere il segreto di mondi inesplorati che soltanto la fantasia e la curiosità potranno svelare.
Saremo coinvolti in un magico gioco nel quale riceveremo in dono racconti mai uditi. Quello che ci verrà rivelato dovremo narrarlo ad alta voce perché possa essere ascoltato dagli esseri della notte. Sarà il racconto a dare il nome alla nuova stella nata dalle parole.
Potremo così conoscere la storia di Galatea che brilla proprio accanto alla coda della Grande Orsa. È avvolta da una trasparente chiarità profumata di gelsomino, come un velo lieve che protegge questo luogo miracoloso nel quale vivono gli elefanti bianchi.
La grande stella luminosa che si accende ancor prima che il buio della notte si faccia denso è Felina, la stella dei gatti felici.
Abitano qui i nostri preziosi amici, compagni amabili di solitudini e abbandoni, che credevamo di avere perduto per sempre. Tante volte li abbiamo osservati nel loro incedere fatto di circospezione e di abilità o nel loro sonno pacifico e pieno d’incanto. Da loro abbiamo imparato la saggezza coraggiosa ed ora possiamo tornare ad incontrarli.
Custodi di antichi templi e nobili palazzi guardano il mondo da un tetto sicuro, vicino al cielo, scaldati dalla Luna. Ci guardano, ci ascoltano e ci dicono del legame intenso tra gli esseri che sanno affidarsi al cuore, che comprendono e donano con affetto infinito.
La stella di Sherazade che appare per mille e una notte mostra la meraviglia delle sue spiagge ricoperte di grosse perle. Una sorgente di ambra grezza, per il forte calore del sole, scorre come cera e scende fino alla riva del mare. Quando il sole batte tutto è impregnato del suo odore simile a muschio.
E si potrà scoprire la stella della Fenice che accoglie mitici animali come l’unicorno e sulla cui superficie luminosissima sfilano gli uccelli del paradiso.
Sul piccolo pianeta di Innopoli abita una popolazione perennemente vestita di bianco, e bianchi sono anche i loro capelli raccolti in una lunga treccia. I loro abiti sono tuniche leggere che sembrano sempre sfiorate da una lieve, invisibile brezza: pare non abbiano corpo. Non ci sono alberi né altra vegetazione, solo una grande casa, bianca anch’essa, al centro di una sorta di altipiano circondato da acqua color smeraldo.
Sono esseri immortali che trascorrono l’infinità della loro vita innalzando inni di benedizione che attraversano l’etere come una dolce e vibrante melodia. Questo è il loro compito: cantare la bellezza e diffondere l’armonia nell’immensità cosmica. Sono creature felici.
Per un’infinita notte la parola può creare stelle invisibili, evocare universi di beatitudine, ritrovare mondi; la parola risuona e risuonando genera luoghi nei quali immaginare la felicità.
Si sente odore di temporale nell’aria pesante di pioggia matura, il profumo umido dell’estate che passa. L’oro delle stoppie recise dal grano torna a mischiarsi alla terra che si prepara ad accogliere i giorni del cambiamento, la trasformazione d’autunno.
A cura di Save the Words ®
1 cfr. A. Cattabiani, Calendario, Rusconi Libri, Milano, 1988.