Quando mi viene chiesto il motivo della mia scelta di vita professionale la mente va subito all’infanzia e alla mia formazione giovanile. Non si può negare infatti, come afferma un grande e illustre studioso di paesaggio quale fu Ippolito Pizzetti (1) in numerosi suoi saggi, che se si è avvicinati fin da piccoli alla natura il sentimento verso di essa - innato in tutti gli uomini - sarà sicuramente amplificato, raffinato fino a diventare una parte significativa del nostro quotidiano vivere.
E’ appurato che la transumanza culturale è sempre la base per crearsi un solido sostegno di conoscenze, ma per alimentare la cosiddetta “naturale inclinazione” un'infanzia trascorsa tra paesaggi collinari ancora incontaminati, come nel mio caso l’Appennino Tosco-marchigiano, può dilatare tutte le percezioni sensoriali e predisporre a un atteggiamento di scoperta e ricerca continua del mondo circostante. Questa premessa è doverosa per spiegare come la lettura e l’apprendimento inconsapevole, che fin da piccola ho sperimentato, non sarebbero bastati a instillarmi quella sete inesauribile di osservazione e di contatto diretto della natura selvatica e nei secoli addomesticata ad opera dell’uomo.
I due libri che mi hanno aperto le porte all’universo vegetale sono l’uno complementare all’altro in termini di genere, di scrittura e di approccio. Il primo che scoprii negli scaffali della libreria in ordine di tempo fu Gli Alberi di Hugh Johnson, tradotto in Italia nel ’73, un caposaldo della manualistica sugli alberi e gli arbusti del mondo. Quel dendrologo inglese mi faceva catapultare direttamente nelle foreste di Cedri del Libano, attraverso le sue magnifiche foto mi consentiva di viaggiare in quei covi di natura selvaggia di cui potevo solo vederne qualche isolato esemplare in un banale giardino cittadino! D’altra parte leggere invece Vita Sackwille West (2) mi infondeva un senso di mistero e di fascinazione per quel suo stile tra saggio e letteratura - del tutto inusuale per la scrittura italiana. Era il diario di una raffinata e colta scrittrice inglese a me allora sconosciuta. All’età di 12 anni decisi che se avessi avuto una bambina il suo nome sarebbe stato sicuramente VIta.
Il volume In Your Garden (Michael Joseph LDT, 1951, Londra) fu tradotto nell’edizione italiana con il titolo Del Giardino; ebbi l’imbarazzo della scelta quando a casa ne scoprii ben due copie: l’una era un coffee table book (per Olivetti, 1983) - strenna natalizia di grande formato - di un verde brillante con eleganti acquerelli di Bruno Caruso che ne intervallavano dodici capitoli, tanti quanti i mesi dell’anno a cui l’autrice li aveva dedicati; l’altra, più maneggevole, con l’indimenticabile sovracopertina della collana Ornitorinco per Rizzoli, pubblicato nel 1975, apparentemente meno accattivante per le poche immagini del testo. Ebbene quella ventina di foto in bianco e nero scoprivano un universo, rivelavano con una quasi ostentata indifferenza la supremazia assoluta del mondo anglosassone in tema di passione e cura per il giardino.
Da questi due maestri compresi un principio che mi ha accompagnato lungo tutta la mia lunga e accidentata educazione sentimentale verso la natura, e cioè che da essa va preso l’originario insegnamento, cioè che da lei si deve trarre la massima ispirazione; e se si intende intervenire su di essa lo spirito che dovrebbe guidarci è quello del più umile giardiniere che ne asseconda ritmi, stagioni, necessità, affinché l’artificio sia il risultato di una personale interpretazione.
Da allora a oggi molti sono i paesaggi e i giardini che ho avuto la fortuna di apprezzare, studiare e interpretare con l’auspicio di avere l’atteggiamento più opportuno e la predisposizione per avvicinarmi a un nuovo studio e a un nuovo giardino da creare, recuperare, comporre, dovendo necessariamente intervenire in un contesto con le sue innumerevoli peculiarità. Se da un lato molto ha costruito in me in termini di coscienza ecologica la mia formazione universitaria, dall’altro è stato indispensabile girovagare, a volte con programmazione scientifica, altre per puro piacere estetico, tra numerosi siti storici dove natura e architettura, logica e bellezza, caso ed erudizione avevano prodotto il meglio dell’architettura del paesaggio e del giardino. E qui mi riferisco ai più notevoli parchi e giardini italiani, dai giardini medicei (Boboli, Castello, Pietraia) a quelli medievali, monastici, fino ai parchi romantici (Ninfa, Villa Rufolo) e molti altri. Quindi alle erborizzazioni dai luoghi boscosi delle Dolomiti, ai luoghi aridi come le isole del Mediterraneo, a quelli semidesertici del Kenya o del Sudamerica, ho affiancato uno studio puntuale della storia del paesaggio e del giardino senza il quale non avrei potuto cogliere i significati e i contenuti letterari, poetici, artistici e filosofici che ne stanno alla base.
Dovendo trasmettere con qualche immagine e poche parole l’esperienza del fare giardino mi preme comunicare nel modo più semplice come, chi è chiamato a progettare e comporre un nuovo giardino o ad agire su un contesto denso di storia, è ugualmente messo alla prova poiché sia nell’un caso sia nell’altro dovrà interpretare e leggere i contenuti del luogo cui si dovrà ispirare. Questo è a mio modo di vedere il nodo più difficile da dipanare poiché è indispensabile spogliarsi dei condizionamenti che potrebbero interferire nella fase creativa del progetto e porsi quanto più possibile all’ascolto del luogo e del suo genio. Quindi l’osservazione, la sperimentazione di esso, con l’aiuto della vista l’olfatto e il tatto, durante momenti diversi della giornata, e se possibile della stagione, contribuiscono a sfrondare il di più per ottenere il necessario, l’essenziale.
Non meno vincolante il rapporto inevitabile e necessario con il proprietario e committente dell’opera paesaggistica. Un capitolo piuttosto difficoltoso da affrontare poiché essendone l’utente finale a cui è destinata l’opera, è a lui che il progettista dovrebbe riferirsi per valutarne le esigenze e poi tradurle materialmente in un ambito vivibile e rispondente quanto più possibile alle stesse. Le variabili sono innumerevoli e per poter lavorare secondo un criterio ottimale mi viene in mente la logica fuzzy (3) - ma è solo una logica perché a volte i committenti, paradossalmente, quello che temono di più è che il loro giardino o parco risulti con un effetto fuzzy! Ma la natura stessa è biodiversa, cioè spontaneamente ricca e confusa in associazioni vegetali (4) complesse, che ne rendono imprevedibili e spettacolari gli effetti, sia in termini ecologici e soprattutto estetici. Ciò nonostante il timore è ricorrente nel committente, perché la natura è difficilmente compresa e comprensibile, l’uomo la teme da sempre e anche nel nostro tempo che non viviamo nelle selve medievali popolate da animali selvatici e feroci o da briganti siamo generalmente orientati in qualche modo a dominarla.
Ma tornando alla logica che muove il progetto e la sua realizzazione va detto appunto che la maestria e la sapienza di chi interviene sul paesaggio è proprio quella di saper armonizzare in un unico risultato coerente molte variabili di un sistema: vocazione del luogo, peculiarità dell’esistente, ragioni e desiderata del committente, vincoli e caratteristiche del clima, del contesto geomorfologico, vegetazionale, senza snaturare lo stile e l’idea del progettista. Quest’ultimo mosso a sua volta da un'altrettanta molteplicità di elementi che ne costituiscono il suo modus operandi.
Mi tornano alla mente alcuni dei miei lavori e credo che nella generalità dei casi sono stati committenti privati tranne qualche rara eccezione; ed è ben diverso pensare il giardino per un nucleo familiare, una scuola dell’infanzia, una donna single che vive in compagnia di quattro gatti, un'anziana coppia ritirata in campagna dopo la pensione. E ancora è differente dover comporre un giardino di città, un parco di periferia, un giardino residenziale, quello di una villa in collina, di un attico al decimo piano, di una corte di un palazzo veneziano del Cinquecento.
Vorrei quindi condurvi attraverso qualche immagine nel cuore del progetto paesaggistico, e cioè nella sua realizzazione, poiché è bene ricordare che al contrario del resto delle opere create dall’uomo, attraverso manufatti, il giardino è un opera vivente che muta e acquista nuove forme, si plasma sulla base del contesto, acqua, luce e terreno, si modifica con l’intervento più o meno distratto di chi se prende cura, può essere cancellato dal tempo o dall’uomo, ed è soggetto alle incursioni più diverse: fortunali, malattie, abbandono. Il suo destino è assai incerto, ed è forse proprio questo carattere effimero a farne sempre uno spazio che suscita le più diverse reazioni ed emozioni.
Elena Macellari, vive in Veneto dal 1998, e oltre all'attività di garden designer ha pubblicato numerosi volumi, tra cui Giardinieri ed esposizioni botaniche in Italia (1800-1915), Ali&no, Perugia, 2005, Eva Mameli Calvino Ali&no, Perugia, 2010, e Nabù e il giardino cosmico, Edizioni Corsare Perugia, 2012.
Note:
1. Ippolito Pizzetti (1926-2007) , architetto paesaggista, saggista e traduttore italiano, la sua opera più importante è l'Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, Le Garzantine, Garzanti, Milano 1998.
2. Victoria Mary Sackville-West (1892-1962), nota come Vita, scrittrice e poetessa inglese autrice di innumerevoli opere sul tema del giardino e la sua progettazione oltre che di diverse opere letterarie. Conosciuto in tutto il mondo il giardino che realizzò nella sua dimora di Sissinghurst Castle, oggi il più visitato d’Inghilterra. Virginia Woolf si ispirò a lei per il personaggio della suo opera Orlando, pubblicato nel 1928.
3. Detta anche logica sfumata fu introdotta dallo scienziato Lotfi A. Zadeh, professore dell’Università di Berkley in California, che introdusse nella teoria dei sistemi la logica di appartenenza a una classe con un valore compreso tra 0 e 1, in un primo articolo uscito nel 1965. Macellari E., Mennella V.G.G., Logica fuzzy nella Valutazione Ambientale Integrata Acer n° 2, Marzo-Aprile 1997, Il Verde Editoriale N° di pubblicazione RAISA 3064.
4. Associazione vegetale, "un aggruppamento vegetale più o meno stabile ed in equilibrio con il mezzo ambiente, in cui certi elementi esclusivi o quasi (specie caratteristiche di associazione) rivelano con la loro presenza un'ecologia particolare ed autonoma" (Fonte: Josias Braun-Blanquet (1884-1980).
Pongo quindi all’attenzione del lettore alcune esperienze significative per l’interesse con cui, sia io, sia i committenti hanno condotto lo sviluppo e la realizzazione del progetto.