Nella vita di ciascuno esiste un percorso che si àncora al passato e che al contempo si orienta al futuro. Per questo motivo, tutti quanti, chi più chi meno, abbiamo una particolare “predilezione” psichica a orientarci al passato oppure al futuro.
Quando ci orientiamo troppo al passato, possiamo incorrere nelle difficoltà che sono legate ad esso: prima fra tutte la nostalgia, ma anche i toni depressivi, il rimpianto, il rimorso, quel modo di guardare e di parlare persi nel “tempo che fu”. Al contrario, quando ci orientiamo troppo al futuro, possiamo incontrare quello che si lega al domani, agli obiettivi, ai desideri: quindi troviamo l’attesa, l’aspettativa, ma anche l’ansia, il rimuginare, fino al panico per ciò che di terribile potrebbe arrivare. Si dice infatti che noi, soprattutto noi occidentali, oscilliamo continuamente fra la nostalgia verso il passato e l’aspettativa verso il futuro, tanto che fatichiamo a stare nel presente, a godere del momento che stiamo vivendo.
La capacità di stare nel momento presente, tuttavia, si basa su una gestione attiva e diremmo “pacificata” della nostra infanzia, del nostro passato in genere. Per fare questo, è molto importante lavorare sullo studio dell’albero genealogico, sulle fotografie dell’infanzia, sulla visita dei luoghi dell’infanzia: si tratta di dispositivi tecnici tipici della Micropsicoanalisi, ripresi dalla Psicoterapia Non Convenzionale. Ma, anche senza andare in psicoterapia, una revisione emotiva e anche, perché no, critica del proprio passato rappresenta un momento centrale nella crescita e nella maturazione psichica di ciascun individuo, perché si cresce soltanto nella misura in cui si riesce a “fare pace” con tutto ciò che ci precede.
Ogni cosa che è avvenuta ha avuto un motivo, una sua ragione; anche le cose più brutte e difficili, anche quelle, perché molto spesso si trattava di intoppi a una linearità, di incapacità, di difficoltà delle figure di riferimento, le quali sono riuscite a fare tutto ciò che hanno potuto, in una situazione che magari noi non conosciamo appieno. Dietro tante cose brutte si nascondono infatti altre sofferenze, altre vicende, altri eventi passati.
Rivedere il proprio passato significa quindi andare a rivedere anche i propri predecessori, entrare nelle pieghe delle vecchie fotografie, dei ritratti di famiglia, delle scatole dei segreti, dei ricordi cari. Fulcro di questo lavoro di indagine sul passato è la casa: l’abitazione della propria infanzia, infatti, è “il luogo” per eccellenza, in quanto è memoria e testimone. Ogni cosa, ogni stanza, ogni colore, ogni particolare: tutto parla al soggetto. Ogni cosa racconta quello che è stato. Ogni casa dell’infanzia è testimone attivo e vitale della vita, delle scelte, delle decisioni, dei percorsi, delle relazioni.
Un lavoro di questo tipo riapre anfore chiuse da tempo, apre canali di comunicazione tra le generazioni, apre contatti che erano sempre rimasti chiusi o bloccati. Questo lavoro piace, intriga il soggetto ma anche i famigliari, che sentono giustamente di essere chiamati a fare da tramite tra mondi, come traghettatori che portano un nuovo arrivato sulle vie già percorse, già conosciute. La riapertura di canali comunicativi costituisce un potentissimo strumento che viene messo nelle mani di tutti i soggetti coinvolti, rendendo più facile il proseguimento, la presa di coscienza, l’elaborazione, ma soprattutto le scelte future.
Sì, perché tutto questo interesse sul proprio passato permette di volgersi in avanti, di guardare al futuro con meno ostacoli, quindi con meno difficoltà.