E in questo principio d’anno me ne sto ferma ad ascoltare le parole che, deliziose e ammaliatrici, mi chiedono di avere la loro epifania, di essere osservate con attenzione e cura nel loro apparire e offrirsi al nostro sguardo.
È la gratitudine che si mostra per prima in tutta la sua lucentezza, a ricordarci, con la grazia che le è sorella amorevole, di non varcare la soglia di un nuovo anno senza aver ringraziato per il cammino che abbiamo percorso, per le opportunità che ci hanno aiutato a comprendere e a crescere nella consapevolezza; e non importa se ciò sia accaduto nel dolore o nella gioia.
Nel presepe che ancora rimane in attesa che i Magi arrivino alla capanna del Bambino, il muschio sta perdendo il suo colore odoroso di terra umida, ma la cometa continua a brillare sul fondale di carta stellata: qualcosa finisce ma resta un sentore di luce.
Ogni giorno trascorso ha tracciato in noi un segno che diviene memoria del cuore, che ci attraversa come un esile rivolo a disegnare la mappa delle nostre esperienze, delle prove che abbiamo affrontato; un filo che cuce insieme le emozioni che si fanno sempre più preziose per preservare il caldo mantello dei ricordi intaccato dalle voraci tarme del tempo.
Se ci è capitato di vivere momenti di vera gioia conserviamone preziosamente l’impronta sapendo che la vera felicità sta nell’attenzione costante alle cose belle, nella sensibilità verso tutto ciò che è luminoso e, vien quasi da dire, benedetto.
Non lasciamo che quelle impressioni si cancellino volgendo immediatamente il pensiero verso altre mete, rincorrendo subito nuovi desideri. Soffermiamoci a lungo su di esse per farle penetrare profondamente in noi, così che nella nostra anima ne rimangano tracce che non smetteranno di ispirarci il bene. 1
È un’abitudine da acquisire anziché appesantirci concentrandoci sulle delusioni, le animosità, le falsità che si insinuano nel nostro cuore e vi si imprimono fino a diventare una consuetudine.
Se abbiamo avuto esperienze d’amore, di verità, di sincera condivisione l’anima le ha registrate e deve ricordarle per potersene servire nella realtà quotidiana come di un equipaggiamento per avanzare sul cammino.
Rendiamo grazie prima di prepararci di nuovo alla navigazione; diamoci approdi sicuri, mappe che guidino la rotta di un veliero antico che avanza con meraviglia e timore verso terre ancora da scoprire. Se ci fermiamo ad ascoltare la voce silente che arriva al nostro orecchio interiore possiamo riceverne nutrimento e consolazione.
La gratitudine è un sentimento antico, profondo e potente che intreccia le sue fibre con l’intero tessuto della vita; è un atteggiamento che ci pone nella condizione di dare e ricevere un dono ogni volta che incontriamo l’altro e ne accogliamo il pensiero, la parola.
Gratitudine è dire quel “grazie!” che contiene l’amabilità, la giocondità e la bellezza che sono attributi di quelle donne divine che i Greci chiamavano Charites e che i Latini chiameranno Gratiae. L’automatismo del nostro “grazie!” pronunciato quasi come un suono senza contenuto ha fatto dimenticare l’ascendenza e il valore profondo di questa parola che invoca le antiche Dee che alla grazia, alla gioia e alla bellezza davano corpo.
Le Grazie sono compagne d’Afrodite, fanno crescere le rose e a loro appartengono il mirto e i fiori della primavera. Nella gratia, la charis greca è contenuto il beneficio, quel fare il bene che si compie senza alcuna attesa di ricompensa e c’è anche la benedizione che si accompagna ad ogni azione o comportamento che riconosca la relazione dell’individuo con il bene del mondo, che sappia “moltiplicare lo sguardo dell’amore”.
Quando respiriamo l’aria fredda dell’inverno ci ricordiamo mai di ringraziarla per il piacere che proveremo quando potremo scaldarci nel tepore della nostra casa?
Quando beviamo l’acqua ci ricordiamo di ringraziare la fonte che ce ne fa dono?
La gratitudine, silenziosa, intima è sempre generosa e si accompagna alla riconoscenza come a dire che in questo reciproco sentimento ci si ritrova in una comune identità, si accede contemporaneamente ad un altrove nel quale già ci siamo incontrati e dove ci riconosciamo.
Nasce allora un senso di profonda calma che illumina i luoghi bui della nostra mente, là dove si nascondono la paura della sofferenza e l’incapacità di comprenderne le ragioni e il cuore si apre alla fiducia.
Una donna piena di tenerezza, che si muove a piccoli passi, con grazia e pacatezza: così si presenta la fiducia, con uno sguardo lieve e accogliente, con un tranquillo sorriso che crea immagini di bellezza, che rende l’attesa piena di promesse, colma di speranza.
È preziosa la fiducia che si alimenta nella profondità del nostro sentire, che ha le sue radici comuni nella fede e nell’affidarsi, che custodisce la certezza che ogni fine avrà un nuovo inizio. Nel seme che sta riposando nel grembo della Madre Terra è racchiusa la fiducia nella vita che non tarderà a rendersi manifesta quando il tempo si sarà compiuto.
È pronta all’accoglienza, è disponibile ad incontrare ogni esperienza con gentilezza, con rispetto e crea una consuetudine interiore ad essere in relazione con l’alterità, con tutto ciò che non siamo noi, uno spazio spirituale nel quale trova posto la verità, non soltanto la mia verità, bensì una verità ricomposta attraverso la raccolta di molte parti.
Conserva una sorta di pudore, è modesta, è lenta, non è un’emozione che aggredisce come la rabbia o la paura, capita assai di rado che si metta in mostra. “…. è parola umile che indica affidamento. È un vero e proprio abdicare al controllo dell’ego che vuole sempre costringere tutte le esperienze a stare zitte e in fila nel suo limitato raggio di azione.” 2
È un sentire pacificato, lieve, è come un’abitudine ad aspettare senza paura, senza incertezza che il bene si compia.
Ci vogliono attenzione e accuratezza perché la fiducia non venga meno. La distrazione rende incapaci di raccoglimento. Chi è distratto non sa essere assorto, manca di accortezza. La distrazione è uno stato mentale che ci allontana da una chiara visione: non a caso per i mistici medievali colui che è distractus è “lontano da Dio”.
E bisogna fare i conti con l’insoddisfazione “quella disposizione di chiusura mentale che svilisce continuamente la propria esperienza ritenendola “mancante di”. L’insoddisfazione sta dietro l’angolo di ogni situazione, anche di quella più appagante che ci sia dato di vivere.” 3
Soltanto l’uomo, il genere umano sembra esercitare questo atteggiamento. Ogni essere è in relazione al suo ambiente ed ha un’intelligenza che serve per rimanere in armonia con il contesto, ma la nostra possibilità di essere insoddisfatti interrompe il circuito generando avidità, sopraffazione, invidia.
La fiducia si prende cura dei frammenti di bene, anche i più piccoli, nella sicura attesa che essi sappiano ricomporsi in un tutto che possa farsi certezza di condivisione, di abbraccio, di comprensione e benevolenza.
Ogni frammento attende di ricongiungersi nella completezza del tutto e se c’è consapevolezza di ciò il terreno è fertile per comprendere meglio quale sia la nostra particella di interezza, per dare forza e spazio a quella che riconosciamo come nostra attitudine, come nostro impegno.
Il tempo che passa può aiutarci a consolidare la chiarezza di quale sia il frammento che ci appartiene, che è impresso nel nostro carattere e riusciamo così a prendercene cura con devozione e pazienza come per un sacro rituale.
Quando accettiamo di avere un compito, un fine da perseguire ci misuriamo nella forma più alta dell’esperienza umana, poiché andiamo a connetterci con quella fonte inesauribile di creatività, di forza generante che sta dentro di noi ma rispetto alla quale ci troviamo spesso in una sorta di amnesia: non ricordiamo la nostra consonanza con l’armonia, la bellezza, l’equilibrio e fatichiamo nel riportarla alla luce. Per farlo bisogna andare dentro di sé, riconoscersi e rimanere in quella connessione antica, primigenia.
Quando accettiamo questa necessità di sperimentare il difficile compito di ricostruire una completezza attraverso i fragili pezzi che compongono la nostra esistenza impariamo a provare tenerezza per l’imperfezione che vuole una volta tanto mostrarsi senza timore di apparire inadeguata.
Ha una sua sicurezza l’imperfezione che conosce la condizione umana sempre alla ricerca di un compimento, di un risultato definitivo e completo e sempre messa alla prova dagli infiniti e imprevedibili mutamenti che la vita riserva.
Nella consapevolezza dell’imperfezione, della parzialità della nostra esperienza impariamo ad accogliere con disponibilità ciò che accade nel momento presente. Impariamo a stare nelle cose così come si offrono ai nostri sensi, alla nostra mente; ci prepariamo ad ospitare tutto quanto si propone alla nostra coscienza.
Possiamo indossare la veste dell’indulgenza, una modalità molto femminile, materna che ha familiarità con il perdono e la pazienza, quel sentire carezzevole che amplia la durata dell’attesa e conduce la mente e il cuore nei territori sconfinati del non tempo.
Possiamo ritrovare la costanza che è forza di restare saldi nelle difficoltà e sua sorella, la perseveranza una fanciulla dal portamento altero, dallo sguardo profondo.
Ogni volta che entriamo in una nuova fase della vita le regole del gioco cambiano e allora dobbiamo essere pronti a trovare nuove fonti di ispirazione, nuove curiosità per alimentare quella creatività che non possiamo mai far mancare nel nostro quotidiano.
La creatività è potenza di trasformazione, è potere di cambiamento, è slancio che attinge alla fonte perenne che è in noi e al tempo stesso la alimenta . È volontà di liberarci da abitudini che non ci appartengono più, che sentiamo dissonanti; è desiderio di intraprendere percorsi non ancora esplorati, di dare pienezza alla nostra singolarità.
L’energia della creatività cresce come un seme nel silenzio, la distruzione fa rumore, come un albero abbattuto che precipita al suolo.
Finché continueremo a imparare ad aprirci a nuove idee e a nuovi modi di affrontare le cose, ad approfondire la conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda praticheremo la più alta forma di creatività personale, la nostra esistenza sarà un incessante atto creativo. 4
È fascinosa la creatività, una bellezza sensuale dai capelli rossi che pare una donna dei preraffaelliti. Avanza flessuosa avvolta nel suo abito di taffetà porgendo un frutto di melograno. La sua voce si fa udire delicata e avvolgente:
“questo frutto è colmo di semi di bellezza e sono quelli che tu devi sempre ritrovare in te. Non devi cercare altro, impara a riconoscere i semi della bellezza dentro di te; piantali, regalali, diffondili con la parola. Non stancarti di coltivarli, non smettere di credere nel loro potere salvifico. Sgrana i semi che hai nel cuore e fidati della loro forza che non finisce, che non sfiorisce.
Il tuo compito, la tua attitudine è credere che tutti quei semi sono anche in te, sono lì per te e tu puoi attingere alla loro forza per spargere le loro benedizioni.
La melagrana è un grande cuore che ne contiene tanti piccoli e tutti formano la perfezione del frutto meraviglioso e fecondo. Fai crescere la tua arte con levità, affidati ad essa, lascia che la bellezza si sgrani come i chicchi della melagrana: non preoccuparti di sapere quale chicco si staccherà per primo, dove cadrà, non chiederti se sarà abbastanza dolce, se è già pronto. Apri la melagrana e lascia che ogni chicco, ogni seme segua la propria natura.
Credi nella loro potenza: sembrano tutti uguali quei rossi e succosi semi, ma ognuno di loro ha una sua nota, un suo modo di brillare; sgranali tutti e suonerai una meravigliosa sinfonia”.
È un consiglio prezioso, un proposito adatto per dare inizio ad un nuovo anno e mi piace accompagnarlo a quello di usare quanto più possibile parole amorevoli, delicate, intrise di tenerezza, parole capaci di lasciare la propria impronta di bene affinché altre possano seguirla.
Tessere di tormalina, lapislazzuli e giada,
il mosaicista compone il suo disegno
un centimetro alla volta.
Ogni pietra da sola vale una fortuna,
insieme creano un’unità di valore inestimabile. 5
Così è per le parole quando la loro voce crea una consonanza che è armonia, che è benedizione.
A cura di Save the Words®
1 cfr. Omraam Mikhael Aivanhov, Pensieri Quotidiani, Edizioni Prosveta, 2017
2 Carla Gianotti, Il respiro della fiducia, Pratica di consapevolezza e visione materna, Mimesis, Milano, 2015
3 Id. ibid.
4 Deng Ming-Dao. * Il Tao per un anno*, Ugo Guanda Ed., Milano, 1993
5 Id. ibid.