L’ho ritrovata curiosando in rete: una vecchia radio, degli anni Quaranta del secolo scorso, della Voce del Padrone, che è stata una delle più famose case produttrici del passato. Che emozione, proprio quella che era a casa mia quando ero ragazzino! Grande, grossa e pesante, era chiusa in un parallelepipedo di legno scuro, poggiata su un tavolino tra la porta e il balcone della camera da pranzo. Erano tempi in cui un apparecchio del genere si comprava con qualche sacrificio economico una volta per sempre ed era oggetto di tutte le cure e le precauzioni possibili.
Chissà quando mio padre l’aveva comprata e quanti traslochi aveva subito; ma resisteva solida e indistruttibile. Semplicissima nel suo funzionamento: solo tre manopole, una per accenderla e manovrare il volume, una per sintonizzare la stazione emittente, una per selezionare la frequenza tra onde medie, onde corte e onde cortissime. Aveva un aspetto solenne e severo, quasi burbero, e, quando la si accendeva di sera, il cruscotto pieno zeppo di nomi di stazioni straniere, di fatto irraggiungibili, si illuminava di una luce fioca e gialla che creava una suggestiva e indimenticabile atmosfera.
Richiedeva al manovratore di turno molta pazienza perché, una volta accesa, per dare segni di vita bisognava che le valvole di cui era dotata si riscaldassero e, per trovare la stazione, era necessario girare con lentezza la manopola della sintonia, attraversando bordate di fischi e veri e propri colpi di tosse che irrompevano sul sottofondo di una costante raucedine. Ma alla fine si trovava l’emittente desiderata tra le sole tre che si avevano a disposizione. Inimmaginabile negli anni Cinquanta e Sessanta, quando ancora resistevano nelle famiglie vecchi apparecchi italiani che hanno fatto la storia della radiofonia, l’affollamento asfittico delle emittenti di oggi che intasano la modulazione di frequenza.
Quando finalmente si quietavano i rumorosi disturbi di trasmissione, si stabilizzava uno suono caldo e pastoso dal volume piuttosto contenuto, come del resto di tutte le radio di allora, che non avevano le eclatanti sonorità di oggi. Eppure negli anni Quaranta aveva avuto un successo travolgente la canzone Silenzioso Slow, resa celebre da Alberto Rabagliati, nella quale l’innamorato chiedeva all’amata di abbassare la radio, per favore, per poter sentire i battiti del suo cuore.
Impossibile ricordare quanti anni è stata lì, su quel tavolino, anche quando entrò in casa una piccola radiolina a transistor. Una presenza costante e discreta a pranzo e soprattutto a cena, che, con le sue voci e le sue note musicali, non si sovrapponeva alla conversazione familiare e imponeva il silenzio solo quando arrivavano le notizie del giornale radio annunciato da un cicalino celebre che dava il segnale orario, o quando veniva trasmesso un quiz di Mike Buongiorno o arrivava la voce del famosissimo Nunzio Filogamo.
Del 1979 è la famosissima canzone dei Buggles Video killed the Radio Star: la Tv ha ucciso la stella della radio. Motivo giocoso e accattivante, con la voce del solista che imita vagamente le sonorità di una vecchia radio, con testi non particolarmente irresistibili, che, comunque, esprimevano tutto il rammarico per essere andati troppo avanti e per non poter tornare indietro, ai tempi leggendari della radio e delle sue star. E forse avevano ragione i Buggles: è impossibile tornare indietro. Peccato! Perché si riandrebbe a tempi leggendari, tempi in cui, giovanissimi, ascoltavamo quasi con apprensione le classifiche delle canzoni più ascoltate di Hit Parade, erede del leggendario Discobolo degli anni Cinquanta; tempi in cui non ci saremmo persi per nulla al mondo l’appuntamento domenicale con Gran Varietà e stavamo con l’orecchio attaccato all’altoparlante per le puntate di Alto Gradimento con Arbore e Boncompagni che rinnovavano radicalmente e irresistibilmente il modo di fare spettacolo alla radio.
Per non parlare della nostalgia di Tutto il calcio minuto per minuto seguito un po’ in dormiveglia dopo il pranzo domenicale, con la schedina del Totocalcio in mano; i cronisti più bravi si rincorrevano, spesso convulsamente, da un campo di calcio all’altro per dare i risultati in tempo reale di tutte le partite in corso. Chi avrebbe potuto immaginare che quel piacere ci sarebbe stato negato dai farisaici interessi commerciali che hanno sgranato le partite di calcio, tra anticipi, posticipi e incontri infrasettimanali, lungo tutto l’arco della settimana.
Ma forse rimpiangiamo anche i tempi nei quali la radio ci faceva compagnia con un filo di voce, senza l’orgia dei decibel ai quali siamo sottoposti oggi.