La nuova darsena è ventre accogliente per migliaia di milanesi che provano l'ebbrezza di vivere, non lontano dal centro, un'oasi di bellezza e di pace, camminando, pedalando, distendendosi sulle prode, assaporando quella Milano d'acqua in gran parte scomparsa.
Ma dietro questa immagine, c'è tutta una storia che dal Medioevo risale fino ai barconi e ai silos di qualche decennio fa, come documenta la puntuale prefazione di Roberto Marelli a I Navigli e la vecchia darsena di Angelo Cremonesi, edito da Viennepierre e recentemente presentato all'associazione Chiamamilano: “Milano città d’acque... così scriveva nella seconda metà del 1200 il frate degli Umiliati Bonvesin de la Riva. Milano come Amsterdam, Milano come Venezia, fino alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, con la Fossa interna, era proprio così. Milano non ha il mare, non ha laghi come Mantova, ha fiumi come Olona, Lambro, Seveso, Vettabia, Nirone, e dal 1300, per volere di un Visconti, un fossato chiamato Redefossi. Milano ha la Darsena e i Navigli: il Grande, il Pavese, la Martesana. Ci sono poi il Naviglio di Bereguardo, voluto dai Visconti, e il Naviglio di Paderno, voluto dal Re di Francia Francesco I, ma questi non entrano nella città”.
Il raffinato e nostalgico bianco e nero del libro fotografico di Angelo Cremonesi – appassionato autore di immagini che ritraggono Milano e la milanesità - è fatto proprio per non farci perdere la memoria di questo patrimonio. "Sono socio fondatore, con Ettore Buccianti e altri amici – racconta Cremonesi - dell'Associazione culturale Viennepierre e volevo portare il contributo del mio lavoro in campo fotografico. Posseggo un notevole archivio di scatti milanesi, realizzati su pellicola. Questo supporto è oggi superato dalla tecnica digitale che consente una migliore fruizione e conservazione. Parlando con Ettore del mio archivio fotografico decidiamo di comune accordo di raccogliere le mie foto sui navigli scattate nel 1980 in un libro e così è nato il libro I Navigli e la sua darsena.
Sono 150 fotografie, ma di cosa parlano e cosa esprimono? Preciso che sono nato alla Valera Vecchia di Varedo, un tipico borgo lombardo con corti, aie, stalle e cascine. Nella primavera del 1980 mi trasferisco a Milano, nel settembre 1980 mi iscrivo al Circolo fotografico Milanese e tra il Natale e il Capodanno del 1980 esco a fotografare con un altro socio del Circolo fotografico e andiamo sui Navigli. Ho al collo una Minolta reflex 101 ST, pellicola Ilford FP4/125 e FP5/400 con obiettivi 50 e 28 mm. Sono giornate fredde con nebbia, percorriamo sia l'alzaia che la Ripa e andiamo dentro e fuori i cortili. Più passa il tempo e più mi accorgo che prima di schiacciare il pulsante della macchina fotografica, dentro di me vivo emozioni e sentimenti e cerco di far passare meno tempo possibile con l'intento di fermare sulla pellicola ciò che sto provando. Avevo capito come dovevo procedere nel fotografare, guardare, sentire e schiacciare. Quindi ho dimenticato la tecnica: vedevo, sentivo, scattavo. Niente era costruito. Tutto era fermato rubando l'attimo al soggetto che fotografavo. Entrare in quei cortili, in quelle case di ringhiera, parlare con la gente, vedere i bambini giocare, i vecchi, le donne ... è stato come rivivere frammenti, quadri della mia infanzia, della mia adolescenza nella vecchia cascina. Sono stati pubblicati tanti libri fotografici sui Navigli e tanti ne seguiranno, ma la particolarità del mio lavoro è l'aver cercato di raccontare per immagini la vita e i personaggi del vecchio Naviglio. Spero di esserci riuscito e lascio il giudizio a chi scorrerà le mie immagini".
Così Ettore Buccianti, presidente dell'associazione che ha propiziato la pubblicazione del libro ha voluto presentarlo: “Ancora un libro fotografico su Milano e sui Navigli! È l’osservazione che qualcuno potrebbe fare dopo le numerose uscite di tanti libri su questo tema. Quando Angelo Cremonesi, autore di numerosi libri proprio sul tema, mi ha fatto vedere le foto ho colto una particolarità: le sue foto non si limitano a fermare le immagini delle acque, degli scorci, dei ballatoi o altre caratteristiche architettoniche, ma fanno vivere gli spazi con le persone. Ne deriva un documento vero di quegli anni (siamo tra gli anni '70 e '80) e ci restituiscono le immagini delle persone, soprattutto degli anziani che allora vivevano in case di ringhiera belle per un visitatore, ma sicuramente scomode da vivere. Vi erano vissuti da sempre o erano gli unici spazi che potevano economicamente permettersi. Era un micromondo fatto di aiuto reciproco, di intrattenimenti tra un ballatoio e l’altro, di giochi di bimbi (era diffusa la lippa e dubito che sia ancora di attualità), il tutto sotto l’occhio vigile delle nonne o della portinaia, che non mancava mai anche negli edifici più modesti.
Giovanni Barrella nella sua poesia La portinara ne ha fatto un personaggio indimenticabile con un'umanità e una vivacità irripetibili oggi che per questo lavoro si ricorre a persone d’altra provenienza. A casa ho incorniciato delle foto vintage di Paolo Monti, un noto fotografo mancato nel 1982 che ha dedicato la sua attività alla ricerca della realtà urbana riprendendo architetture e palazzi che erano i suoi temi dominanti, ma astraendoli dal contesto di vita che li animano.
Paolo Monti e altri grandi fotografi come Gabriele Basilico si dimostrano sensibili a cogliere i cambiamenti morfologici della realtà urbana, compiendo un eccezionale lavoro documentaristico sugli aspetti del cambiamento della 'forma urbis' vista tra i passaggi del divenire delle grandi metropoli. Le immagini di Angelo Cremonesi, pur indulgendo sui luoghi e gli edifici e non potrebbe essere diversamente data la particolarità degli stessi, hanno la caratteristica di allargare l’obiettivo mostrandoci la vita quotidiana. Possono essere ragazzi che giocano, innamorati che si baciano, negozianti ancora legati alle loro vecchie botteghe. È un'umanità che ci viene restituita nella sua interezza senza indulgenza ma con rigoroso stile documentaristico.
Ho poi colto nelle immagini di Angelo Cremonesi un’altra particolarità: sono le immagini della mia gioventù e di tutti quelli nati negli anni '40 e '50 (non so a quale categoria sociologica appartengano, forse a quella dei baby boomer se nati tra il 1946 e il 1964 ). Io che sono nato nel 1944 mi definisco più semplicemente un residuato bellico, ma questo ci ha consentito di vedere e ricordare la Milano di quegli anni. Ho nitidamente in mente l’arrivo dei barconi carichi di sabbia e ho frequentato i semplici locali dell’epoca prima dell’avvento dell’happy hour, ho negli occhi le case sventrate e ricordo lo strano odore di bruciato che si avvertiva passando accanto, ho in mente i cantieri che velocemente provvedevano alla ricostruzione con l’immancabile speculazione. Io abitavo in via S. Vittore, una delle zone più colpite dai bombardamenti che furono, però, l‘occasione per trasformare il convento degli Olivetani nel Museo della Scienza, mentre altri conventi della via vennero ricostruiti per i rispettivi ordini religiosi femminili.
La mia generazione ha potuto, quindi, vivere prima la rinascita della città dopo la devastazione della guerra, poi le veloci trasformazioni, comprese le angosce per le varie vicende: dal terrorismo ai rapimenti, fino ad arrivare alla 'Milano da bere' che apre un altro ciclo a cui velocemente ne seguono altri, ed è meglio non soffermarsi sull’attuale fase nazionale. La città ha saputo, però, sempre reagire e ancora oggi la vivacità di proposte culturali, di iniziative imprenditoriali (pensiamo alle start up innovative) e gli sforzi che si stanno compiendo per creare la new town delle torri ne sono una testimonianza. Ma bisogna sempre partire dalle origini, cioè da quei luoghi e da quelle persone che li animavano nel passato. Non dimentichiamo che il Naviglio era simbolicamente considerato il cuore della città e Salvatore Quasimodo nella sua drammatica poesia Agosto 1943 rappresenta il Naviglio come il centro ideale di Milano Invano cerchi tra la polvere/povera mano, la città è morta/ è morta s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio.
Per finire si può dire che Angelo Cremonesi ci ha documentato il recente passato di una zona simbolo della città che non è di nostalgia ma di orgoglio e le nuove generazioni dovranno cercare di realizzare un continuum che, senza, stravolgimenti ci conduca ai nuovi traguardi che, almeno per Milano, non saranno quelli di una 'decrescita felice' ma di una febbrile innovazione in connessione con la realtà europea della quale Milano è sempre stata un centro riconosciuto non solo geograficamente, ma per cultura, per commerci e per predisposizione”.
Il contributo di Cremonesi ha anche il pregio di uscire in un momento in cui si sta animatamente discutendo della riapertura di qualche tratto dei Navigli e allora concludiamo con un altro frammento della prefazione del Marelli: “Sì alla riapertura, no alla riapertura dei Navigli. Anche ai nostri giorni, ogni tanto riaffiora il progetto per la riapertura di parte della Fossa interna, si parla addirittura di referendum tra la cittadinanza... Ascoltiamo il parere di due autorevoli personaggi, cominciando da Giovanni Barrella, il grande poeta, commediografo, attore milanese che ai tempi era contrario alla chiusura della Fossa. Il suo parere espresso in una poesia, è senz’altro da rispettare, ma Barrella è scomparso nel 1967, oggi non so se sarebbe della stessa opinione.
NO alla chiusura
“M’ hann quattaa giò el Navilli, sacchformento!
Dopo de avè studiaa milla progett...
Hann proceduu d’offizzi al coprimento:...
E inscì m’hann faa ‘sto alter tradimento.
Diseven ch’el spuzzava...minga vera,
Tutt al pù el sapeva de Navilli...
Ghe sarà staa i zanzar in primavera,
Ma per el rest, però, me meravilli
Come hann pensaa a stoppall, che, porco can,
L’era on poo de Venezia chi a Milan.”
NO alla riapertura
Gianni Brera, il giornalista scrittore, lo sosteneva da tempo, ma non solo lui, molti sono contrari alla riapertura dei Navigli. Per rendere più chiara la ragione del suo dissenso, pubblico parte di una intervista che “Gioànnbrerafucarlo”, rilasciò agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso al giornalista Gigi Moncalvo: “Rimpiangono le case sui Navigli! I Navigli erano una schifezza, un avanzo del Medioevo che poteva anche essere sopportato quando gli abitanti erano sessantamila...”.