Sicuramente è, o deve essere, armonia; qualche volta è ritmo; in alcuni casi filosofia. Spesso è bellezza; nella sua massima aspirazione persino poesia. Di certo, comunque, l'architettura è quel ponte tra l'uomo e la natura che da sempre dialoga con la storia, lasciando un'infinita scia di impronte.
Imprigionata dai computer e dalle rappresentazioni digitali, solleticata dal denaro, bloccata dalla burocrazia, rincorsa dalla tecnica, come si è trasformata oggi l'architettura? Lo abbiamo chiesto a Massimo Carmassi, vincitore della Medaglia d'oro per l'Architettura 2015 alla Triennale di Milano dopo l'intervento di restauro che ha trasformato il Panificio della Caserma di Santa Marta a Verona in una sede universitaria.
Nel grande palazzo ottocentesco in cui gli austriaci avevano realizzato i forni per produrre pane e gallette da destinare agli eserciti del nord Italia, adesso ci sono aule e biblioteche frequentate ogni giorno da professori e studenti di economia. Centomila metri cubi che arrivano dal passato strappati al degrado e restituiti alla vita quotidiana con una nuova destinazione d'uso.
Per la prima volta la Triennale di Milano ha premiato un restauro, sollecitando in questo modo amministrazioni e privati a recuperare i molti edifici abbandonati in Italia che aspettano solo di rinascere. Dal Foro di Senigallia al Palazzo Ducale di Guastalla, dall'area del Lingottino a Torino a quella del porto fluviale a Roma, fino alla Markt Galerie di Lipsia, Carmassi ha affrontato sia il medioevo che l'archeologia industriale ottenendo numerosi riconoscimenti in Italia e all'estero. A lui la parola.
Architetto Carmassi, come sta l'arte del progettare e costruire nei nostri tempi?
Direi bene, se si guarda sul piano internazionale. In Oriente, dalla Cina, alla Corea, al Giappone, siamo di fronte a una vera effervescenza, una crescita e una trasformazione continua delle città, anche se questo non rende tutti felici. Basti pensare che molti vecchi hutong, caratteristici quartieri e case cinesi, vengono letteralmente distrutti per far posto ai grattacieli.
L'Oriente ha preso il posto degli Stati Uniti nel primato per le moderne costruzioni?
Anche negli Stati Uniti c'è una 'collana' di città in continua trasformazione. Si distingue tra ‘before’ e ‘after’, dove il punto di spartizione è l'11 settembre del 2001. Da quel momento in poi, infatti, sono nati grattacieli diversi, che hanno cambiato lo skyline.
Nel senso che ne sono nati molti di più?
Non solo. Prima dell'11 settembre lo skyline aveva mantenuto una certa costanza, cioè si costruivano parallelepipedi snelli, torri molto alte che si 'sovrastavano' l'una con l'altra. Dopo, è cambiato il rapporto tra la pianta dell'edificio e la sua altezza, vale a dire che le torri sono ancora più sottili, più allungate, con un appartamento a ogni piano, massimo due. Sono così filiformi che spesso è stato necessario installare una sorta di serbatoio d'acqua mobile sulla sommità del grattacielo, in modo da poter mantenere la costruzione in equilibrio a seconda del vento.
Perché andare sempre più in alto con 'piante' sempre più piccole?
Spesso le 'tendenze' derivano da problemi concreti. Ad esempio, potrei dirle che i terreni costano molto e, quindi, c'è bisogno di risparmiare chiedendo aiuto alla tecnica.
La tecnica è anche quella cosa che ci fa diventare matti in alcuni bagni degli aeroporti per riuscire a lavarsi le mani...
Quello è il risultato di una sproporzione tra la ricerca tecnologica e le necessità reali. Purtroppo, per vendere bisogna sempre rinnovare e ciò crea un disequilibrio. Per quanto mi riguarda, tendo a non rincorrere la tecnica anche perché questa oggi va nella direzione di strumentazioni e oggetti provvisori che degradano velocemente, mentre io preferisco fare cose che funzionino bene e che durino tanto. Comunque, la tecnologia è fondamentale. Pensiamo alla chirurgia: gli interventi che un tempo erano invasivi, oggi si risolvono con un giorno di degenza, spesso senza neanche bisogno del bisturi. Certo, la tecnologia utile per vivere meglio è necessaria, quella per vendere meglio no. Ma il limite non è facile da stabilire.
E in Italia come sta l'architettura?
In Italia si pensa sempre a risparmiare. A parte rarissime eccezioni, come il Palazzo dei Congressi dell'Eur, che invece è costato molto di più delle previsioni, la tendenza è quella di economizzare. Ovviamente a scapito della qualità. Non è un caso che l'Italia sia arretrata rispetto all'architettura internazionale. E anche europea.
Però abbiamo ponti di Calatrava a Venezia e a Reggio Emila, il museo MAXXI a Roma firmato dall'irachena Zaha Hadid, il recupero della Punta della Dogana di Venezia realizzato dal giapponese Tadao Ando... Perché preferiamo gli stranieri?
In Italia ci sono bravi architetti. Basti pensare a Renzo Piano, che ha uno studio internazionale, o a Giorgio Grassi e Antonio Monestiroli, autori di restauri e costruzioni in vari Paesi europei. Inoltre, l'Italia è famosa per il design. Ci sono stati Giò Ponti, Ignazio Gardella e Carlo Scarpa, che io ritengo il più grande architetto italiano del ‘900. Ma si tratta di una generazione passata, o ancora presente, ma anziana. In realtà, nelle nuove generazioni nessuno ha sfondato sul piano internazionale, anche se vedo alcuni talenti che stanno crescendo.
Perché questo rallentamento?
Perché dopo il '68 abbiamo avuto anni di decadenza che hanno reso difficile la maturazione di una cultura architettonica italiana sul piano internazionale. E questo ha reso ancora più complesso stare al passo con gli altri Paesi. La scelta di architetti stranieri da parte delle istituzioni italiane è però dovuta in larga misura anche a una certa esterofilia.
Da una parte la carenza di soldi, dall'altra l'esterofilia. È difficile fare l'architetto in Italia...
La cosa che in Italia rende tutto veramente complicato è la burocrazia. Esistono centinaia di vincoli, oltretutto gestiti in maniera diversa nei vari territori e città. E questo non solo per il centro storico, ma anche per le periferie. È una follia burocratica, una jungla, che rende difficile fare architettura. Un solo esempio: ho appena scoperto che una legge regionale impone la realizzazione delle scale di sicurezza a distanza minima pari alla metà dell'altezza dell'edificio in restauro. Come è possibile? Le pare logico? D'altra parte, escludendo le grandi opere e i grandi architetti di cui parlavamo prima, le imprese straniere non vengono in Italia. O ci vengono malvolentieri. Ci siamo mai chiesti il motivo? Perché non c'è alcuna certezza del diritto. Tutto dipende dal colore dell'amministrazione o dalle conoscenze personali. A questo si aggiungano i finanziamenti che arrivano sempre a singhiozzo e che obbligano a fermarsi e poi ripartire, magari dopo anni. Ci sono Paesi, come il Giappone, in cui in sei mesi un 'opera è pronta.
Ci faccia un esempio di queste lungaggini
A Pisa, sul retro della chiesa di San Michele in Borgo, in pieno centro storico, nel lontano 1985 cominciai i lavori per il recupero del convento pesantemente danneggiato da un bombardamento del 1944. Dopo lunghe interruzioni e il succedersi di numerosi appalti l'opera venne completata nel 2001 con 7 appartamenti e 5 fondi commerciali, tutti abitabili e collaudati. Eppure, l'intero complesso è rimasto inutilizzato. Chiuso. Ancora non si capisce se mai verrà usato. Eppure, quel progetto ha fatto il giro del mondo su un centinaio di pubblicazioni e libri dedicati interamente a quest'opera.
In Italia, rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, abbiamo però centri storici importanti da difendere, o da recuperare. Secondo lei da noi è meglio costruire o restaurare?
Il problema dei problemi è proprio la difficoltà di preparare professionisti capaci di conservare, ma nello stesso tempo adattare dignitosamente antichi edifici a funzioni contemporanee. Costruire e restaurare sono due azioni diverse, ma ognuna ha bisogno dell'altra. Senza avere esperienza nel campo tecnologico e figurativo della moderna architettura non si può fare neanche un buon restauro. Spesso succede che la trasformazione vada a scapito della conservazione.
Lei come fa?
Cerco di capire il 'carattere' di una costruzione e di metterlo in relazione con l'uso che ora ne vogliamo fare. Noi viviamo in palazzi che hanno mille anni: quante centinaia di persone e quanta vita hanno visto i nostri edifici e quante volte sono stati cambiati... Il compito degli architetti è lasciare il segno di chi è passato da quel luogo prima di noi e mettere d'accordo la cultura materiale dei secoli passati con la cultura architettonica contemporanea. Bisogna in tutti i modi evitare che il restauro trasformi l'edificio antico, qualunque sia il suo valore, in un edificio nuovo, poiché la suggestione e gli stimoli degli antichi spazi e dell'antica materia sono irripetibili.
Quale è il restauro che lei apprezza in modo particolare?
Quello del museo di Castelvecchio a Verona. È opera di Carlo Scarpa, un restauro degli anni Cinquanta che ha trasformato alcune parti in maniera radicale. Si tratta di un'interpretazione moderna del restauro, che non tutti ritengono corretta. Però devo dire che, corretta o no, quell'opera è un capolavoro dell'architettura. Al contrario vediamo progetti di restauro brutti e scorretti Trasformano troppo, aggiungendo elementi contemporanei rozzi, incompatibili con il contesto antico. Purtroppo, ce ne sono centinaia.