Fortemente riconoscibile per l'eclettico ed emozionante approccio al pianoforte, Mario Mariani concepisce lo strumento come un'orchestra dalle inusuali alchimie sonore dove si fondono, nel tempo presente, il compositore, l'interprete e il performer.
Pianista e compositore, collabora con importanti enti e committenti come Biennale di Venezia, (con le due sigle del Festival del Cinema), Teatri Stabili (Piccolo di Milano, FVG, Stabile Marche), Istituti di Cultura all'Estero e molti altri. Ha ricevuto il premio Oscar Marchigiano 2014 come migliore musicista, nel 2016 è Direttore Artistico della Piano Academy del festival Naturalmente Pianoforte. All'attività artistica alterna conferenze, workshop e progetti speciali come Francesco Povero (regia di Pietro Conversano con la Comunità di San Patrignano, 2015) e Frammenti di vita canti e libertà (con il Carcere di Opera, 2017), entrambi eseguiti al Teatro Piccolo di Milano. È recentemente uscito il suo quarto album per pianoforte solo The Rossini Variations. Ma scopriamo di più in questa intervista.
Un piano differente è possibile.
Inevitabile aprire la chiacchierata con Mario Mariani partendo dallo “slogan”, anzi dal fulcro della sua attività. Anche in The Rossini Variations c’è un “altro” pianoforte possibile?
Un altro “piano” è sempre possibile e, come auspico, necessario. Non a caso il mio primo album di pianoforte solo si chiamava Utopiano perché cercavo, e cerco, in questo strumento così misconosciuto di indagare ed esplorare le sue tante possibilità espressive al di là del 10% conosciuto, vale a dire la tastiera. Il lavoro su Rossini mi ha suggerito, dovendo in qualche maniera ricostruire una musica nata per essere eseguita da un'orchestra, l'utilizzo di tecniche estese dal grande impatto sia sonoro che potremmo dire performativo, visto che la necessità sonora produce anche un gesto che diviene dunque “teatrale”. Per citare due tra i tanti esempi troviamo un rullante suonato con il mio amato frullino (un cappuccino shaker Ikea) nell'incipit della Gazza Ladra, o le biglie che fanno il “bending” sulle corde, imitando il suono del gatto nel celebre “Duetto Buffo” che qui, vista la sua connotazione “western”, diviene un “Duello buffo di due gatti.”
The Rossini Variations è il tuo quarto album per piano solo, il precedente fu un lavoro analogo, The Soundtrack Variations. Ancora una volta un’ispirazione “esterna”, come Rossini o il cinema, scatena la tua creatività…
La creatività è un concetto che mi sta molto a cuore in tutte le sue forme e tengo spesso dei workshop multi(in)disciplinari al riguardo, rigorosamente “score-free”, in cui la prima cosa che faccio è “togliere il leggio” ai musicisti, barriera sia fisica che mentale. Credo che si possa essere creativi ed essere ispirati da ogni cosa. Già da anni ogni tanto eseguivo qualche parafrasi e variazione sulle overture di Rossini e l'evento forse scatenante è stato la riparazione del mio amato pianoforte Steinway del 1906 (su cui ho poi inciso le Rossini Variations) facendomi, dopo anni di sperimentazioni radicali, tornare la voglia di suonare musica classica. Sebbene alla “mia maniera”...
In base a quale criterio hai selezionato i brani?
La preferenza è andata inizialmente ai brani più conosciuti, in modo da permettere al pubblico di apprezzare le sonorità particolari e le variazioni, con l'aggiunta di qualche chicca “musicologica” come la versione per una sola nota di “Mi lagnerò tacendo” su testo del Metastasio e le Variazioni sulla Petite Messe Solennelle che mi hanno permesso un'escursione da John Dowland alla Famiglia Addams, facendo il verso anche a quel “minimalismo pianistico” che va tanto di moda oggi e che io preferisco chiamare “minimismo”, di cui come si intuisce non sono un grande fan.
Quanto è stato importante nella tua vicenda di artista la figura di Gioacchino Rossini?
Beh, sono nato a Pesaro, città natale di Rossini, ho studiato al Conservatorio Rossini, ho ascoltato e consumato tutte le Sinfonie nei vecchi dischi in vinile su un antico grammofono quindi posso dire di averla sempre respirata quest'aria rossiniana. Poi come ogni cosa di cui si dispone con facilità la si tende a dare per scontata finché un giorno, come in questo caso, prepotentemente bussa alla porta...
Hai dichiarato che la musica di Rossini era “anti pianistica”: ci spieghi meglio?
Non tutta la musica ovviamente, visto che nella seconda parte della sua vita ha prevalentemente scritto musica da camera per voce e pianoforte oltre a una consistente raccolta di pezzi pianistici, i cosiddetti “Peccati di vecchiaia”. In particolare mi riferisco alla difficoltà del trascrivere una musica originariamente scritta per orchestra, operazione resa ancora più ardua dallo scintillante spirito rossiniano, pieno di ribattuti che come ogni pianista sa sono uno degli scogli più complicati della tecnica pianistica. Rossini stesso era “compiaciuto” della difficoltà esecutiva della propria musica specialmente al pianoforte particolarmente nelle trascrizioni. E si racconta in un aneddoto che quando Liszt gli presentò una trascrizione, peraltro ottima, credo fosse del Guglielmo Tell, Rossini ci rimase “male”...
Attraversando i passaggi chiave dell’opera rossiniana, hai potuto cogliere anche l’evoluzione del genio pesarese. Qual è il suo lascito nella storia della musica europea?
Il suo lascito è enorme. Assieme a Mozart, Rossini è il mio compositore preferito d'opera. Le sue innovazioni musicali sono sorprendenti. A parte il senso drammatico, fisico e spesso surreale nell'uso del crescendo, di cui era un vero maestro, è stato l'anticipatore di tante invenzioni musicali poi entrate nella prassi. È stato, a quanto ne so, il primo a comporre una musica su una sola nota e nello strepitoso finale primo dell'Italiana in Algeri, in cui i cantanti sciorinano un difficilissimo scilinguagnolo onomatopeico, ha inventato il Rap. E non dimentichiamo che Rossini è stata la prima music-star della storia.
Per comprendere The Rossini Variations, e più in generale il tuo percorso, credo si debba focalizzare il rapporto – quasi uno scambio – tra interpretazione e creatività, tra rispetto del canone e personalizzazione.
Per me fa tutto parte di un unicum in cui le figure di compositore, interpretazione e improvvisatore, come era in passato, fanno capo ad un solo musicista. Oltre a queste figure, prettamente musicali, ho sempre pensato a me come ad un performer o meglio un “piano artist” visto che questo termine può comprendere molto altro. Molti mi definiscono “showman” perché mi vedono interagire con il pubblico con ironia e – credo – empatia. La mia grande curiosità mi porta a documentarmi e a studiare tante discipline diverse e riunirle nel mio centro che è appunto quello musicale e se dovessi definire il mio approccio alla musica, ma anche alla vita, direi che è un misto tra un uomo rinascimentale e un hacker.
Mario Mariani dal vivo. Sarebbe fin troppo facile liquidare il tuo aspetto performativo come “spettacolare”, in realtà c’è la ricerca di un dialogo, di un ponte, con il pubblico.
Non c'è nulla in ogni mio gesto, in ogni mia scelta artistica che non sia funzionale alla musica, alla sua espressione che io intendo come “opera totale” per tutti i sensi e oltre. Anche la scelta di location particolari come aver portato un pianoforte in una grotta e averci vissuto per un intero mese o in tanti altri posti “inusuali” è stata una precisa volontà espressiva ed esperienziale fortemente connessa peraltro con il relativo “paesaggio sonoro”. O lo scegliere contesti in cui la musica sia fruibile non nella “solita modalità concertistica”, ma con una importante interazione con il pubblico, chiamando volontari a suonare con me o facendo sdraiare persone sopra il pianoforte, canalizzando ciò che la loro “energia” mi trasmette, o suonando in contesti che potremmo definire “sciamanici”. Tutti aspetti che mi piace indagare. Mi piace la performance, il situazionismo, l'imprevedibile, la composizione istantanea (cui aggiungo l'idea del “transpersonale”, nel senso – parafrasando Jung – di un “inconscio collettivo musicale” costellato di archetipi sonori) e credo che questa sia la direzione in cui la musica si sta dirigendo. Il pubblico se ne accorge sempre di più e sento che ai miei concerti è felice e curioso di vivere un'esperienza in cui egli stesso, abituato oggi nell'illusione di interagire come ad esempio sui social network, faccia la sua parte vivendo la magica scintilla della creazione musicale.