In genere si crede che il primo trauma di un individuo si sia verificato dopo la nascita, oppure al momento stesso in cui si viene al mondo, passando dalla vita uterina a quella post-gestativa. Sono in pochi a ritenere che il primo trauma risalga addirittura alla fase del concepimento, durante la fecondazione. Può sembrare davvero insolito, se non addirittura paradossale e contraddittorio, che si possano subire traumi quando ancora non si è ancora stati concepiti…
Sappiamo che l’ovulo e lo spermatozoo non contengono solo la catena genetica dei due genitori ma sono una vibrazione, quindi energia, e sono portatori perciò di tutte le vibrazioni emozionali di entrambi i genitori. E queste vibrazioni racchiudono in sé tutti i modelli consci e inconsci di coloro che ci generano, a loro volta ereditati e che ci fanno ereditare. E c’è un altro fattore fondamentale che può determinare un vero e proprio trauma: se uno dei due genitori impegnati nel concepimento non è pronto per diventare tale, è come se ci fosse un vero e autentico “rifiuto”, conscio o non conscio che sia; insomma, uno dei due genitori non vuole diventare genitore (genitore è tecnicamente “colui che genera”, l’atto stesso del procreare, rende per definizione genitori, ma questo ruolo non implica necessariamente quello di padre o madre, che deriva dall’esercizio educativo).
Si può anche verificare il caso che entrambi non siano pronti, o non vogliano, eppure non prendano le necessarie precauzioni affinché la fecondazione non abbia luogo.
Accade, quindi, che tale vibrazione di negazione, ossia del “non essere pronti, del non volere ecc.”, venga trasferita totalmente direttamente al nascituro. Sapete cosa accade quando si genera questa vibrazione negativa? Si attua un meccanismo centripeto e implosivo tale per cui, quando si è grandi, non si è in grado di procreare. E questo solo perché non si è stati voluti: in sostanza, non si è autorizzati energeticamente a proiettarsi nel futuro attraverso i figli che si vorrebbe mettere al mondo.
Quante volte vi sarà capitato di sentire dire: “Sono nato per sbaglio”, “mio padre o mia madre non mi volevano ma sono arrivato lo stesso” o, ancora peggio, scoprire che il rapporto sessuale che ha determinato il concepimento non è stato consenziente. Molte donne, infatti, pur essendo clinicamente in perfetto equilibrio, non riescono a rimanere incinte o, se lo rimangono, hanno diverse difficoltà a portare avanti la gravidanza arrivando persino, a volte, all’indursi un aborto tanto naturale quanto artificiale. Molti uomini, del resto, anch’essi del tutto sani e fertili, non riescono a fecondare la propria compagna. Quante coppie si sottopongono a protocolli terapeutici specifici per aumentare la fertilità? Eppure, nonostante questo, la fecondazione non avviene lo stesso, nemmeno nel caso di procedura assistita. E di questi casi ce ne sono tanti, ma nessuno ne parla: chi è afflitto da questo problema se ne vergogna e lo nasconde. E davvero siamo davanti al primo trauma, che si è verificato durante la fecondazione. Nella cellula madre è stato installato il programma “non sei voluto”, “non sei autorizzato a vivere e a dare la vita”. In poche parole si rafforza la vibrazione energetica del modello si eredita di generazione in generazione del “tu devi morire”.
Sembra un’eredità millenaria, acquisita dalla frase “ricordati che devi morire”, attribuita a un servo degli imperatori romani, una sorta di avvertimento della caducità e precarietà della condizione umana. Il servo la ripeteva agli imperatori tutte le volte che vincevano una battaglia militare per ricordare loro che su questa Terra siamo di passaggio: transito provvisorio, che può finire da un momento all’altro, senza preavvisi. Frase su cui ha giocato abilmente Massimo Troisi (1953-1994) nel film Non ci resta che piangere (1984) quando il frate gli gridava: “Ricordati che devi morire” e lui, con replica ironica e sarcastica, ribatteva: “Sì, mo’ moo segn. Nutte preoccupà”. Questa frase non ha bisogno né di essere ricordata con la mente razionale né di essere scritta. È già impressa nel sistema energetico e nel DNA di ogni individuo.
Il primo trauma può, dunque, nascere in fase di fecondazione ma anche dopo, nel corso della gestazione. Il più grande laboratorio alchemico che esiste in natura è il grembo materno: dove, per nove mesi, ogni parte infinitesimale di noi si crea e si trasforma in vita; dove, sempre per nove mesi, viviamo avvolti dall’amore della mamma che ci culla, ci nutre, ci protegge. E con il liquido amniotico ci trasmette tutte le sue vibrazioni. Ci nutre non solo con quello che mangia ma anche con tutte le emozioni che la attraversano. Ci protegge di fatto con il suo corpo.
Assorbiamo tutte le vibrazioni della mamma, comprese tutte le sue memorie, dal “devi morire” a ogni altro “modello” che le appartiene o che ha ereditato a sua volta. Ciò significa che, se nel corso della gestazione ha vissuto esperienze negative o traumatiche, queste diventano automaticamente “esperienza” ereditata dal nascituro. Tali modelli limitanti e ‘auto-boicottanti’ si amplificano dopo la nascita attraverso l’unico organo che si completa successivamente: il cervello.
Il cervello, infatti, si sviluppa nel corso degli anni.
Nei primi sei anni di vita vengono immagazzinate la maggior parte delle informazioni di base attraverso i sensi che condizionano ogni individuo per il resto della vita. Si strutturano i modelli acquisiti e se ne creano altri nuovi che spesso rafforzano e consolidano le credenze predeterminate, quelle che in Kinesiologia si chiamano “inversioni psicologiche”, dove un soggetto razionalmente dichiara esattamente l’opposto di ciò che invece inconsciamente mette in atto e crea. Si trova in uno stato di commutazione o, ancora peggio, di commutazione nascosta, quando questa appartiene a modelli comportamentali acquisiti derivanti da credenze installate, delle quali non si è consapevoli ma che creano la propria realtà.
Se si nasce per sbaglio si attiva il programma di “non meritare di diventare genitori, di non meritare di vivere sereni, di non valere niente, di non essere voluti dagli altri, di non essere degni del successo”.
Ecco cosa sono le credenze e i programmi autolimitanti, autoboicottanti: cicatrici dell’anima che non derivano da una propria scelta. Esse reclamano una cura fatta di pazienza, comprensione, amore e rispetto.
E tempo.
Attraverso la Kinesiologia è possibile cambiare il “modello”, rimuovere le credenze, trasformare le paure. Ogni stress emotivo, ogni situazione traumatica di ogni essere umano, si memorizza sia a livello psichico che a livello fisico, e si trasmette anche ai meridiani di agopuntura e ai chakra. Influenzerà inconsciamente anche il suo futuro, perché il cervello farà scattare meccanismi che allontanano ulteriori stress determinando un sistema che rallenta o blocca, con tutte le conseguenze che una stasi o un indietreggiare producono.
Che cosa sono i “blocchi energetici” che condizionano la nostra vita? Sono la reazione del cervello a emozioni traumatiche che non si riesce a gestire e che innesca meccanismi di difesa che evita conseguenze immediate, ma nel contempo crea blocchi o produzioni ormonali alterate. Cosicché si scatenano una serie di somatizzazioni che conducono, se durano nel tempo, malattie degenerative e un invecchiamento cellulare più rapido.
Tutto questo viene registrato sia nella memoria di ognuno di noi sia nel sistema muscolo-scheletrico e in tutto il corpo. E se è vero che la mente “mente”, il corpo, di mentire, davvero non ne vuole sapere: basta “interrogarlo” per conoscere la sua verità.
Il blocco emotivo spesso diventa uno sbarramento che impedisce di procedere, spediti, verso i nostri obiettivi. Diventa inconsciamente una convinzione limitante che si manifesta attraverso varie forme di autosabotaggio. L’esempio più comune è quello per cui, quando qualcuno ha subìto un abbandono, non riuscendo ad accettarlo, impedisce a se stesso di ricostruire il proprio sentiero sentimentale. L’inconscio, tutte le volte che potrebbe scegliere di andare oltre, ripesca il file del suo “copione di vita” preferendo spesso la solita nota zona di confort, quindi, di passiva inattività, piuttosto che trovarsi ad affrontare situazioni nuove che potrebbero produrre altri traumi. Si innesca e fomenta, in questo modo, la paura di affrontare il futuro.
Eliminare i blocchi energetici significa eliminare le barriere che autolimitano ogni persona, sia emotivamente che cognitivamente. Significa scaricare i pesi che gravano su ogni individuo: se si vive con un grande fardello sulle spalle e lo si porta come lungo una ripida salita, l’andatura non sarà lenta e faticosa.
Attraverso la pratica kinesiologica, si possono cancellare i blocchi energetici, le inversioni psicologiche, gli auto-sabotaggi inconsci, che provocano rallentamenti e impedimenti, contribuendo a ostacolare una vita lunga, in buona salute, appagante e felice.
“Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo”, affermava Albert Einstein.
E io sono fermamente convinto che tutto ciò che crediamo davvero possibile, possiamo crearlo nella nostra realtà, quindi, perché continuare ad avere una vita infelice e piena di malanni?