Sempre più spesso ci troviamo di fronte ad atteggiamenti sprezzanti nei confronti della Natura, come se noi humana non ne facessimo parte o addirittura come se non fossimo mai appartenuti ad essa. Questo distacco, apparentemente obbligato per molti inconsapevoli o per quei piccoli vittime di un'educazione poco vicina a valori basilari come rispetto e l’amore per l’ambiente e la natura, genera stili di vita che potremmo giudicare addirittura alienati cioè lontani, estranei dalle proprie radici naturali. E non mi riferisco alle devastazioni di interi paesaggi durante le guerre, o alle trasformazioni del territorio per scopi di mero lucro come le deforestazioni o le grandi opere a pro di pochi e a danno di molti, ma alla mercificazione della natura, allo sfruttamento di immagini e termini che la riguardano per scopi diametralmente opposti ai suoi significati.
La natura diventa oggetto di commercio, l’albero diventa simbolo sociale, dispositivo di reddito quando oltre a non conoscerlo lo si strumentalizza per lottizzare e vendere villette a schiera. E il giardino, che è osservatorio del tempo, archivio di materia vivente, sintesi di diversità viene relegato a materia inerte, regolamentato, standardizzato, elemosina concessa in percentuale per legge. Prendo a prestito qualche idea di Gilles Clement, agronomo illuminato, che sulla figura del giardiniere ha scritto molto, soprattutto valorizzando una figura che era stata svilita nel secolo scorso a mero operaio del “verde”, quel termine abusato per indicare un sistema così complesso che è impossibile definire con una parola sola. Ma come scrissi in un mio recente contributo su questa rubrica, Giardinieri … si diventa vorrei tornare sul tema perché avendo tra le mani un insolito erbario appena dato alle stampe da un editrice di Genova, non potevo che soffermarmi sulla figura del giardiniere italiano per eccellenza: Libereso Guglielmi.
Di lui hanno parlato sempre in molti, scrittori, appassionati di natura, botanici e naturalisti, come il “giardiniere di Calvino” poiché la sua vita lunga e avventurosa, nasce a Bordighera nel 1925 e muore nel 2016, lo vide per qualche anno legato alla storia della famiglia di botanici, Evelina Mameli e Mario Calvino, genitori del noto scrittore Italo. Sintetizzare qui la vita di un anarchico, vegetariano di tre generazioni, figlio di un esperantista, per questo il nome Libereso, come spiega Ippolito Pizzetti nella bellissima intervista fattagli molti anni fa, nel libro Libereso il giardiniere di Calvino (Muzzio Editore, 1993), risulterebbe riduttivo e impossibile.
Come dissero moltissimi suoi seguaci, oggi diremmo con un brutto termine followers, conoscerlo è stata un esperienza emotiva forte, di quelle che lasciano il segno, che ti rallegrano nei momenti in cui senti mancare la fiducia verso gli altri, verso l’umanità, quelli di solitudine e pena per il mondo. Non vorrei apparire troppo sentimentale – soprattutto in questa rubrica in cui non c’è spazio per divagazioni del genere – ma Libereso Guglielmi aveva un'aura speciale, tutta sua, e vi riporto la descrizione di un grande scrittore ligure, Nico Orengo nella prefazione al testo appena citato sopra. «Sì, Libereso Guglielmi è uno degli ubagu di Calvino. È il ragazzo dalla pelle “marrone” che conosce, e al quale, come accade con il padre, non si vergogna di chiedere i nomi delle piante, il muoversi delle nuvole, le sensazioni che si provano a tenere in mano un ranocchio o una biscia. Libereso fa arte di quella cultura della ‘Punta di Francia’, dell’ultimo ponente ligure, così imbevuto di esperanto, metafisica, anarchia. E Libereso, che per Dio ha il Sole, incarnava queste tradizioni, insieme a quella di eterno Mowgli, di un elfo nostrano. Vero perché Guglielmi, che ha girato il mondo, ‘rincorrendo’ o trasportando piante, così è rimasto, dopo aver attraversato e ‘costruito’ giardini, da sud a nord, da nord a sud, passando dall’ubagu al geometrico».
Libereso aveva con sé la semplicità, fanciullesca e limpida, inaspettata in un personaggio così ricco di cultura della flora locale e soprattutto esotica, per non citare il suo sapere su tradizione, usi e proprietà del mondo vegetale. Non avevo ancora scritto di lui dopo la sua dipartita, che mi colse alla sprovvista leggendo la Stampa nel settembre del 2016, non avevo potuto salutarlo da che avevo saputo del suo peggioramento e dall’ultimo nostro incontro quando mi fu di grande sostegno mentre titubavo nel dover ricostruire per la prima volta la vita di Eva Mameli Calvino, per la quale mi donò una profonda e sentita prefazione (Eva Mameli Calvino, Ali&no, 2010). Perché lui era – dicevano - il suo figlio mancato, alter ego di Italo, quando vivevano alla Villa Meridiana, Stazione sperimentale di Floricoltura di Sanremo, quando erano ancora ragazzi.
Libereso era forse il Barone Rampante (Einaudi, 1957), o lui stesso, il Libereso di Un pomeriggio Adamo (in Ultimo viene il corvo, Einaudi, 1949). Un'amicizia, quella con Italo, destinata a perdersi negli anni, che li portarono a separarsi, Libereso in Inghilterra come capo giardiniere del giardino di Middleton House, e Italo, scrittore, a Torino poi a Parigi. Il lavoro di Libereso, ricercatore, esploratore di piante, divulgatore soprattutto tra i piccoli, forse il mestiere a cui era più affezionato perché riteneva indispensabile la vicinanza dei bambini alla natura al contatto diretto con la terra, i semi le piante, gli insetti, era soprattutto quello di disegnatore botanico. È quindi con estrema gratitudine che ho colto lo sforzo di Claudio Porchia, giornalista e saggista amico di Libereso Guglielmi, e la casa editrice Pentàgora di Savona, per aver pubblicato pochi mesi fa L’erbario di Libereso, una cospicua raccolta di 600 disegni, a matita, acquerello, corredata di appunti di Libereso, degni di essere fatti conoscere ai tanti appassionati botanici, naturalisti, cultori del giardino naturale. La mano sicura e capace dell’autore restituisce un mondo vegetale importante che spazia dalle specie spontanee a quelle coltivate, europee ed esotiche, come lui le amava chiamare senza però considerare le barriere che molti teorici, botanici o ecologi, vorrebbero innalzare con il recente concetto di specie aliene.
Ricordo ancora quando tra i suoi racconti teneva a rimarcare “Ma sai – dava a tutti del tu e metteva così le persone a proprio agio fin da subito – quante piante di Avocado avevamo diffuso qui a Sanremo con il professor Mario Calvino? La collina dietro Sanremo era piena ed erano tutte varietà tropicali speciali, quelle a buccia fine che lui e la Mameli avevano iniziato ad acclimatare tornati da Cuba. Oggi non c’è più niente hanno cementificato tutto”. Poi per non rattristare troppo l’ospite, mentre mostrava le sue quattrocento e più specie del suo piccolo giardino-giungla, diceva: “Bisogna che io insegni ai bambini perché imparino a piantare, ma io imparo da loro prima di tutto”. Quindi per entrare in comunicazione con lo spirito libero dell’autore dei tanti disegni, che faceva a profusione fino a notte fonda ovunque andava, in viaggi esplorativi o quando era in trasferta nelle scuole, basta perdersi nelle varie sezioni del libro: le piante esotiche, le piccole meraviglie, le officinali e aromatiche, gli alberi e arbusti, le piante da orto e di campo, quelle da giardino e i funghi.
Le belle tavole, a colori o in bianco e nero, riportano a volte appunti in cui Libereso segnava opportunamente delle note botaniche, frutto della sua annosa esperienza di esploratore e viaggiatore oltre che ricercatore instancabile, ma soprattutto denotano l’osservazione assidua che era il principio motore della sua esistenza, insieme all’entusiasmo di fronte alle più minute forme di vita. A questo proposito il curatore nella breve introduzione cita le sue parole in merito alla sua pratica del disegno fin da piccolo "la maestra mi dava sempre cinque e diceva che non ero capace. Ma io non le ho mai dato retta. Quando si disegna non si deve mai aver paura di sbagliare perché è sempre la paura che ti frega. Il disegno è per tutti". I suoi libri di botanica, di ricette e di uso delle erbe erano sempre accompagnati dalla una matita infaticabile, leggera ed elegante, a volte ironica quando si cimentava nell’altra passione, quella di disegnare fumetti sempre legati al mondo verde. Molte le mostre espositive che hanno avuto successo con i suoi tanti acquarelli, ma per la prima volta chi vuole conservare un erbario ricco e vivace può perdersi in mille particolari botanici che il più delle volte nelle guide scientifiche nella loro perfezione mancano di estro artistico e personalità.
Questa passeggiata nella giungla di Libereso si conclude con una sua presentazione che risale a pochi anni prima dove con il suo stile, semplice e intenso al tempo stesso, cerca di raccontare la vita e poi in fondo Tanya la figlia avuta, oltre a Barry, dalla moglie inglese conosciuta durante il suo trascorso in Inghilterra, un saluto di commiato e una frase che lo ricorda: Libereso “era parte della natura perché nel suo mondo non esistevano confini”.