L’uomo, in termini ecologici, può essere definito “generalista”, nel senso che nel corso della sua evoluzione si è adattato a un’alimentazione ampia e diversificata, e ha colonizzato habitat con caratteristiche fisiche e biologiche piuttosto differenti. Purtroppo in veste di pionieri, abbiamo pochi motivi per sentirci orgogliosi delle nostre conquiste. Il depauperamento delle risorse naturali, l’inquinamento, i cambiamenti climatici, la distruzione della biodiversità sono specialità tipicamente umane, un “biglietto da visita” esclusivo e personalissimo, che solo noi possiamo sfoggiare.
Tra i danni che infliggiamo all’ambiente, il consumo di suolo è il più preoccupante, poiché provoca gravi effetti a breve e a lungo termine. Oltre all'acqua che beviamo e all'aria che respiriamo, il suolo è una risorsa indispensabile alla nostra sopravvivenza. Attraverso di esso, infatti, abbiamo una fonte costante di cibo e la possibilità di regolare e mantenere in equilibrio importanti cicli biologici, tra cui la fissazione dell’azoto, le emissioni di gas serra e l'immagazzinamento di acqua piovana.
«Il suolo è la pelle del mondo, è la pelle di un complesso biologico, chimico, sociale, naturale, paesaggistico. È la pelle dell’umanità. Ci nutriamo perché il mondo vegetale e quello animale si nutrono dei frutti del suolo. Lo attraversiamo, godiamo dei suoi colori, ne percepiamo gli odori, ne percepiamo gli odori, il gusto. Eppure in questo ultimo secolo abbiamo scarnificato la pelle del mondo fino a giungere alla carne viva. Non si tratta di semplici e graziosi tatuaggi». 1
Il peggiore nemico del suolo è la pressione antropica, esercitata attraverso l’industrializzazione, le cementificazioni selvagge e incontrollate, senza regole e rispetto per il paesaggio. Tutto ciò, sconvolge l’assetto del territorio, sottrae ambienti naturali e aree fertili per l’agricoltura, provoca frammentazione degli habitat, perdita di sostanze organiche, solidificazione e impermeabilizzazione del terreno dovute a calpestio, compressione e asfaltatura, con conseguente distruzione di biodiversità e aggravamento dei rischi idrogeologici. Questi impatti innescano una serie di reazioni a catena che provocano anche cambiamenti di natura sociale, economica e culturale.
Secondo i dati riportati dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) ogni due ore, in Italia viene consumata, in maniera irreversibile, una porzione di territorio grande quasi come due campi da calcio; una media di circa 15 ettari al giorno. Il suolo è un piccolo mondo la cui esistenza ha richiesto milioni di anni per arrivare fino a noi. Nello spessore di poche decine di centimetri vivono in perfetta armonia, minerali, sostanze organiche, aria, acqua e una quantità inimmaginabile di biomassa vivente formata da batteri, lieviti, funghi, protozoi, acari, afidi, nematodi, vermi, insetti, aracnidi, talpe, arvicole, topi, ecc. Si stima che un ettaro possa contenere circa 15 tonnellate di organismi viventi, paragonabili al peso di 20 mucche.
La funzionalità e l’equilibrio di questa complessa biodiversità, che si autoalimenta da milioni di anni, lasciano stupefatti. Da questo continuo e infaticabile “lavoro di squadra” si creano le condizioni ideali (frantumazione e areazione, disponibilità di sostanze minerali, rilascio di azoto, decomposizione della materia organica, ecc.) per mantenere fertile la terra e offrire il giusto nutrimento alle piante.
I terreni naturali brulicano di batteri amici che si comportano come quelli che colonizzano l’intestino umano. Essi si comportano come una specie di microbiota utile al mondo vegetale, in grado di proteggere le piante dall’attacco di agenti patogeni. Recenti indagini in questo campo mostrano che in presenza di batteri e funghi estranei alla comunità di microrganismi che abitualmente vive intorno a una pianta, quest’ultima intensifica il rilascio nel terreno di composti chimici particolarmente graditi alla flora batterica amica, la quale, moltiplicandosi, agisce come inibitore competitivo.
Il suolo è un bene non rinnovabile che «cresce lentamente, 10 cm si formano in 2000 anni. In pochi secondi una potente benna di pala gommata riesce a rimuovere 6 tonnellate di suolo, ovvero 2,5 cm di un’area di 200 metri quadrati. Per formare quello strato di terreno ci erano voluti 500 anni. Un suolo di 1 metro di profondità ha 20.000 anni e può essere spazzato via in pochi minuti. Il ciclo di generazione di un nuovo suolo è completamento fuori scala rispetto ai cicli biologici della vita sulla terra.» 2
Le problematiche connesse al crescente consumo di suolo, non riguardano solo l’eccessiva cementificazione e urbanizzazione del territorio, ma anche l’agricoltura intensiva (lavorazioni profonde del terreno, prevalenza di monocolture di cereali, abuso di fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, ecc.), la deforestazione, l’erosione, l’inquinamento e le attività estrattive.
La salvaguardia del suolo è una priorità sociale che merita la massima sensibilità e attenzione. Occorre una nuova visione della pianificazione urbanistica, svincolata da biechi interessi economici e mossa da un apparato normativo totalmente nuovo, adeguato alle esigenze ecologiche e alla conservazione delle aree aperte naturali. L’obiettivo futuro è quello di bloccare il consumo di suolo e riqualificare gli spazi urbani attraverso il riuso del patrimonio edilizio esistente.
1 Gianni Biondillo, Il racconto del suolo, un discorso terra terra, tratto da Che cosa c’è sotto il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo, di Paolo Pileri, Altreconomia Edizioni, Pergine Valsugana (TN), 2016, pag. 6
2 Paolo Pileri, Che cosa c’è sotto il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo, Altreconomia Edizioni, Pergine Valsugana (TN), 2016, pag. 43-44.